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La Stampa Rassegna Stampa
18.12.2016 Mogherini è fiera perchè la UE non bombarda Aleppo
E' il Mogherini-pensiero nella intervista di Bresolin/Zatterin

Testata: La Stampa
Data: 18 dicembre 2016
Pagina: 11
Autore: Marco Bresolin-Marco Zatterin
Titolo: «Mogherini: 'Putin brutale in Siria, solo l'Ue ha un piano per la pace'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/12/2016, a pag.11, con il titolo "Mogherini: 'Putin brutale in Siria, solo l'Ue ha un piano per la pace' "l'intervista di Marco Bresolin e Marco Zatterin.

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Mogherini col velo, di fianco al ministro degli esteri iraniano Zarif

L'intervista di Bresolin/Zatterin a Federica Mogherini va letta con attenzione per capire quanto la ministra degli esteri della Ue sia abile a friggere l'aria. Su questo è imbattibile. Se uno si chiedesse a che cosa serve l'Unione europea a proposito dei massacri che avvengono in Siria, le responsabilità di Putin, come si può risolvere il problema dei migranti irregolari, leggendo il Mogherini-pensiero troverebbe che l'unica affermazione comprensibile della signora è "sono molto fiera perchè l'Europa non sta bombardando Aleppo". Incredibile, ssembra una barzelletta. Naturalmente evita ogni riferimento all'Iran, quando tutti sanno che è da Teheran che parte il terrorismo organizzato dagli ayatollah. Ma Mogherini è troppo in buoni rapporti con l'Iran per cui il suo silenzio è d'oro.

 
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Marco Bresolin                         Marco Zatterin

