lunedi` 29 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
24.12.2016 L'opinione di Gilles Kepel: basta con la favola dei 'lupi solitari'
L'intervista di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 24 dicembre 2016
Pagina: 5
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Non pensate di essere al sicuro, paesi come Italia e Germania sono il ventre molle d'Europa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/12/2016, a pag.5, con il titolo " Non pensate di essere al sicuro, paesi come Italia e Germania sono il ventre molle d'Europa ", l'intervista di Francesca Paci a Gilles Kepel

Immagine correlataImmagine correlata
Ed.Gallimard,                                     Francesca Paci
non tradutto in italiano (già, come mai...)

Gilles Kepel è, fra gli intellettuali francesi esperti di Medio Oriente, uno che all'interno della sinistra ha iniziato ad aprire gli occhi sui legami tra islam e terrorismo, senza il timore di essre accusato di islamofobia.
Per lui, a differenza della maggior parte dei cosiddetti esperti, anche nostrani, Amri non è un 'lupo solitario'. Pensarlo è da ciechi.  Verremo a conoscere perchè da Berlino era voluto arrivare a Sesto San Giovanni, dopo una sosta di tre ore -diconsi tre ore- a Torino. A fare che?

Ecco l'intervista:

Gilles Kepel lo ripete da tempo. Il noto islamista francese ha sempre messo in guardia il nostro Paese, a suo dire troppo “sicuro” di essere al riparo dal terrorismo jihadista che ha insanguinato la Francia e il Belgio. Dopo la Germania toccherà all’Italia? Secondo Kepel l’ideologia sottesa allo Stato Islamico non fa distinzioni nazionali: l’intera Europa è il campo di battaglia dove sconfiggere l’apostasia.
Amri è arrivato a Milano dove però è stato ucciso. Possiamo per una volta lodare la sicurezza anziché biasimarne le falle?
«Certo. Poi però bisognerà raccontare il percorso di Amri nelle carceri italiane, dov’è diventato jihadista. L’Italia non è immune dal terrorismo, come si è illusa finora di essere all’ombra della Chiesa e del dialogo religioso. Diversamente dalla Francia, l’Italia e la Germania non sono abituate agli attentati ma proprio per questo sono considerate il ventre molle d’Europa, i Paesi le cui intelligence sono state messe meno alla prova delle altre ma dove i terroristi vogliono ugualmente scatenare la guerra civile».
Alla rivendicazione di Berlino da parte dell’Isis è seguito il video testamento di Amri. Come si concilia con il fatto che in apparenza non avesse reti in Italia?
«Può darsi che Amri abbia deciso da solo e non seguisse istruzioni, ma di sicuro aveva un bersaglio che coincide con l’Isis e ha trovato il suo modo di colpire. Bisogna uscire da un grande equivoco: Amri non è un lupo solitario e nessuno dei protagonisti degli ultimi attentati lo è. Si muovono in una cornice ideologica, ignorarlo significa non capire gli jihadisti di terza generazione. Eppure è tutto scritto nel manifesto di Abu Musab al Suri del 2005 in cui si fa appello ai giovani europei, musulmani e convertiti, per colpire in una logica diversa dal passato: questi giovani non sono inquadrati in un’organizzazione, tanzim, ma in un sistema, nizam. Al centro ci sono le reti sociali perché lì è possibile l’attivazione dei terroristi senza un’organizzazione. Amri, per esempio, era noto ai servizi americani che avevano rilevato come fosse stato in contatto con l’Isis via Telegram. Non a caso era stato arrestato per terrorismo e rilasciato».
Qual è il sistema in cui si è mosso Amri colpendo Berlino?
«In Germania c’erano stati dei precedenti: Würzburg, Ansbach, il siriano sospettato di voler compiere un attentato e poi suicida in carcere. Sebbene l’agenzia stampa del Califfato, Amaq, abbia sempre rivendicato, l’intelligence ha continuato a ritenerli episodi isolati diversi da quelli francesi. Sbagliato. Tra Nizza e Berlino ci sono molti parallelismi simbolici. Il camion, una volta bianco e l’altra nero, i colori della bandiera dell’Isis. Le date. A Nizza il 14 luglio, la laicità, l’illuminismo che nasce simultaneamente al salafismo wahabita, l’edonismo. A Berlino, il Natale, la festa dei cristiani. L’obiettivo da distruggere è l’intero bagaglio europeo, il modernismo e la tradizione religiosa, non dimenticate che l’ultima vittima francese è stato il prete sgozzato in Normandia. Questa ideologia jihadista vuole portare la guerra civile in Europa alimentando quanto dà il titolo al mio nuovo libro, «La Fracture» (Gallimard), la frattura tra la società e i musulmani che, per esempio, hanno visto l’estate scorsa le spiagge francesi riempirsi ad arte di burqini affinché si scatenasse una reazione tale da poter descrivere il Paese come il gulag dell’islam».
Cosa consiglia alle intelligence?
«In primis va compresa la sfida che abbiamo di fronte. Continuare a pensare che siamo passati dal terrorismo rosso e nero a quello verde non serve. C’è una specifica dimensione ideologica della jihad di terza generazione, una rivoluzione culturale transitata dal basso: bisogna capire che il messaggio jihadista è congruente con le reti sociali. Il testo di al Suri è del 2005, arriva a ridosso del debutto di YouTube. I neo terroristi utilizzano benissimo il digitale: rispetto a loro, i servizi occidentali hanno 10 anni di ritardo, non ne capiscono la letteratura, usano la griglia interpretativa della guerra fredda e dell’estremismo politico del ’900».
C’è un rapporto tra la jihad all’opera in Europa, la sconfitta militare del Califfato dalla Siria alla Libia e l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara?
«La caduta di Aleppo non dice molto sulla sconfitta dell’Isis perché lì sono stati battuti i ribelli sostenuti dal Golfo e dall’Occidente mentre nelle roccaforti dello Stato Islamico come Mosul l’avanzata è più lenta. La ri-perdita di Palmira potrebbe essere stata favorita proprio da Damasco e dai russi per far vedere come, nel pieno delle proteste contro l’assedio di Aleppo, l’Isis restasse la minaccia prioritaria. Queste tensioni e l’implosione del Medioriente hanno una ricaduta diretta sulla Turchia, dove il poliziotto assassino, ex guardia pretoriana di Erdogan, ci svela le enormi contraddizioni del Paese che puntava al controllo regionale sunnita-ottomano attraverso la cacciata di Assad e ora paventa la nascita di uno Stato curdo. La nuova alleanza di Erdogan con Mosca apre scenari foschi perché finora la Turchia ha avuto un ruolo di stabilità, l’espansione dell’Isis era un fenomeno traducibile ma di fatto arabo. Invece il poliziotto killer suggerisce che il mercato è aperto e l’Isis può iniziare a reclutare anche i giovani turchi finora rimasti distanti dalla jihad».

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT