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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2015 Nessun Truman in vista oggi, solo tanti piccoli Chamberlain
Angelo Pezzana commenta un articolo di Umberto Gentiloni su Hiroshima

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2015
Pagina: 2
Autore: Umberto Gentiloni
Titolo: «Così la decisione di Truman fece finire la guerra e aprì l'era dell'incubo atomico»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2015, a pag. II, con il titolo "Così la decisione di Truman fece finire la guerra e aprì l'era dell'incubo atomico", il commento di Umberto Gentiloni.

Ecco l'articolo, preceduto dal commento di Angelo Pezzana:


Angelo Pezzana

L’affermazione di Umberto Gentiloni è la prova dell’incapacità dell’Occidente di affrontare oggi, in maniera seria, il terrorismo islamico che minaccia le società democratiche. Le vittime di Hiroshima e Nagasaki devono rivolgersi a chi fu la causa della loro morte, l’imperatore Hirohito, che distruggendo la flotta americana a Pearl Harbour, costrinse gli Usa a entrare in guerra. Così come i tedeschi devono chiedere conto della morte dei loro soldati e della distruzione delle città del loro paese a chi quella guerra ha voluto, Adolf Hitler. E così dovremmo fare noi italiani con Benito Mussolini. Dire che con Hiroshima e Nagasaki è iniziata l’era nucleare è una banalità, l’era nucleare era già iniziata prima con gli esperimenti nazisti, non arrivati a compimento proprio grazie alla fine della guerra, dovuta alla decisone del presidente americano Harry Truman di bombardare il Giappone. Se avesse ragionato come stanno facendo i leader occidentali oggi, la guerra sarebbe andata avanti, con il risultato che sarebbero stati uccisi altri soldati americani, il calcolo era di almeno un milione. Che doveva fare il presidente americano se non salvare le vite dei propri soldati ? Truman si dimostrò un grande presidente, e di questo tutti dobbiamo essergliene grati. Se qualcuno vede in questo ragionamento un richiamo all’Iran, fa bene a pensarlo. Di Truman in vista non ce ne sono, soltanto tanti Chamberlain, che ci daranno la guerra mentre oggi si esaltano convinti di aver lavorato per la pace.

(Angelo Pezzana)


Umberto Gentiloni


Hiroshima

Alle prime luci dell’alba del 16 luglio 1945 nella località di Alamogordo (New Mexico) venne realizzato con successo il primo test sulla bomba atomica: «Il sole al confronto sembra un’innocua candela» fu il commento immediato tra gli addetti ai lavori. La guerra in Europa si era conclusa da poco più di due mesi con la capitolazione della Germania. Restava aperto il fronte del Pacifico dove gli ultimi giorni dell’Impero del Sol Levante si rivelarono cruenti e sanguinosi oltre ogni ragionevole previsione. Quel nuovo strumento di morte avrebbe posto la parola fine al conflitto totale, segnato un punto di non ritorno nella storia dell’umanità.

Ma come si arrivò alla scelta dei bombardieri statunitensi? Perché sganciare le bombe al suolo colpendo popolazioni civili? Quali insomma le premesse di quelle giornate terribili, del 6 e 9 agosto di 70 anni fa? Le risposte possibili e imbarazzanti per i vincitori viaggiano su tre piani distinti. Procediamo con ordine. In primo luogo una storia più lunga della stessa cronologia classica della Seconda guerra mondiale.


Harry Truman

Il Giappone almeno dagli Anni 30 aveva minacciato le popolazioni della regione instaurando un controllo militare e politico fondato sulla violenza e sul terrore. Un nazionalismo aggressivo, espansionista; un’ipoteca costante sulle ipotesi di stabilizzazione nell’area. In secondo luogo la condotta dell’esercito nipponico negli ultimi mesi del 1944 e fino alla resa dell’estate successiva: una strategia colma di vendetta e livore a danno delle popolazioni soggiogate nei primi anni del conflitto; l’uso devastante di una nuova arma e filosofia di guerra: gli aerei dei kamikaze lanciati fino allo schianto verso i ponti delle navi nemiche; le perdite più ingenti mai subite dalla marina Usa (5 mila uomini e centinaia di mezzi nella sola battaglia di Okinawa) già colpita e umiliata dall’attacco di Pearl Harbor del dicembre 1941.

Si prefigurava così uno sbocco obbligato: il via libera nel ricorso a mezzi e tecnologie di guerra inedite; un argomento efficace per chi attendeva con trepidante attesa il momento propizio per schiacciare un pulsante ignoto. E da ultimo, ma solo in ordine di tempo, la profonda irritazione degli Alleati quando vennero a conoscenza della volontà giapponese di proseguire la guerra dopo che Hitler era uscito di scena. Non si arresero con l’obiettivo dichiarato di resistere fino alla drammatica conclusione; si rifiutarono di riconoscere la realtà spedendo al mittente (i 3 vincitori) gli inviti che giungevano dalla Conferenza Potsdam (17 luglio – 2 agosto 1945).

Un groviglio di dilemmi che il presidente Truman (alla Casa Bianca dall’aprile 1945 dopo la morte di Roosevelt) si trovò di fronte; diede all’aeronautica l’autorizzazione di procedere e passare all’azione; voleva voltare pagina per gettare le basi di un dopoguerra vantaggioso. La firma della resa dell’Imperatore a bordo della corazzata Missouri nella Baia di Tokyo è del 2 settembre, da quel momento dichiarato V–J Day: cala il sipario sulla guerra, ha inizio il nuovo equilibrio del terrore atomico.

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