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La Stampa Rassegna Stampa
08.03.2017 Iraq tra cent'anni: gli scrittori dissidenti in esilio scelgono la fantascienza
Recensione di Rolla Scolari

Testata: La Stampa
Data: 08 marzo 2017
Pagina: 23
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «Baghdad 2100, la gente parla cinese, l'islam non c'è più e sono tutti liberali»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/03/2017, a pag. 23, con il titolo "Baghdad 2100, la gente parla cinese, l'islam non c'è più e sono tutti liberali", la recensione di Rolla Scolari.

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Rolla Scolari

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La copertina

Il mullah Hashish, leader dello Stato Islamico di Wadi Hashish; un soldato iracheno catapultato nel futuro, in un Iraq che sembra la Svezia e che assieme ad Arabia Saudita e Iran è una democrazia liberale che cerca di salvare l’America dall’estremismo religioso; il Venerabile Benefattore Gao Dong, che impone il cinese come lingua ufficiale; alieni sentimentali che allevano umani in fattorie; droidi-guide turistiche che accompagnano i pellegrini sciiti; i sushi, figli dei matrimoni misti tra musulmani sunniti e sciiti... Sono questi alcuni degli ironici e a tratti strampalati personaggi che popolano Iraq + 100: short stories from a century after the invasion, pubblicato dalla britannica Comma Press.

Dieci scrittori iracheni immaginano in brevi racconti il loro Paese cento anni dopo l’invasione americana, iniziata proprio in questi giorni, 14 anni fa: il 20 marzo del 2003. All’origine del progetto c’è Hassan Blasim, autore della diaspora, fuggito dall’Iraq negli Anni 90 per rifugiarsi in Finlandia, conosciuto in Italia con Il matto di piazza della Libertà (Il Sirente, 2012). L’editore britannico, Ra Page, scrive che l’idea del progetto vuole «offrire a scrittori lo spazio in cui esplorare i problemi del presente attraverso l’allegoria del futuro». Il risultato è un libro che viaggia dal racconto horror alla distopia passando per la science fiction, un genere non molto esplorato dalla letteratura araba. Se a tratti è zoppicante dal punto di vista dell’esperimento con la fantascienza, l’insieme dei racconti evoca il dolore dei ricordi, lo struggimento dell’esilio (degli autori, soltanto uno vive ancora nel Paese), il disgusto per anni di violenze, lotte intestine, di presenza straniera, di estremismi religiosi.

Alcuni racconti sono arrivati all’editore quando già si combatteva in Iraq una nuova battaglia, quella contro lo Stato Islamico, che nel 2014 ha conquistato importanti centri urbani del Paese, tra cui Mosul, dove in queste ore la battaglia contro Isis è a una svolta cruciale. Ricordando la storia più recente dell’Iraq, con l’estendersi delle violenze settarie e dell’estremismo religioso, non stupisce che nel futuro immaginato da molti degli scrittori di Iraq + 100 la religione sia scomparsa, archiviata. Sono sparite anche le sette, le confessioni, e sia le «democrazie liberali» sia le autocrazie cinesi immaginate snobbano o mettono al bando divisioni linguistiche, etniche o religiose per mantenere il potere o garantire stabilità.

In I giardini di Babilonia, di Hassan Blasim, il protagonista lavora in un dipartimento che trasforma gli antichi libri di autori classici in «smart games», giochi intelligenti. Questi classici «scrivono di violenza ed estremismo religioso», qualcosa che non esiste più nel mondo ovattato protetto da enormi cupole del futuro. Babilonia ora è un paradiso per sviluppatori di tecnologia digitale.

In Il Caporale, di Ali Bader, un soldato iracheno ucciso dagli americani nel 2003 torna sulla terra. La sua città, Kut, è diventata un modello di modernità ed efficienza, tutti gli abitanti sono cordiali e parlano con un garbato sussurro. Quando con uno di essi il soldato evoca la religione, quello replica: «Religione? Non abbiamo necessità di religione, signore! Imparare ciò che riguarda la giustizia di Dio e le sue leggi è per barbari. Il problema è che le persone interpretano la religione come preferiscono, per sostenere il loro barbarismo e la loro ferocia».

Nel nuovo Iraq, il caporale è velocemente arrestato e accusato, per il troppo parlare di religione, di terrorismo. Siriaco, arabo, curdo e turkmeno sono le lingue bandite dal «Venerabile Benefattore Gao Dong» nel racconto Operazione Daniel. Sotto di lui si parla solo cinese, e i droidi che intercettano materiale audio o video in altri idiomi «inceneriscono» il loro possessore. L’architetto protagonista della Sindrome di Baghdad
, di Zhraa Alhaboby, lotta con il passato per riunire le parti di un antico monumento smembrato (è la statua di re Shahriyar e Sheherazade, delle Mille e una Notte, dello scultore iracheno Mohammed Ghani Hikmat, a Baghdad). Fatica, con antichi documenti, fotografie e video, a mettere assieme i tasselli: il passato è stato cancellato, per paura che possa rivivere. «Antichi nomi e cognomi sono diventati cose pericolose cui attaccarsi, e alle persone sono stati affibbiati nomi nuovi, neutri, liberi da ogni affiliazione a religioni o sette del passato».

Non mancano i toni di speranza, come nella storia che chiude il volume, Najufa (Najaf, città santa dello sciismo), di Ibrahim al-Marashi, dove il passato è raccontato così: sono i «sushi», i figli di matrimoni misti tra sciiti e sunniti - quello tra sunniti e sciiti è lo scisma che da secoli divide il mondo musulmano - ad aver preso le armi cacciando lo Stato Islamico dalle città irachene e mettendo fine alle guerre settarie.

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