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La Stampa Rassegna Stampa
01.11.2016 Le menzogne di Abu Mazen
Lo intervista Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 01 novembre 2016
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Abu Mazen: 'Siamo contro la guerra, pronti a discutere i confini con Israele'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/11/2016, con il titolo "Abu Mazen: 'Siamo contro la guerra, pronti a discutere i confini con Israele' ", l'intervista di Maurizio Molinari a Abu Mazen.

L'intervista di Maurizio Molinari è interessante perché consente di rivelare le menzogne del dittatore "moderato" Abu Mazen:

1) "L’iniziativa francese è la migliore e la proposta della Lega Araba è la più importante": così Abu Mazen definisce due iniziative che non hanno l'obiettivo di avvicinare la pace, ma solo di danneggiare Israele. Si tratta di programmi unilaterali che Israele - per le sue minimali esigenze di sicurezza - non può accettare.

2) "Occupazione": è questo il mantra ripetuto dal dittatore "moderato".

3) "Noi siamo per i due Stati, per la pace, contro la violenza armata, per l’iniziativa araba e per quella francese, ciò che manca lo deve chiedere al premier Netanyahu. Siamo per la fine dell’occupazione con il ritiro di Israele": Abu Mazen si traveste da colomba, ma il suo programma prevede da anni un "terrorismo a bassa intensità" fatto non di attentati eclatanti, ma di propaganda perché gli attentati avvengano, di diffusione di odio contro israeliani ed ebrei in generale, di glorificazione dei terroristi. I finanziamenti alle famiglie dei 'martiri' e i finanziamenti diretti ai terroristi nelle carceri israeliane, non una parola! E le piazze e le vie intestate ai terroristi ? Anche il tentativo di ricucire con i terroristi di Hamas va in questa direzione.

4) "Noi riteniamo che Gerusalemme appartenga a tutte e tre le grandi religioni: islam, cristianesimo ed ebraismo. Non capisco in verità tutto lo scalpore causato dal voto dell’Unesco perché non si è trattato di una risoluzione di tipo politico, il testo ha trattato solo alcuni aspetti archeologici": la menzogna qui è enorme, perché il voto Unesco è stato esplicitamente uno strumento politico nella guerra per la delegittimazione di Israele. Affermare che Gerusalemme sia città di tutti significa cancellare il legame storico dell'ebraismo con la capitale di Israele: un altro passo verso la delegittimazione e la negazione della realtà.

5) "Loro perseguono la violenza, noi no": così Abu Mazen distingue Anp da Hamas. In realtà il terrorismo di Hamas è più massiccio e guerresco, ma la Anp da sempre è una roccaforte di diffusione dell'odio e attentati contro Israele e gli ebrei nel mondo (Anp + Fatah).

Anche la REPUBBLICA pubblica oggi un'intervista di Fabio Scuto a Abu Mazen in cui vengono ripetute le stesse menzogne contro lo Stato ebraico. Scuto ci aggiunge del suo, definendo in apertura "equidistante" la linea politica di Abu Mazen. Una definizione contraddetta dalle stesse dichiarazioni d'odio del boss dell'Anp poche righe sotto.

Ecco l'intervista:

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Maurizio Molinari

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Abu Mazen

Al centro della città palestinese più prospera e vivace c’è la Muqata dove, al secondo piano, poco distante dall’ex ufficio di Yasser Arafat, incontriamo il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas). È circondato dai consiglieri, tiene la sigaretta elettronica in mano ed ha alle spalle la gigantografia della Moschea di Gerusalemme. Abbas spiega l’agenda negoziale che ha in mente per superare lo stallo con Israele: «L’iniziativa francese è la migliore e la proposta della Lega Araba è la più importante ma siamo aperti anche a possibili passi da parte dell’Italia». Il ruolo dell’America resta sullo sfondo perché il fallimento nel 2015 del negoziato condotto da John Kerry ha lasciato il segno. Abbas si dice disposto a «discutere di confini» con Israele, partendo dalla spartizione Onu del 1947, e non condivide le proteste contro la recente risoluzione dell’Unesco su Gerusalemme. Parla in coincidenza con l’incontro odierno con il presidente italiano, Sergio Mattarella, affermando «la volontà di cercare in ogni modo di porre fine al conflitto con Israele sulla base della formula dei due Stati». Anche perché, superata la boa degli 81 anni, è alle prese con la perdurante spaccatura con Hamas e gli incerti scenari di una possibile successione.

Sul fronte negoziale vi sono oggi tre iniziative sul tavolo: quella della Lega Araba, l’offerta di Putin di ospitare colloqui diretti a Mosca e la proposta di una conferenza internazionale da parte della Francia. A quale crede di più?
«La proposta della Lega Araba è quella più importante. Prevede il riconoscimento di Israele da parte di 58 Paesi arabi e musulmani se porranno fine all’occupazione. Risale al 2002, noi la sosteniamo da allora, vi crediamo, perché può avere un impatto vasto, strategico, portando a una nuova atmosfera in tutta la regione. Riguardo alla Russia, quando il presidente Vladimir Putin ci ha invitato a Mosca io sono andato mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu non si è presentato. La proposta migliore è tuttavia, a mio avviso, quella francese perché ha una natura internazionale come quella che ha portato all’accordo con l’Iran sul programma nucleare. La cornice internazionale dà migliori garanzie perché lunghi anni di negoziato bilaterale con Israele non hanno prodotto risultato concreto. Anche l’amministrazione americana sostiene l’iniziativa francese. Al primo appuntamento a Parigi, ospitato dal presidente Hollande, non siamo andati né noi né gli israeliani ma si è creata la cornice internazionale adatta alla partecipazione di entrambi».

