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La Stampa Rassegna Stampa
05.11.2016 Turchia, Erdogan arresta i parlamentari curdi: pietra tombale sulla democrazia
Cronaca di Marta Ottaviani

Testata: La Stampa
Data: 05 novembre 2016
Pagina: 4
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «Erdogan fa arrestare i leader curdi: 'Sostengono il terrorismo del Pkk'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/11/2016, a pag. 4, con il titolo "Erdogan fa arrestare i leader curdi: 'Sostengono il terrorismo del Pkk' ", la cronaca di Marta Ottaviani.

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Marta Ottaviani

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Recep Tayyip Erdogan

«Türkiye’de demokrasinin sonu»: è la fine della democrazia in Turchia. Rispondevano così ieri i dirigenti dell’Hdp dopo quello che tutti considerano un punto di non ritorno. La polizia turca ha arrestato sette parlamentari dell’Hdp, il partito curdo in parlamento. Fra questi c’è il leader carismatico del movimento, Selahattin Demirtas, giudicato da molti l’unico realmente in grado di impensierire la popolarità del presidente Recep Tayyip Erdogan. Un colpo durissimo, che suscita allarmi a livello internazionale e spinge l’Ue a parlare di «democrazia compromessa».

Sono in un carcere di massima sicurezza a Kocaeli, una terra di nessuno alle porte di Istanbul, tutti accusati di sostegno a organizzazione terroristica, nello specifico il Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che da anni lotta per la creazione di uno Stato curdo e che in realtà Demirtas dal 2013 ha sempre cercato di tenere il più lontano possibile dall’azione politica dei curdi.
Il suo ultimo messaggio al popolo curdo è stato «non ci arrenderemo, continueremo a combattere con le armi della democrazia e la pace».

Il premier Binali Yildirim ha sottolineato che gli arresti sono stati possibili perché lo scorso maggio il Parlamento ha votato con una maggioranza non amplissima una legge per togliere l’immunità a 183 deputati, soprattutto curdi. Se gli imputati si fossero presentati spontaneamente davanti al giudice, ha sottolineato Yildirim, non ci sarebbe stato bisogno di andarli a prendere. Dall’altra parte l’Hdp ha sempre sostenuto che le prove a carico dei suoi dirigenti erano inconsistenti al limite dell’inesistenza e che con il repulisti operato dal presidente Erdogan dopo il fallito golpe dello scorso luglio anche nella magistratura avere un processo giusto sarebbe stato praticamente impossibile. Ma c’è dell’altro ed è qualcosa di non trascurabile, anche se non emerge immediatamente. Demirtas è stato il leader a dichiarare con maggiore forza che le dinamiche della notte del golpe non erano del tutto trasparenti. La sua tesi, divulgata dentro e fuori i confini nazionali, è che Erdogan e l’Akp sapessero perfettamente cosa stava per succedere e non abbiano fatto nulla per approfittare del caos successivo e mettere a tacere le voci di dissenso con lo stato di emergenza, che è già stato rinnovato di tre mesi e che secondo fonti vicine all’esecutivo andrà avanti «finché la minaccia terroristica non sarà estirpata».

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Combattenti curde

Nel Paese regnano il caos da una parte e l’indifferenza dall’altra. A Diyarbakir, nel Sud-Est a maggiorana curda, un’autobomba ha provocato otto morti, fra cui sei civili. A Istanbul e Ankara, manifestazioni spontanee sono state represse con la violenza. Ma per la Turchia alla ricerca disperata di normalità, pena accettare tutte le condizioni di Erdogan, l’unico problema è stato il blocco totale di internet e dei social che ha interessato una buona fetta del Paese. L’Unione Europea protesta, Erdogan tace. Certo che finché c’è l’accordo sui migranti avrà carta bianca. Il suo popolo lo segue, per convinzione, paura e convenienza.

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