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La Stampa Rassegna Stampa
04.05.2017 La democrazia in Turchia è morta, chi si oppone finisce in galera
Marta Ottaviani intervista la scrittrice Asli Erdogan

Testata: La Stampa
Data: 04 maggio 2017
Pagina: 15
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «La democrazia in Turchia è morta, chi si oppone finisce in galera»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2017, a pag. 15, con il titolo "La democrazia in Turchia è morta, chi si oppone finisce in galera", l'intervista di Marta Ottaviani alla scrittrice turca Asli Erdogan.

Erdogan è quello che descrive la sua omonima - non parente - Asli. Questo è il regime islamista imposto sulla Turchia. Ancora ci sono alcuni "esperti" che però la vorrebbero in Europa...

Ecco l'intervista:

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Marta Ottaviani

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Asli Erdogan

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Recep Tayyip Erdogan

 

Un Paese dove la democrazia è morta e dove nei prossimi mesi la libertà di stampa e i diritti fondamentali sono destinati a subire ulteriori riduzioni. Asli Erdogan, una delle più grandi intellettuali turche, ha poche speranze per il futuro. La scrittrice, che è solo un’omonima del presidente Recep Tayyip, è rimasta in carcere con l’accusa di propaganda per un’organizzazione terroristica dall’agosto al dicembre dello scorso anno, subito dopo il golpe fallito di luglio. L’hanno arrestata insieme con altri 22 giornalisti del quotidiano Özgür Gündem. Adesso è in attesa di processo.

Asli Erdogan, in Turchia c’è chi parla di dittatura, come la pensa?
«Penso che da mesi il presidente Erdogan eserciti nel Paese un potere pressoché assoluto. Anche con un risultato diverso al referendum costituzionale dello scorso 16 aprile [il fronte del sì alla riforma di Erdogan ha prevalso con il 51,3%, ndr] non sarebbe cambiato niente».

Non lascia molte speranze.
«Non ce ne sono: la democrazia in Turchia è morta».

E adesso, quindi?
«Adesso la situazione è complicata e delicata. Erdogan eserciterà ancora più pressione sugli oppositori e sulla libertà di stampa, che è già quasi inesistente. A farne le spese saranno quelle persone, sempre meno, che non si vogliono piegare a un regime autoritario».

Lei dice che la società civile è silente. Ma ci sono ambienti, come le università o i gruppi femministi dove un certo fermento si avverte. Secondo lei una seconda Gezi Parki è possibile?
«Nessuno ha la palla di cristallo per vedere il futuro, ma a me con uno stato di emergenza in vigore da mesi e le nuove pressioni che ci attendono, sembra molto difficile. C’è poi da dire che stavolta quelli contro Erdogan e le sue politiche non sarebbero i soli ad andare in piazza, ci sarebbe anche il popolo pro Erdogan. La mia paura è proprio quella di una crescente contrapposizione fra la gente».

Ha già fatto quattro mesi di carcere, sostanzialmente per le sue idee. La Turchia è il Paese che più di tutti ha perso posizioni nella classifica sulla libertà di stampa, ben 174 fra reporter e giornalisti. Non ha paura per la sua incolumità e per il suo futuro?
«Certo che ne ho, ne ho molta, ne hanno tutti gli intellettuali e i giornalisti che non stanno con il presidente Erdogan. Ma non è un motivo sufficiente per togliermi il diritto di parlare. E il compito di un intellettuale è dire le cose come stanno nei tempi difficili, anche per indurre in riflessione gli altri».

Facciamo un passo indietro al referendum costituzionale che a detta di molti osservatori ha cambiato il corso della storia turca: cosa pensa di chi ha votato sì?
«Che hanno scelto la dittatura. Il presidente Erdogan è stato molto intelligente nella sua campagna referendaria a richiamare il tema della “Grande Turchia” e ad attaccare l’Unione europea. Per molti che hanno votato sì, questo è un voto contro l’Europa, una specie di guerra santa. Poi va anche detto che Erdogan poteva contare sulla quasi totalità dei media a suo favore, proprio perché le testate che lo osteggiavano sono state quasi tutte chiuse».

Erdogan è stato votato anche da tante donne. Lei che è anche una attivista dei diritti femminili che cosa pensa?
«Che quelle donne non hanno la consapevolezza di che cosa voglia dire avere dei poteri e dei diritti, per questo amano i dittatori. Questo per me è uno dei capitoli più dolorosi. Siamo tornando indietro a prima degli anni Venti del ’900».

Perché il popolo del «No» è stato sconfitto?
«Sono tanti, ma sono sfilacciati, disorganizzati e dalle posizioni spesso inconciliabili, soprattutto sulla questione curda. Manca poi un leader forte. Se ci pensa, anche se ha perso voti, Erdogan può contare su uno schieramento del sì che è estremamente compatto».

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direttore@lastampa.it

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