Vladimir Putin fa la guerra e parla di pace. Aggredisce, duella con l’Occidente, negozia, convoca vertici con turchi e iraniani. Per farla breve, domina la scena siriana. E l’Europa dov’è? «Non dove è la Russia, e sono molto fiera che non stia bombardando Aleppo», risponde rapida Federica Mogherini: «Per una scelta politica presa molti anni fa, l’Unione europea non è un attore militare sul palcoscenico siriano». Eppure, incalza l’Alto rappresentante per la Politica estera, «sarebbe riduttivo dire che il nostro è solo un soft power». Perché l’Ue ha investito 9 miliardi dall’inizio della crisi per controbilanciare una situazione drammatica. E perché si sta preparando per il dopo. «Siamo gli unici che parlano con tutti», assicura. E, visto che il multilateralismo in quella regione non funziona, «lavoriamo attraverso i nostri rapporti bilaterali per evitare che la Siria diventi un buco nero, un nuovo Iraq o una nuova Libia». Il 2016 sta finendo. «Non un anno semplice», concede l’ex ministro degli Esteri, persuasa che quello che arriva non si presenta più facile. «Ci saranno elezioni in almeno quattro Paesi europei», è il conteggio che include l’Italia. Più Trump, Brexit, migranti. E Siria. In gennaio la signora Mogherini riceverà i delegati degli Stati interessati dal conflitto siriano. Vuole tessere la tela che darà all’Europa il ruolo di playmaker diplomatico. Per «trasformare la guerra per procura in una pace per procura».
Questo è il domani. E oggi che cosa fate per la crisi siriana?
«Aiutare la Siria in questo momento vuol dire anzitutto evitare di bombardarla. Siamo il principale donatore, dal punto di vista umanitario: quasi tutti gli aiuti che i siriani ricevono arrivano grazie all’Ue e all’Onu che li porta. Scuole per bambini, acqua, medicinali. Il nostro impegno diplomatico comincia da qui».
E come si svolge?
«Guardando avanti. Ho avviato un dialogo diretto con tutti gli attori regionali: Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Giordania, Libano, Qatar, Emirati. E con i siriani, con le diverse componenti delle opposizioni e ciò che resta della società civile. Non nuovi formati o riunioni multilaterali, ce ne sono già stati troppi, bensì incontri bilaterali in accordo con l’Onu. Cerchiamo risposte comuni a quattro domande: quale unità per la Siria? Quale forma di governo? Come gestire la riconciliazione? Come ricostruire il Paese dal punto di vista economico? La ricostruzione costerà cifre enormi. Probabilmente a Mosca, e forse a Washington, finita la guerra qualcuno considererà il capitolo chiuso. Noi, no».
A che condizioni?
«Il nostro impegno per la ricostruzione sarà legato all’avvio di una reale transizione politica in Siria che possa condurre davvero il Paese verso la pace».
Tra i Paesi dell’Ue restano ampie divergenze sull’atteggiamento con i russi. Molti considerano la linea europea troppo morbida.
«I governi sono tutti d’accordo sul fatto che il comportamento della Russia, soprattutto ad Aleppo, è di una brutalità inaccettabile. Non vedo distinguo su questo. Così come siamo tutti d’accordo nel dire che con la Russia, sulla Siria e non solo, serve un canale politico aperto. Le conclusioni del Consiglio europeo includono un mandato per il mio lavoro sulla Siria, compresi anche contatti diretti e continui con tutti. Anche con Mosca».
Quello su cui invece l’Ue è divisa sono i migranti. Come sarà possibile trovare un accordo sulla riforma del diritto d’asilo?
«C’è un problema molto serio sul fronte interno delle politiche migratorie. Perché le proposte che la Commissione aveva fatto si sono arenate e perché il Consiglio non trova ancora oggi un punto di convergenza su come affrontare il tema della solidarietà. Spero che la presidenza maltese riuscirà a far fare un passo in avanti. Se tutto il peso viene lasciato su alcuni Stati, il sistema non regge. La Commissione continuerà a spingere per un meccanismo di solidarietà interna. Su questo l’Italia può contare di averci dalla sua parte. Ma il nodo va risolto dai governi nazionali, all’interno del Consiglio».
C’è chi considera pretestuosa la battaglia dell’Italia sulla riforma di Dublino perché la maggior parte dei migranti che arrivano sono irregolari.
«Il tema di Dublino è fondamentale. Incide sui numeri dell’accoglienza ed è una questione di principio: l’Europa è una comunità solidale o no? Il tema va al di là dell’asilo. L’Italia fa bene a concentrarsi su tutti i fronti: Dublino, lotta ai trafficanti, salvataggio delle vite, rimpatri, investimenti nei Paesi di origine. È un lavoro che stiamo facendo insieme».
Su quest’ultimo fronte, il Consiglio ha riconosciuto i progressi fatti con i Compact nei cinque Paesi coinvolti. Avanti così?
«Iniziamo a vedere i risultati. Guardate il Niger, Paese di transito dei migranti che poi vanno in Libia. A maggio erano stati registrati 70 mila migranti, a novembre i passaggi sono scesi a 1500. Questo grazie al Compact, ai progetti mirati che prevedono anche rimpatri volontari nei Paesi di origine».
Giovedì al Consiglio europeo c’è stato l’esordio di Gentiloni: dopo il referendum, si è ridotto il peso dell’Italia a Bruxelles?
«No. L’Italia è un Paese solido, il governo è stimato. Ovviamente avrei preferito di gran lunga avere uno scenario diverso, con una vittoria del sì, con l’esecutivo Renzi ancora in carica e una riforma costituzionale di cui l’Italia ha bisogno. Però la saggezza e la rapidità con cui Mattarella ha gestito la crisi hanno dimostrato la solidità delle istituzioni e del Paese, cosa molto apprezzata dai nostri partner europei e no. E anche la reazione dei mercati è stata contenuta. Abbiamo dimostrato piena capacità di gestire bene i passaggi turbolenti e di crisi. Non vedo un problema di debolezza del governo italiano».
Tra l’atteggiamento di Renzi e quello di Gentiloni, però, c’è un abisso. Da alcune cancellerie era emersa insofferenza per certi atteggiamenti ostili dell’ex premier.
«Quelle dell’Italia non sono state politiche “ostili” prima e non lo sono adesso. Anzi, sono battaglie che servono molto all’Europa, sulla solidarietà e sull’economia. Sono per l’Europa, non contro. Detto questo, certamente Gentiloni e Renzi hanno due caratteri diametralmente opposti e stili diversi. Ma gli obiettivi e le scelte politiche sono le stesse».

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