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La Stampa Rassegna Stampa
27.04.2016 Libia: così l'oro nero può far riesplodere il conflitto
Analisi di Rolla Scolari, Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 27 aprile 2016
Pagina: 8
Autore: Rolla Scolari; Francesco Semprini
Titolo: «Così l'oro nero può far riesplodere il conflitto Tripoli-Tobruk»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/04/2016, a pag. 8, con il titolo "Così l'oro nero può far riesplodere il conflitto Tripoli-Tobruk", l'analisi di Rolla Scolari, Francesco Semprini.

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Rolla Scolari, Francesco Semprini


Le principali aree petrolifere in Libia

Il tentativo del governo della Libia orientale di esportare 650 mila barili di greggio pesa quanto un voto ostile del Parlamento di Tobruk nei confronti del premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj. La petroliera Distya Ameya è stata bloccata ieri dalle autorità maltesi al largo delle coste dell’isola. Era partita dal terminal petrolifero di al-Hariga, e il suo carico era destinato a una società - la Dsa Consultancy Fzc - con base negli Emirati, assieme all’Egitto sostenitore dei politici dell’Est libico. Il carico è «illegale», dicono i vertici della Noc, la Compagnia nazionale petrolifera di Tripoli. È però legale per la stessa compagnia con sede a Baida, nell’Est.

Se i leader di Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti danno per scontata la legittimità di Sarraj, che non ha ricevuto l’appoggio del Parlamento di Tobruk, la petroliera salpata ieri racconta un’altra storia. «È un tentativo di non riconoscere il governo di Tripoli, di mettere la comunità internazionale davanti a un fatto compiuto e andare verso la separazione», spiega Karim Mezran, analista libico dell’Atlantic Council.

I giacimenti di petrolio in Libia sono equamente distribuiti fra la Tripolitania, a Ovest, e la Cirenaica, a Est. Prima della guerra del 2011, la Libia produceva 1,6 milioni di barili al giorno, oggi 360 mila. In totale sono pari a 60 mila miliardi le riserve di greggio nel Paese. Continua a essere prodotto gas, le cui riserve invece ammontano a 1.500 miliardi di metri cubici. Tra i più attivi in questo comparto c’è soprattutto Eni, che opera su giacimenti offshore e onshore: il gas alimenta quattro centrali termoelettriche per il consumo interno, il resto arriva in Sicilia tramite il gasdotto Greenstream.

Mustafa Sanalla, a capo della Noc di Tripoli, ha detto che con il nuovo corso di Sarraj Tripoli punta a unificare la produzione di greggio alla quota di un milione di barili. La mossa dell’Est va però in un’altra direzione. Ricorda Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, che i pagamenti delle esportazioni di greggio arrivano sul conto della Banca centrale, ora controllata da Sarraj.

La leadership dell’Est evidentemente ha però trovato qualcuno che riconosce la sua autorità e ha un modo alternativo di pagare. Una risoluzione di marzo del Consiglio di sicurezza dell’Onu, infatti, condanna l’esportazione illecita di greggio dalla Libia, come è stata considerata dal governo maltese il quale si è rifiutato di far attraccare la Distya Ameya, che si troverebbe a 12 miglia nautiche dalla costa libica, in attesa di istruzioni. II transponder di bordo è spento, l’ultimo segnale è stato inviato a poche miglia dal confine tra Egitto e Libia. Un passo falso che non fermerà il generale Khalifa Haftar pronto a tentare rotte e mete diverse, ma col rischio di assistere a un finale già visto. Nel marzo 2014, i Navy Seals Usa sono saliti a bordo della Morning Glory, salpata dal porto di Es Sider in mano a ribelli anti-governativi, costringendola a riprendere la rotta per la Libia.
La corsa (armata) all’oro nero della Libia è cruciale per gli equilibri del Paese, visto che il greggio è la risorsa madre e le finanze dello Stato sono logorate da cinque anni di guerra e caos. Il bilancio annuale libico è di circa 8 miliardi di dinari l’anno, il 70% sono salari statali, un altro 20% sono sussidi per generi di prima necessità. La caduta nel commercio di greggio ha fatto sì che anno dopo anno si è attinto dalla riserva di valuta pregiata: circa 100 miliardi di dollari ai tempi di Muammar Gheddafi, di cui ne sono rimasti un terzo. Con la fine del colonnello, la spesa è lievitata sino al 60%: per assicurarsi il consenso i governi hanno aperto i cordoni della borsa. In più ci sono le spese militari: tutta la galassia delle milizie libiche è finanziata dalla Banca centrale libica.

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