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La Stampa Rassegna Stampa
29.07.2016 Le grandi purghe di Erdogan: migliaia di arresti, decine di migliaia di epurazioni
Cronaca di Marta Ottaviani

Testata: La Stampa
Data: 29 luglio 2016
Pagina: 15
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «Nella Turchia spaccata a metà Erdogan si riprende l'esercito»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/07/2016, a pag. 15, con il titolo "Nella Turchia spaccata a metà Erdogan si riprende l'esercito", la cronaca di Marta Ottaviani.

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Marta Ottaviani

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Recep Tayyip Erdogan con i baffi di Hitler

La Turchia è divisa fra chi festeggia sinceramente il golpe scampato, chi fa la coda con la bandiera in mano, pronto a gustarsi un panino gratis e chi approfitta degli ultimi saldi, anche grazie ai mezzi gratuiti da quasi due settimane. Dall’altra parte c’è la Turchia delle migliaia di epurati e arrestati, delle decine di giornali chiusi nel silenzio. Il silenzio di chi non ha potuto denunciarlo e di chi non lo vuole fare perché la situazione gli va bene così o ha paura di finire coinvolto nella più grande purga che il Paese abbia mai visto e che non riguarda più i soli gulenisti, i seguaci dell’ex imam Gulen, ormai considerato alla base di tutti i guai della Mezzaluna, ma a chiunque possa diventare un elemento di disturbo. Ultimo esempio: nella notte tra mercoledì e giovedì 1684 militari sono stati arrestati.

Il capo supremo
Uno scenario orwelliano dove, incontrastato, spicca il presidente Recep Tayyip Erdogan, sempre più simile a una guida suprema della nazione, che si prepara a dare lo scacco matto. Ieri si è diffusa la notizia che i servizi segreti e lo Stato Maggiore dell’esercito passeranno sotto la competenza della presidenza della Repubblica, mentre le Forze Armate e la Gendarmeria, saranno controllate rispettivamente dal ministero della Difesa e da quello dell’Interno. Questo, mentre il numero generali e ammiragli arrestati, è salito a 178, circa il 50% del totale, che verranno sostituiti da graduati finiti in carcere in precedenza con l’accusa di golpe durante il processo contro Ergenekon e che sono stati riabilitati alla velocità della luce. «Si tratta di una mossa ben precisa – spiega Abdullah Bozkurt, ex editorialista del quotidiano Zaman, chiuso dal governo -. Molti dei generali scelti hanno simpatie ultranazionaliste e anti Nato e quindi possono solo vedere bene l’asse con la Russia e la Cina che Erdogan sta cercando di costruire». Il prossimo 9 agosto, il presidente volerà a San Pietroburgo per incontrare Putin e stringere una nuova alleanza.

I panini dei manifestanti
Tutte cose che non sembrano interessare alla folla che a distanza di due settimane dal golpe fallito continua a riversarsi per le strade, anche se in calo, per celebrare Erdogan. Arrivano in piazza Taksim già dal primo pomeriggio, attirati anche dai panini che il Comune di Istanbul sta facendo distribuire da giorni. Molti inneggiano ad Allah, per tutti Erdogan è il salvatore. Le oltre 60mila persone che hanno perso il posto di lavoro, i 15mila arrestati, gli oltre 20mila a cui è stato ritirato il passaporto, sono nemici della nazione. Il governo sta caricando questi giorni post golpe di tutta l’enfasi possibile, per calamitare ancora più consensi e isolare le voci critiche. Nelle metropolitane vengono diffusi i volti di chi ha perso la vita in quella tragica notte di due settimane fa. Alle fermate della metrotramvia è un risuonare unico di musiche nazionaliste o marce ottomane. Le televisioni, quelle rimaste aperte, non fanno altro che trasmettere le adunate di piazza, con le telecamere che le inquadrano in modo da fare credere ci sia più gente.
E, nell’ombra e nel silenzio, c’è chi ha paura e aspetta la sua ora. «Vivo segregato in casa da qualche giorno – spiega O. T., uno dei giornalisti che lavorava nei quotidiani chiusi -. So che verrà a prendermi la polizia prima o poi. Ma al momento la mia preoccupazione è venire attaccato se metto il naso fuori dal portone. Perché lo sanno chi sono e perché adesso il vero problema è la gente, le frange più radicali ormai legittimane a scendere in strada». «Hakimiyet Milletindir»: la sovranità appartiene alla nazione. Il popolo turco sembra esserne ancora convinto, anche se nel Paese e da tempo decide uno solo.

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