venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
08.01.2017 Con lucidità, competenza, coraggio Maurizio Molinari analizza il terrorismo
Sarebbe un ottimo Ministro degli Esteri

Testata: La Stampa
Data: 08 gennaio 2017
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Le tre armi impugnate dal Califfato»

Rirendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/01/2017, a pag.1/23, con il titolo " Le tre armi impugnate dal Califfato", il commento del direttore Maurizio Molinari

Immagine correlata
Maurizio Molinari

Immagine correlata
il califfo Al baghdadi

L'analisi di Maurizio Molinari fa capire al lettore ciò che sta avvenendo nel Medio Oriente, perchè il terrorismo islamico, invece di essere sulla via della sconfitta, progredisce ogni giorno di più. Con lucidità, competenza e anche coraggio, Molinari interprata la storia del terrorsimo come face già in modo magistrale nel suo libro "Jihad, guerra all'Occidente". Descrive gli errori della Amministrazione Obama come raramente leggiamo sui nostri giornaloni.  Critica Obama !Sarebbe un perfetto Ministro degli Esteri, se avessimo un governo capace di capire i pericoli che minacciano la nostra civiltà.

Mettendo a segno una raffica di attentati e azioni militari in tre Continenti nell'arco di appena 21 giorni lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi si è affermato come lo spietato protagonista del passaggio al nuovo anno: si tratta di un prepotente ritorno che smentisce chi lo aveva frettolosamente descritto in dissoluzione, travolto dalle pesanti sconfitte subite sul terreno in Iraq, Siria e Libia nel corso del 2016. L'analisi degli attacchi jihadisti suggerisce che la forza del Califfato si genera da tre motivi convergenti: abilità tattica nella guerra del deserto, presenza di efficienti network salafiti in più Paesi ed una feroce carica ideologica. L'abilità tattica è dimostrata da quanto avvenuto a Palmira, dove l'11 dicembre Isis ha costretto alla fuga i reparti russi e siriani grazie ad un attacco progressivo ovvero messo in atto con raid dalle periferie di piccole unità in rapido aumento, e da quanto sta avvenendo a Mosul, dove i jihadisti resistono con successo all'assedio iniziato in ottobre da iracheni, curdi e milizie sciite grazie all'uso massiccio di cecchini ed autobombe che ha decimato la «Golden Brigate» - le unità scelte di Baghdad - obbligando il premier Haider al-Abadi a ripiegare, inviando in prima linea la polizia.
A queste ammissioni di debolezza da parte di Baghdad, il Califfo ha reagito moltiplicando gli attentati: con le autobombe nel mercato sciita di Sinak nella capitale e l'assalto al quartier generale della polizia a Samarra per un bilancio di quasi cento morti che ha fatto apparire le roccaforti del governo più vulnerabili di quelle jihadiste. Nelle guerre del deserto il conflitto è permanente, non vi sono scontri decisivi e ciò che conta è fiaccare al massimo il nemico per guadagnare tempo e  spazio: è una tattica tribale nelle quale i jihadisti del Califfo eccellono, guidati da ex ufficiali di Saddam Hussein addestrati alla guerriglia che possono contare sulla manovalanza delle tribù sunnite dell'Anbar, timorose della pulizia etnica condotta contro di loro dai reparti sciiti che rispondono agli ordini di Qassem Soleimani, capo della Forza Al Qods dell'Iran.
La presenza di network salatiti dormienti ed efficienti è dimostrata dall'attacco del 20 dicembre contro il castello di Karak, nella prima azione coordinata di un commando nella vulnerabile Giordania di re Abdallah, come anche dalla capacità dei singoli jihadisti di Berlino e Istanbul di colpire, sopravvivere all'attacco e darsi alla fuga grazie a una evidente rete di sostegni che attraversa l'intera Europa, dalla Manica al Bosforo. Per non parlare dell'attacco degli AlShabaab, somali - che aderiscono a Isis - contro l'aeroporto di Modagiscio adoperato dalle forze speciali anti-terrorismo di più Paesi occidentali.
Ma è il terzo elemento - la ferocia della carica ideologica - a indicare ciò che più sostiene il Califfato jihadista a dispetto delle ingenti perdite di territorio, uomini e mezzi subite da Ramadi a Tikrit, fino e Sirte. A suggerire di cosa si tratta è la sequenza fra l'attentato di Anis Amri sulla Breitscheidplatz di Berlino nel giorno di Natale e la strage al nightclub Reina di Istanbul nella notte di Capodanno: il bilancio complessivo di almeno 52 vittime e 126 feriti nasce dalla volontà del Califfo di portare la morte in coincidenza con le feste che più rappresentano la Cristianità. Il Califfato impedisce di celebrarle sui suoi territori perché le considera un'offesa all'Islam, ed ora dimostra di riuscire ad aggredirle anche sui territori di Stati occidentali «infedeli» e musulmani «apostati».
E' come se la legge della Jihad riuscisse a imporsi ovunque, umiliando i cristiani in Occidente come già avviene nel mondo arabo. In questa maniera il Califfato rafforza la propria legittimità, basata sulla violenza, agli occhi dei seguaci e moltiplica la capacità di reclutamento da cui dipende l'alimentazione della propria guerra permanente. A confermare la capacità di penetrazione ideologica del Califfato c'è l'assassinio ad Ankara dell'ambasciatore russo Andrey Karlov perché il killer, un ex agente della sicurezza di Recep Tayyp Erdogan, prima di sparargli ha urlato «Allah hu-Akbar» richiamandosi alle vittime di Aleppo ovvero uno dei campi di battaglia jihadisti.
Che il killer fosse o meno dell'Isis conta assai meno del fatto che ne ha de facto espresso il credo ideologico al momento del «martirio».
Se il Califfo riesce a cogliere tali e tanti risultati è anche a seguito di errori e mosse false dei suoi maggiori avversari, a cominciare dagli Stati Uniti. Il presidente americano Barack H. Obama ha condotto contro Isis dal giugno del 2014 la più inefficace delle campagne aeree e nelle ultime settimane di mandato non ha accresciuto la pressione militare, continuando ad avere un basso profilo contro il terrorismo jihadista e preferendo agire per indebolire politicamente due Paesi - Israele e Russia - molto esposti nel combatterlo. Quali che siano i motivi di tali iniziative di Obama, l'impatto in Medio Oriente è stato di confermare il distacco Usa dal conflitto contro Isis.L'interrogativo è se il successore, Donald J. Trump, dal 20 gennaio vorrà e saprà rovesciare tale approccio restituendo all'America il ruolo di Paese leader nella guerra ai jihadisti frutto dell'attacco subito I'11 settembre 2001: assegnando alla Nato la nuova missione di cui ha bisogno per tornare protagonista, rafforzando la cooperazione strategica con Israele e coniando un'intesa proprio con la Russia di Vladimir Putin, trasformandola da avversario nel cyberspazio ad alleato nel conflitto del deserto per sconfiggere il Califfo del terrore.

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT