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La Stampa Rassegna Stampa
21.11.2015 Dopo trent'anni liberato Jonathan Pollard
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 21 novembre 2015
Pagina: 18
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Libera la spia più dannosa, era la talpa di Israele negli Usa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/11/2015, a pag. 18, con il titolo "Libera la spia più dannosa, era la talpa di Israele negli Usa", il commento di Maurizio Molinari.

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Jonathan Pollard

Jonathan Pollard è uscito dal penitenziario di Butner in North Carolina dopo 30 anni di detenzione per un caso di spionaggio senza precedenti nelle relazioni fra Israele e Stati Uniti. Negli anni Ottanta Pollard era un analista dell’intelligence della Us Navy, decise di consegnare a Israele informazioni segrete sui Paesi arabi, sui gruppi armati palestinesi e anche sugli spostamenti del sottomarini nucleari sovietici fino a quando non venne scoperto dall’Fbi e catturato nel 1985 mentre tentava di rifugiarsi nell’ambasciata israeliana a Washington. Pollard venne condannato all’ergastolo e la Cia ha considerato il danno subito «fra i maggiori di sempre», ottenendo dall’alleato israeliano l’impegno a interrompere da quel momento ogni tipo di attività di intelligence sul territorio degli Stati Uniti. Durante i 30 anni di detenzione più premier israeliani hanno chiesto ai presidenti americani Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama la grazia per Pollard ma la Cia si è sempre opposta, imputandogli «un danno strategico senza precedenti». Pollard è uscito dal carcere perché l’amministrazione Obama non si è opposta alla concessione della libertà vigilata, prevista dopo 30 anni nei casi di ergastolo.

Pollard ha lasciato il penitenziario di notte, ha incontrato la moglie Esther e ora andrà a risiedere a New York restando obbligato a sottoporsi a rigidi controlli: per 5 anni non potrà lasciare gli Stati Uniti, non potrà dare interviste, porterà un braccialetto Gps per essere sempre sorvegliato e qualsiasi computer che adopererà per navigare su Internet dovrà essere monitorato. I suoi avvocati sperano di ottenere l’autorizzazione a recarsi in Israele per vivere con la moglie, immigrata da molti anni, ma il premier Benjamin Netanyahu ha scelto il basso profilo, limitandosi a un comunicato scritto nel quale afferma: «Ho sperato a lungo che questo giorno potesse arrivare, consentendogli di ricongiungersi alla sua famiglia». In Israele il movimento «Liberate Pollard» è molto popolare ma i suoi portavoce hanno evitato reazioni pubbliche, su indicazioni del governo, nel timore che le condizioni della libertà vigilata in America possano essere riviste. Dietro tale prudenza c’è una storia di spionaggio per molti versi ancora avvolta dal mistero che ha messo a dura prova le relazioni fra i due alleati.

In una ricostruzione dei fatti pubblicata da «Yedioth Aharonot» gli agenti israeliani che raccoglievano le informazioni da Pollard hanno raccontato che fu lui a cercarli, consegnando quantità significative di materiale - soprattutto immagini scattate da satelliti militari Usa - che consentirono fra l’altro allo Stato ebraico di realizzare il raid contro l’Olp a Tunisi nel 1985. Gli stessi agenti hanno raccontato che Pollard chiedeva in cambio denaro e che, nei mesi prima della cattura, aveva offerto di vendere informazioni top secret anche a Taiwan. Gli 007 israeliani avevano affittato a Washington un appartamento per fotocopiare tutto il materiale fornito da Pollard. Quando ebbero sentore che l’Fbi era sulle sue tracce, gli chiesero di interrompere ogni attività ma Pollard continuò, scegliendo il 21 novembre 1985 di tentare di entrare con l’auto nella sede diplomatica israeliana, il cui guardiano gli chiuse il cancello affermando di «non conoscerlo», consentendone l’arresto.

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