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La Stampa Rassegna Stampa
27.02.2015 Il rapporto Usa-Israele: mai così difficile. Ma Elie Wiesel sta dalla parte di Bibi
Commento di Maurizio Molinari, cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 27 febbraio 2015
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari-Paolo Mastrolilli
Titolo: «Usa e Israele mai così lontani-Sgarbi, insulti e sgambetti, la guerra Netanyahu Usa»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/02/2015, con il titoli " Usa e Israele mai così lontani " il commeno di Maurizio Molinari a pag.1/27  e "Sgarbi, insulti e sgambetti, la guerra Netanyahu Usa" di Paolo mastrolillki a pag.15.

Maurizio Molinari: " Usa e Israele mai così lontani"

                                                                 Maurizio Molinari

 

Il tentativo di Barack Obama di impedire il discorso di Benjamin Netanyahu in programma martedì davanti al Congresso di Washington segna il punto più basso nelle relazioni fra StatiUniti e Israele perché evidenzia qualcosa di più profondo dei disaccordi politici fra i due alleati: una divergente visione strategica dei rapporti con l’Iran e dunque sul futuro assetto dell’interoMedio Oriente. A dispetto di un rapporto di alleanza granitico, i rapporti fra StatiUniti e Israele sono stati segnati damomenti difficili. Quando il 14 maggio 1948 il presidente americano Harry Truman decide di riconoscere l’appena nato Stato di Israele deve imporsi in un epico scontro sul proprio Segretario di Stato George Marshall che, coadiuvato da gran parte dell’establishment di Washington, teme che gli arabi di conseguenza finiscano nelle braccia dell’Urss. Otto anni dopo il presidente Dwight Eisenhower ricorre ad un ultimatumsulla fine degli aiuti militari per ottenere da David Ben Gurion il ritiro delle forze dal Canale di Suez. Nel 1973 il Segretario di Stato Henry Kissinger considera «irragionevoli» le richieste israeliane all’Egitto sull’armistizio dal Sinai e ordina, con il consenso del presidente Gerald Ford, di mettere Israele «all’ultimo posto» nella lista deiPaesi che ricevono aiuti.Nel 1981 il presidente Ronald Reagan - ricordato come il più vicino a Israele - vota all’Onu contro il raid diTzahal che distrugge il reattore atomico di Saddam Hussein, punendo Israele con la sospensione delle forniture di F-16.GeorgeW. Bush è a tal punto irritato con Yitzhak Shamir per gli insediamenti in Cisgiordania damandargli a dire dal fido James Baker: «Il telefono della Casa Bianca è 1- 202-456-1414, quando sarete seri sulla pace, chiamateci». E la convivenza fraObama eNetanyahu - arrivati a guidare i rispettivi Paesi a distanza di pochimesi - è stata disseminata di sgarbi personali, scintille verbali e disaccordi politici. Ma adesso il corto circuito fra i due leader va oltre tali precedenti. Come riassume Aaron David Miller, ex negoziatore sulMedio Oriente degli ultimi tre presidenti Usa, «non vi è mai stato un peggior rapporto fra i leader di Israele e Stati Uniti». Il motivo è la sovrapposizione fra il duello politico personale e lo scontro fra opposte visioni strategiche. Il duello è velenoso perché entrambi i leader invadono il campo dell’altro. Obama vuole far perdere aNetanyahu le elezioni del 17 marzo, ha inviato il proprio «Data Manager» Jeremy Bird a Tel Aviv per affiancare la campagna del centrosinistra ed è convinto che il «fattore-America» potrà spingeremolti elettori ad abbandonare il Likudmentre il premier israeliano, accettando l’invito dei repubblicani di John Boehner a parlare al Congresso, ha scelto di preferire Capitol Hill alla Casa Bianca come interlocutore. Mettendo il dito nella ferita di Obama, un Presidente «anatra zoppa» in evidente difficoltà a governare con unCongresso di colore opposto. Sono incursioni politiche in territorio altrui che vengono da lontano. Obama, cresciuto politicamente fra gli ebrei liberal di Chicago ostili al Likud, è convinto di conoscere gli israeliani meglio di Netanyahu perché i sondaggi gli dicono che, negli Stati Uniti, la maggioranza degli ebrei continua a sostenere il partito democratico ed anche la sua opposizione agli insediamenti in Cisgiordania. Netanyahu, a proprio agio dentro la Beltway come nessun altro leader non-americano, è convinto di poter prevalere a Washington a dispetto di Obama perché nel partito repubblicano - che ha vinto a valanga le elezioni di Midterm e controlla entrambi i rami del Congresso - il sostegno a Israele ha raggiunto un livello senza precedenti: 83 per cento. La conseguenza è che Obama e Netanyahu duellano in Israele e negli Stati Uniti come se si trattasse di un unico spazio politico. Questo è già un fatto senza precedenti nelle tensioni bilaterali ma a renderlo incandescente è la sfida sulla «legacy» - l’eredità politica - perché si gioca per entrambi sull’Iran, dove il disaccordo è netto. Obama punta ad un’intesa sul nucleare per trasformare l’Iran nel perno di una nuova stabilità in Medio Oriente e dunque è disposto anche a compromessi come l’attuale proposta di congelare per dieci anni la capacità iraniana di arricchimento dell’uranio - ovvero il possesso di 19 mila centrifughe - mentre Netanyahu ritiene che si tratti di una violazione lampante di 6 risoluzioni Onu che prevedono l’obbligo per Teheran di smantellare il programma nucleare. Con il risultato di trasformare l’Iran in una potenza nucleare innescando una «bomba ad orologeria » capace di minacciare l’esistenza di Israele. La «legacy» cheObama persegue è la pacificazione con lo Stato più ostile agli Usa inMedio Orientementre quella a cui Netanyahu tiene è evitare un’altra Shoah: l’incompatibilità è nella sostanza. Ma c’è dell’altro. I governi di StatiUniti e Israele, sebbene legati dall’appartenenza alla comunità delle democrazie, sentono in questa fase di averemeno bisogno l’uno dell’altro. Per l’amministrazione Obama il Medio Oriente non è stata una priorità e il boom energetico nazionale rafforza la tendenza al distaccomentre per ilNetanyahu il boom dell’hi-tech ha aperto gli orizzonti di un interscambio commerciale con l’Asia che, nel 2014, ha superato quello con gliUsa. Senza contare che Tim Cook, ceo di Apple, nel bel mezzo della crisi Obama- Netanyahu è entrato nell’ufficio privato del presidente ReuvenRivlin salutandolo così: «Non siete solo il più importante alleato dell’America ma ancheunodeinostrimiglioripartner ». Come dire, la Silicon Valley guarda agli start up diGerusalemme a prescindere da ciò che avviene aWashington.