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A suo avviso da dove nasce la difficoltà a raggiungere un’intesa finale sul conflitto con lo Stato di Israele?
«Noi siamo per i due Stati, per la pace, contro la violenza armata, per l’iniziativa araba e per quella francese, ciò che manca lo deve chiedere al premier Netanyahu. Siamo per la fine dell’occupazione con il ritiro di Israele ai confini del 1967 perché nel 1947 le Nazioni Unite assegnarono ai palestinesi solo il 22 per cento del territorio dell’allora Palestina. L’attuale situazione è insostenibile perché non c’è contiguità fra le aree che controlliamo e non abbiamo infrastrutture fondamentali come ad esempio un aeroporto internazionale. Ma sono pronto a discutere con Netanyahu su dove correranno i confini. Siamo aperti, vogliamo arrivare a un’intesa e rifiutiamo la violenza. Gli israeliani ora affermano che vogliono prima il riconoscimento come Stato ebraico ma in precedenza chiedevano altre cose».

Lei sta per incontrare il presidente Mattarella, cosa vi aspettate dall’Italia?
«Con l’Italia abbiamo un rapporto di antica amicizia e collaborazione. L’Italia ci dà un importante contributo per il sostegno economico al nostro Stato. Abbiamo posizioni convergenti su molti argomenti e condividiamo la soluzione dei due Stati. Certo, il vostro Parlamento si è detto a favore del riconoscimento della Palestina e dunque ci aspettiamo che il governo di Matteo Renzi lo faccia. Con Renzi i rapporti sono ottimi e se l’Italia dovesse avanzare una sua iniziativa per arrivare alla conclusione dell’occupazione e del conflitto, la prenderemo molto seriamente. Incontrerò il presidente Mattarella a Betlemme, dove abbiamo contribuito al completamento dei lavori per il restauro della Basilica della Natività nel quadro della nostra stretta collaborazione con il Vaticano, confermata dal fatto che loro ci riconoscono come Stato».

Il presidente israeliano Reuven Rivlin afferma di vedere nella confederazione «fra due entità, con confini aperti» una possibile formula di convivenza duratura fra israeliani e palestinesi. Lei cosa ne pensa?
«Prima bisogna arrivare all’accordo sui due Stati, poi si potrà discutere di una eventuale confederazione fra Palestina e Israele. In tale prospettiva comunque la questione destinata a porsi sarà quella della sicurezza e noi siamo da tempo a favore dello schieramento di contingenti della Nato nelle aree più critiche».

Uno degli ostacoli più difficili con Israele resta il futuro di Gerusalemme. La risoluzione dell’Unesco che nega i legami fra la città e l’ebraismo ha suscitato vivaci proteste. Cosa ne pensa?
«Noi riteniamo che Gerusalemme appartenga a tutte e tre le grandi religioni: islam, cristianesimo ed ebraismo. Non capisco in verità tutto lo scalpore causato dal voto dell’Unesco perché non si è trattato di una risoluzione di tipo politico, il testo ha trattato solo alcuni aspetti archeologici».

L’Europa e Israele si sentono minacciate dal terrorismo di Isis che, con più video e dichiarazioni, si è scagliato anche contro di voi. Cosa pensa di tale minaccia, quale è la sua origine e come può essere sconfitta?
«Isis è contro di noi, contro Israele e contro di voi perché proviene da elementi religiosi. La sua genesi è il fondamentalismo che deve essere combattuto e sconfitto. Purtroppo in alcuni Paesi arabi non lo affrontano. Noi in Palestina lo combattiamo».

Come legge gli sconvolgimenti in corso all’interno del mondo arabo e l’indebolimento progressivo degli Stati nazionali?
«Alcuni Stati hanno problemi politici interni che non affrontano. Dal 2011 in Tunisia, Siria e Libia abbiamo visto quali sono le conseguenze di tale mancanza di azione. Più volte ho detto personalmente a molti leader di Paesi arabi di affrontare con urgenza tali problemi interni».

A ben vedere anche lei ha problemi interni. Le elezioni amministrative palestinesi non si sono potute svolgere a causa delle perduranti divergenze con Hamas. Ha un piano per risolverle?
«Sono appena stato in Turchia e poi in Qatar, dove ho visto anche Khaled Mashaal e Ismail Haniyeh, leader di Hamas. Ho cercato la formula di un’intesa internazionale, avanzando proposte concrete per far svolgere su tutti i territori palestinesi, tanto in Cisgiordania che a Gaza, elezioni trasparenti. Ma non le hanno accettate».

Cosa c’è alla base del contrasto con Hamas?
«Il fatto che non abbiamo sostenuto le loro guerre con Israele nel 2006, 2008 e 2014. Siamo contro gli attentati, il terrore e i lanci di missili contro Israele come, certo, siamo anche contro i bombardamenti israeliani su Gaza. Loro perseguono la violenza, noi no».

Eppure anche in Cisgiordania avvengono violenze contro Israele, quale è l’origine dell’«Intifada di Al Aqsa»?
«Hamas prova ad entrare in Cisgiordania ma facciamo di tutto per fermarli. Abbiamo a tal fine una collaborazione di sicurezza con Israele a cui tengo molto e che funziona assai bene. Li combattiamo perché non vogliamo la loro violenza».

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