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La Stampa Rassegna Stampa
22.08.2014 Il ruolo delle tribł nell'offensiva jihadista
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 22 agosto 2014
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La guerra impossibile alle tribł»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/08/2014, a pagg. 1-27, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La guerra impossibile alle tribł".

Sul ruolo cruciale delle tribł nella politica mediorentale segnaliamo ai nostri lettori gli articoli di Mordechai Kedar pubblicati dal nostro sito

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=320&id=52446

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=320&id=39149

Di seguito, l'articolo di Maurizio Molinari:


Maurizio Molinari


Abu Bakr Al Baghdadi, a capo dello 'Stato islamico'


Quarantott’ore dopo aver annunciato la riconquista della diga di Mosul il Pentagono ha fatto sapere di aver realizzato 14 raid aerei per assicurarne il controllo agli alleati curdi.
L’evidente contraddizione descrive la difficoltą per gli Stati Uniti, la pił grande potenza militare esistente, di battersi contro la tribł jihadista di Abu Bakr al-Baghdadi, evidenziando il pił vasto problema strategico in arrivo dalle dune del Medio Oriente.
Dall’Anbar iracheno alla Striscia di Gaza, dal Mali alla Libia fino al Sinai sono le tribł le nuove interpreti del messaggio di guerra jihadista con cui Osama bin Laden sorprese New York e Washington l’11 settembre del 2001, obbligando l’America e l’Occidente ad iniziare una campagna militare in procinto di entrare nel 13° anno. Al Qaeda delle origini era un’organizzazione con un leader assoluto che godeva del sostegno di uno Stato - l’Afghanistan dei taleban del Mullah Omar - e dopo le sconfitte subite fra il 2001 e il 2007 si č trasformata in una galassia di organizzazioni locali - da Al Qaeda in Iraq ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico - accomunate dall’ideologia ma questa versione dell’ereditą di Bin Laden lascia ora il campo ad una Jihad 3.0 che ha per protagoniste le tribł, i clan e in ultima istanza le aggregazioni famigliari ovvero le componenti basilari delle societą arabo-musulmane. Basta guardare la mappa dei conflitti in atto dalla Rocca di Gibilterra agli Stretti di Hormuz per accorgersi chi sono i nuovi protagonisti. Nel Sahel le tribł del Nord Mali sono sopravvissute all’intervento francese dello scorso anno contro Al Qaeda nel Maghreb, arricchendosi con traffici illeciti fino al punto da obbligare Parigi a nuovi raid - due settimane fa - per sostenere il traballante governo di Bamako. In Libia la sovrapposizione fra milizie e clan tribali, soprattutto in Cirenaica, č talmente pericolosa da aver obbligato l’esercito egiziano ad assumere il controllo informale di una fascia di territorio oltre frontiera. Nel Sinai sono le tribł beduine a gestire i traffici di armi iraniane e siriane dal Sudan a Gaza, sostenendo i jihadisti di Beit Al Maqqdis, e dentro Gaza i gruppi salafiti competono con Hamas e Jihad Islamica per il sostegno di grandi clan famigliari allettati dalle ingenti quantitą di denaro liquido. Ma č nell’Anbar iracheno che lo Stato Islamico (Isis) vede le tribł sunnite aggregarsi attorno al progetto pił avanzato, guidato dal «Califfo Ibrahim» Abu Bakr al-Baghdadi, che negli ultimi tre anni ha esteso il proprio potere dalla Siria Orientale all’Iraq Occidentale seguendo il corso del Tigri e dell’Eufrate, ovvero i grandi fiumi che significano energia, vita ed in ultima istanza potere in quest’area del Pianeta. Il suo «Califfato» non ha un territorio di tipo tradizionale - con porti, cittą, pianure, campi agricoli o zone industriali - ma si articola nel controllo di punti-chiave lungo i corsi d’acqua oppure i pozzi di petrolio. Cosģ come Gengis Khan, circa 800 anni fa, portņ le tribł mongole a conquistare l’Asia fino ad affacciarsi al Medio Oriente occupando le vie delle carovane verso Occidente. Allora Khan e oggi Abu Bakr puntano al controllo dell’origine della ricchezza in steppe e deserti.
Combattere contro le tribł č la nuova, e pił difficile, sfida asimmetrica che la Jihad ci impone. Perché non hanno territori definiti, centri urbani riconoscibili e spesso neanche leader ideologici carismatici: ciņ che le tiene assieme sono interessi concreti - denaro e controllo di fonti di energia - e il terrore imposto da chi le guida. Sotto questo aspetto la decapitazione del reporter James Foley, le stragi di yazidi, le chiese violate e le fosse comuni di soldati iracheni sciiti servono al «Califfo Ibrahim» soprattutto per imporsi sulle tribł irachene come il pił feroce dei Saladini, al fine di ottenerne la fedeltą assoluta. Contro le tribł jihadiste gli armamenti degli eserciti tradizionali servono a poco: il Pentagono adopera gli F-18 per eliminare «tubi usati come mortai» sulla diga di Mosul, gli egiziani schierano brigate corazzate contro le tribł beduine nel Sinai, i francesi ricorrono ai Mirage contro i trafficanti del Sahel e gli israeliani hanno bersagliato Hamas e salafiti a Gaza con gli F-16 per quattro settimane ma i risultati ovunque, sul piano militare, sono assai scadenti.
La decomposizione degli Stati arabi moderni in Nord Africa e Medio Oriente trasforma le tribł jihadiste nel nemico pił pericoloso dell’Occidente perché i nostri Stati li combattono con armi inadatte, sebbene assai potenti e altrettanto care. Gli unici esempi che la Storia moderna offre di campagne militari di successo contro le tribł arabe-musulmane in rivolta vengono da 2 altrettanti Imperi: Ottomano e Britannici, che in epoche diverse, riuscirono a domare ribellioni estese e brutali, impiegando ingenti forze militari per occupare i territori, disponendo cosģ di strumenti - finanze e armi - per convincere le tribł a cooperare. In dimensioni assai pił ridotte č stessa ricetta che il generale americano David Petraeus adoperņ con successo nell’Anbar, fra il 2005 e il 2007, impiegando 20 mila marines e fiumi di dollari per convincere le tribł sunnite a voltare le spalle ad Abu Musab al Zarqawi, predecessore di Abu Bakr al-Baghdadi nella guida dei jihadisti iracheni. Ma oggi non vi sono, in America o in Europa, leader dotati di risorse economiche e volontą politiche tali da ripetere l’impresa di Petraeus, per non dire neanche dei precedenti ottomano o britannico. Da qui lo scenario di un orizzonte di medio periodo nel quale saranno le potenze regionali del Medio Oriente - Arabia Saudita, Iran, Israele, Egitto e Turchia - a confrontarsi con la sfida delle tribł, seguendo agende di interessi nazionali in forte contrasto. Destinate a moltiplicare numero ed entitą dei conflitti sulle coste meridionali del Mar Mediterraneo.

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