Paolo Mastrolilli: " Sgarbi, insulti e sgambetti, la guerra Netanyahu Usa"

 

Elie Wiesel darà il benvenuto a Bibi Netanyahu. Obama no. Bravo Wiesel !

Secondo la consigliera per la sicurezza nazionale del presidente Obama, Susan Rice, la visita che il premier israeliano Netanyahu farà aWashington il 3 marzo sarà «distruttiva». Lui risponde che gli Stati Uniti «hanno rinunciato » a impedire che l’Iran costruisca la bomba atomica. Intanto il capo della diplomazia americana, John Kerry, ricorda al Congresso che «durante l’amministrazione Bush,Netanyahu spinse molto per l’intervento in Iraq, e sappiamo come è finito». Relazioni ai minimi Le relazioni fra Usa e Israele non sono mai scese così in basso, e stiamo parlando solo delle accuse che si sono scambiati in pubblico. Il motivo di lungo termine del contrasto è l’Iran, ma nell’immediato ci sono le elezioni del 17 marzo nello Stato ebraico, e la speranza neppure velata dell’amministrazione Usa che il premier ne esca sconfitto. I rapporti fra Barack e Bibi non sono mai stati facili, per ragioni caratteriali e ideologiche. Obama non ha creduto alla sincerità di Netanyahu nei tentativi di trovare un’intesa con i palestinesi, e il fallimento della mediazione cercata da Kerry è stato visto come la conferma di questo pregiudizio. Netanyahu probabilmente pensa che Obama nel migliore dei casi non ha una strategia per il Medio Oriente, e nel peggiore ne ha una che mette a rischio la sopravvivenza di Israele. Così, dopo le incomprensioni sulla Primavera araba, il flirt con i Fratelli Musulmani in Egitto, il ritiro frettoloso dall’Iraq, il mancato intervento contro Assad e il gelo con l’Arabia Saudita, si è arrivati allo scontro quasi aperto sul programma nucleare iraniano. Obama ritiene che potrebbe rappresentare la sua eredità storica in Medio Oriente, chiudendo un conflitto durato quasi quarant’anni, e aprendo la porta a un nuovo equilibrio nella regione capace di soffocare anche il terrorismo. Netanyahu pensa invece che il capo della Casa Bianca stia concedendo l’atomica agli ayatollah, mettendo a rischio la sopravvivenza di Israele. In mezzo ai due si è inserito il Congresso a maggioranza repubblicana, che per fare uno sgarbo al presidente ha invitato il premier a parlare in aula, senza informarlo. Colpo basso sul Mossad La lotta ormai è senza esclusioni di colpi, al punto che qualcuno sospetta che gli «Spy cables» resi pubblici dalla televisione Al Jazeera siano arrivati proprio dall’amministrazione Usa. Imbarazzano Bibi,mostrando che il Mossad non condivide appieno le sue analisi e i suoi allarmi sul livello di preparazione degli iraniani nella realizzazione della bomba. E la persona che ha gestito il negoziato per conto del dipartimento all’Energia è un ex agente della Cia, che sa almillimetro quali garanzie servono da Teheran per avere la certezza che non possa costruire armi. La disputa ora riguarda piuttosto la «sunset clause», ossia l’idea che i vincoli imposti all’Iran dall’accordo scadano dopo 10 o 15 anni, consentendo a quel punto agli ayatollah di riprendere in pieno l’attività atomica a scopi civili. Secondo Israele, questo significa solo ritardare la costruzione della bomba, mentre gli Usa puntano sul fatto che fra dieci anni il 76enne Khamenei probabilmente non ci sarà più, e si potrà discutere su nuove basi con una leadership illuminata. Nel frattempo, però, la disputa ha un orizzonte immediato nelle elezioni. L’organizzazione V-2015 che lavora per la sconfitta di Netanyahu è guidata da cinque americani fra cui Jeremy Bird, ex direttore nazionale della campagna presidenziale di Obama. Bibi invece ha giocato la carta del Congresso, e sente che sta guadagnando punti in casa, proprio per la reazione di Barack. Se vincerà, poi potrà smettere di trattare con Obama e aspettare la prossima amministrazione.

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