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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2015, a pag.7, con il titolo "L'Occidente nella trappola siriana", in cui Maurizio Molinari spiega come si è giunti al caos mediorientale attuale. Che consente di capire le tragedie dei migranti, e perchè l'Occidente si rifiuta di trovare una giusta soluzione. L'Occidente nella trappola siriana
L'intervento armato La via diplomatica La soluzione diplomatica può passare attraverso la formazione di un governo di transizione. Su questo punto c'è convergenza fra la Russia, protettrice con l'Iran del regime di Damasco, e i Paesi che sostengono i diversi gruppi ribelli: Usa, europei, Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Ma su tutto il resto il disaccordo è totale perché, come riassume Julien Barnes-Dacey dell'Europea Council of Foreign Relations, «il nodo è la sorte di Bashar Assad». Mosca e Teheran vogliono farlo rimanere al potere, tutti gli altri ne perseguono il rovesciamento. Ciò spiega perché Russia e Iran «siamo in questo momento le uniche protagoniste di tentativi diplomatici» come osserva Joseph Bahout della Fondazione Carnegie, facendo notare però che i tentativi di far accettare ad Ankara, Riad, Washington e Bruxelles qualsiasi tipo di sopravvivenza o prolungamento del regime «sono destinati al fallimento» perché «oramai la Siria non esiste più» con metà del territorio nelle mani del Califfato di Isis. Il nodo Assad cela il duello fra potenze regionali: Teheran lo ritiene indispensabile per garantire la propria egemonia nell'arco geografico da Baghdad a Beirut mentre Riad lo vuole abbattere per impedire proprio l'avversarsi di tale progetto strategico. Ma non è tutto perché, aggiunge Emile Hokayem arabista dell'International Institute for Strategic Studies di Londra, «oramai in Siria le fazioni annate locali sono assai più influenti delle potenze regionali, in quanto sono i singoli combattimenti sul terreno ad influenzare la dinamica della crisi». Daniel Serwer, politologo della Johns Hopkins School of Advanced International Studies aggiunge: «Con almeno 5000 gruppi armati combattenti in lotta fra loro si può fare ben poco, l'opposizione è frammentata e i Foreign Fighters jihadisti ostacolano ogni possibile accordo». Ovvero, anche se le maggiori potenze trovassero un'intesa sul dopo-Assad sarebbe assai difficile far tacere le armi. Gli aiuti umanitari La difficoltà di procedere verso soluzione militare o compromesso politico evidenzia l'urgenza degli aiuti umanitari per soccorrere i civili investiti dalla guerra: potrebbero consentire di arginare l'impatto delle violenze ma quanto avviene in Siria, e nei Paesi confmanti, dimostra l'inefficacia degli interventi adottati. Per l'Ufficio Onu sugli aiuti umanitari (Ocha) su 17 milioni di siriani 12 milioni hanno bisogno di aiuti, 7,6 sono profughi interni e 4,1 sono fuggiti all'estero. Per questa massa di disperati il «Piano di risposta strategica Onu» prevede circa 3 miliardi di dollari di cui i Paesi donatori però hanno versato solo un terzo. Oltre a mancare i fondi, c'è carenza di mezzi: i convogli Onu che portano cibo alle popolazioni nelle zone assediate - dai villaggi a città come Aleppo - sono rari, ciò aumenta l'emergenza e spinge a fuggire. A ciò si aggiunge quanto avviene nei Paesi vicini. La Giordania, che ospita 630mila profughi pari al 9 per cento della popolazione, ha chiuso le frontiere da un anno perché teme che i campi a Zaatari e Azraq divengano epicentro di faide fra gruppi siriani rivali. In Libano, dove i rifugiati sono 1,2 milioni pari al 26 per cento della popolazione, è stato introdotto da gennaio un regime di visti che ostacola molto gli arrivi. Ciò trasforma la Turchia nell'unica via di fuga rimasta dalla guerra. Ankara ospita 1,8 milioni di profughi, di cui il 10 per cento in campi nel Sud, e ha speso già 6 miliardi di dollari ricevendo dalla comunità internazionale appena 300 milioni di dollari. Beirut e Amman sono ancor più in affanno. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, ammette: «Avevamo promesso a Giordania e Libano 7 miliardi di euro, ne abbiamo dati meno di tre». La conclusione è di Paulo Pinheiro, capo della commissione d'inchiesta Onu sulla Siria: «E il collasso dei tentativi di proteggere e soccorrere i rifugiati ad originare l'esodo di massa verso l'Europa». Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante lettere@lastampa.it |
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