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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/10/2015, tre servizi da Gerusalemme di Maurizio Molinari, a pag. 6 e 16. Ecco come deve fare informazione un giornalista serio che onora la propria professione. I nostri commenti prima di ciascun articolo. I titoli non sono mai di competenza del giornalista, sono redazionali, e spesso privilegiano più quel che pensa il redattore di chi l'ha scritto. E' questo il caso. Ma veniamo alle notizie che contiene: Molinari riporta i fatti, così come sono avvenuti, non tralasciando nulla, morti e feriti da entrambe le parti. Ma gli aggressori non li chiama ragazzini o adolescenti, come Scuto, li chiama 'dimostranti', un termine neutro. Per cui se i soldati si vedono attaccati con le bombe molotov, in qualsiasi paese democratico reagiscono, perchè ne va della loro vita. Scrive "gruppi di palestinesi con il volto coperto vanno all’assalto della polizia e si registra la terza vittima" così riporta Molinari, e il lettore capisce la dinamica dei fatti, senza essere distratto da considerazioni personali, per cui ragiona con la propria testa. Ecco il pezzo: Tremorti e almeno 400 feriti palestinesi è il bilancio del secondo giorno consecutivo di scontri con le forze israeliane in Cisgiordania. L’epicentro è a Betlemme, nel campo rifugiati di Aida, dove il 13enne Abdul-Rahman Obeidallah viene ucciso nel corso di una battaglia fra molotov dei dimostranti e proiettili dei soldati. I palestinesi danno alle fiamme una postazione militare. Il secondo morto è a Tulkarem dove Abd a-Rahman Abdallah, 18 anni, viene colpito dai proiettili. In serata il terreno di battaglia si sposta a Gerusalemme Est dove, nel quartiere arabo di Beit Hanina, gruppi di palestinesi con il volto coperto vanno all’assalto della polizia e si registra la terza vittima. Nel complesso almeno 25 località della West Bank vedono centinaia di palestinesi ingaggiare duelli con imilitari. Per laMezzaluna Rossa i feriti causati da armi da fuoco sono 20ma salgono a 400 aggiungendo gli altri. "Addio Kefiah e leader, la terza infitada usa jeans e social nerwork " Nel secondo pezzo Molinari dà voce a un commento di parte palestinese, non fa ambigue insalate miste, che alla fine si risolvono in un peana pro-qualcuno. Riporta un'opinione, guardandosi bene dall'aggiungere commenti. E ce ne sarebbero da dire, le opinioni dell'inervistato sono tutte intinte nel miele, ma Molinari non esprime nulla di suo. Registra. Ecco l'articolo: Per conoscere l’Intifada 3.0 dal di dentro bisogna salire sul furgoncino di Mustafa Rmouz. L’appuntamento è a Qalandiya, il campo profughi alle porte diRamallah, dove vive con moglie, 4 figli – di cui 3 femmine – e l’inseparabile «carta di identità blu». Si tratta del documento di identità israeliano per i palestinesi di Gerusalemme che gli consente di muoversi liberamente attraverso i posti di blocco, di lavorare trasportando ogni sorta di merce fra Stato ebraico e West Bank, e di essere un tassello di collegamento fra le diverse città palestinesi teatro di aspri scontri contro soldati e polizia. «Questo furgoncino serve il popolo palestinese in tanti modi – racconta – a cominciare dal fatto che spesso lo uso per portare gli anziani dentro i territori palestinesi del 1948, a Jaffa, Lod e Akko per fargli vedere la loro terra, guardare il mare, le loro case da cui vennero cacciati nel 1948 dove oggi si sono gli israeliani». Quarant’anni, con alle spalle due arresti – nel 1992 e 2004 – Mustafa ricorda la Prima Intifada e ha partecipato alla Seconda Intifada, ma assicura che «questa rivolta è qualcosa di molto diverso». Lo racconta guidando lungo le strade che, attraverso più posti di blocco, lo portano da Ramallah a Beiyt Jalla, vicino a Betlemme dove è stato ucciso il 12enne Abed al- Rahman Shadi Obeidallah. «Gesti individuali» «Si tratta di un’Intifada diversa perché non è guidata da leader, partiti omovimenti – dice – perché Abu Mazen non ha un esercito, Hamas è lontana dalla gente comune e i nomi dei leader che vanno sui giornali sono delegittimati, nessuno gli crede più». Si tratta dunque «di una rivolta che nasce da gesti individuali». Attacchi con il coltello, le molotov, i sassi o i petardi incendiari avvengono «da parte di giovani che non vogliono l’occupazione» e attaccano «inmaniera disorganizzata, quindi imprevedibile e più difficile da neutralizzare per gli israeliani». I protagonisti appartengono a una nuova generazione di palestinesi. Rmouz esita a chiamarli «militanti » o «attivisti» perché gli rimprovera di essere «politicamente impreparati» e anche «deboli sulla simbologia nazionalista » perché «anziché kefyah a scacchi bianconeri e colori palestinesi» vestono con «jeans rotti alle ginocchia e magliette dai colori accesi» senza contare «il gel nei capelli» e lo stile di vita «assai occidentale». Sono i «ragazzi cresciuti nel benessere di Ramallah» come anche «nei campi profughi di Hebron e Jenin» che seguono percorsi diversi e si ritrovano sulle strade dell’Intifada 3.0 perché accomunati da «due battaglie». Le «ragioni di lotta» La prima e più importante, assicura Rmouz che a Qalandiya presiede il «Comitato eventi e reclutamento» del campo profughi abitato da 25 mila anime, è «la volontà di impedire agli israeliani di impossessarsi di Al Aqsa». La moschea sull’«Haram el-Sharif» della Città Vecchia, terzo luogo sacro dell’Islam «che gli ebrei hanno iniziato ad aggredire nel 1967» con la Guerra dei Sei Giorni, e «ora vogliono occupare del tutto sfruttando la debolezza del mondo arabo lacerato dalle guerre». Al Aqsa è un richiamo islamico, religioso, per militanti che usano Facebook per ritrovarsi e colpire gli israeliani «facendo attenzione a usare pagine collettive perché quelle singole sono una trappola, la polizia ti scopre facilmente». Poi c’è la «seconda ragione di lotta» e ha a che vedere con «gli arabi diGerusalemme» che l’autista- staffetta descrive «isolati, assediati, bisognosi di essere soccorsi e salvati» perché «l’occupazione israeliana li stritola» e a dimostrarlo è il fatto che "quando gli scontri diventano duri, solo in pochi di loro si battono davvero contro i soldati." "Offensive di terra e alleanze fra i ribelli, ecco l'effetto dei raid "
Riprendiamo in questa pagina anche l'analisi di Maurizio Molinari sulla guerra in Medio Oriente, i rapporti con la Siria di Russia, Usa, Iran. Lo offriamo ai nostri lettori come ulteriore esempio di giornalismo che mira a informare senza schierarsi.
Ecco il pezzo: La Russia ha effettuato poco più di 100 raid in 5 giorni di operazioni in Siria ma l’impatto sul conflitto militare è già significativo. Ecco nel dettaglio le maggiori novità. Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante direttore@lastampa.it |
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