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La Stampa Rassegna Stampa
01.08.2014 Per l'Onu l'autodifesa di Israele è illegale; Hamas pianifica stragi durante le feste ebraiche, come i nazisti
Cronache di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 01 agosto 2014
Pagina: 10
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L'Onu contro l'America: 'Arma Israele' - Nel kibbutz dove l'Iron Dome non funziona»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/08/2014, a pag. 10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L'Onu contro l'America: 'Arma Israele'" e l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Nel kibbutz dove l'Iron Dome non funziona".

Di seguito, gli articoli:


Navi Pillay


Terroristi di Hamas


LA STAMPA - Maurizio Molinari: "L'Onu contro l'America: 'Arma Israele' "


Maurizio Molinari


«Completeremo la missione contro i tunnel di Hamas, con o senza il cessate il
fuoco». E’ il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a parlare dopo una riunione ad hoc del governo sulle operazioni a Gaza, con l’intento di far sapere che l’intervento militare accelera. «Abbiamo neutralizzato decine di tunnel - aggiunge Netanyahu - e finiremo il lavoro». Per Sami Turgeman, capo del comando Sud delle forze armate, «serve qualche altro giorno». Da qui il richiamo di nuovi 16 mila riservisti, che portano il totale a 86 mila, per «garantire flessibilità e preparazione» dando il cambio alle unità in prima linea da 24 giorni.
Eliminare i tunnel costruiti da Hamas per infiltrarsi in Israele significa estendere il controllo su aree più estese della Striscia in un’area di 4-5 km dal confine. Ciò comporta ingaggiare con Hamas duri scontri ravvicinati e aver bisogno di un crescente numero di munizioni di artiglieria per il combattimento urbano. Israele le chiede a Washington e il Pentagono apre i due depositi «War Reserve Stockpile Ammunition» creati in Israele negli ultimi dieci anni per sostenere le truppe americane in Medio Oriente. In particolare, il Pentagono consegna proiettili da mortaio da 122 mm e granate da 40 mm per i lanciarazzi. Il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby, spiega che «gli Usa sono impegnati a garantire la sicurezza di Israele ed è vitale assistere l’alleato nel rafforzare le capacità di autodifesa».
Sebbene la consegna di munizioni avvenga senza un’esplicita autorizzazione della Casa Bianca - essendo prevista dal trattato bilaterale sui depositi Usa - la decisione contiene un messaggio politico: Washington dà tempo a Gerusalemme per concludere la distruzione dei tunnel. Si spiega così quanto dice il Segretario d Stato John Kerry sui colpi di cannone caduti il giorno prima sulla scuola Onu a Jabalya: «Ho fatto il soldato in Vietnam, mi sono trovato in combattimenti aspri e posso dirvi che non sapremo mai chi ha sparato quei colpi».
Per Hamas l’accelerazione militare di Israele «dimostra che Netanyahu è in crisi a causa della nostra tenace resistenza» dice il portavoce Khalil Al-Hayya, sfidando Israele «ad accettare le nostre condizioni per il cessate il fuoco» ovvero la «fine del blocco di Gaza». Negli attacchi di giovedì muoiono almeno altri 45 palestinesi portando il totale sopra quota 1400 mentre gli israeliani contano altri tre soldati uccisi, con il bilancio complessivo a 59 morti.
Il portavoce delle forze armate Peter Lerner afferma che «è Hamas a mettere a rischio i civili con le sue tattiche di guerra» e per provarlo diffonde il video in cui si vede una delle moschee distrutte trasformata in deposito di armi. Ma nella testimonianza al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il capo dell’Unrwa (Agenzia per i rifugiati palestinesi) Chris Gunness accusa gli israeliani di «aggressione» e si dice a favore della «fine del blocco di Gaza». E l’Alto commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, denuncia che «gli Usa forniscono artiglieria pesante a Israele» con una spesa «di quasi un miliardo per creare una protezione contro i razzi a beneficio dei civili israeliani ma non di quelli palestinesi». Poi aggiunge: «Tanto Israele che Hamas hanno commesso crimini di guerra a Gaza» perché «posizionare e lanciare razzi da luoghi densamente popolati, scuole e ospedali, costituisce una violazione della legge internazionale» così come lo è «fare fuoco sulle istituzioni Onu». Per Abu Mazen, presidente palestinese, «ci sono le condizioni per una denuncia di Israele all’Aja».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Nel kibbutz dove l'Iron Dome non funziona"

Vivo qui dal 1955, vi ho costruito la mia nuova casa dopo le persecuzioni naziste ma ora il pericolo di Hamas incombe e devo andare via». Shoshanna Evron, 78 anni, prepara le valigie in una camera da letto spartana di una piccola casa nel kibbutz di Saad. Vicino a lei il marito Reuven, 80 anni, titolare del pollaio comune, e il figlio Yoel che invece resta. «Il comitato del kibbutz - spiega Yoel - ha suggerito ad anziani e genitori con bambini piccoli di andare via per metterli al sicuro». Il motivo è che Saad si trova nel Negev a 4 km dal confine con la Striscia e 5 minuti di auto da Sajayia, il quartiere di Gaza teatro di aspri combattimenti.
Dalla finestra di casa Evron si vedono le case di Gaza, nel cortile intorno il primo razzo è caduto nel 2008 e «da allora la minaccia è sempre cresciuta» assicura Shoshanna, facendoci vedere la sala da pranzo del kibbutz blindata con un muro di cemento armato alto 3 metri «perché le finestre possono trasformarsi in schegge».
Fra i 900 abitanti di Saad almeno 750 sono andati via e passeggiando nei giardini deserti ci si accorge del perché: gli allarmi «Zeva Adom» - le sirene per i razzi in arrivo - si succedono e non c’è Iron Dome a proteggere i residenti. «Siamo troppo vicini a Gaza per essere protetti dallo scudo - spiega Yoel - razzi e mortai arrivano in pochi secondi e dunque le procedure di sicurezza sono più strette». Ovvero, quando suona la sirena si va nei rifugi, rimanendoci fino a quando se ne sente l’arrivo. Nel rifugio di casa, Yoel ha messo la camera delle due figlie adolescenti: è arredata con poster di band britanniche e in un angolo c’è un razzo di cartone che le ragazze hanno costruito per esorcizzare il pericolo. Con una reazione analoga a quella che le porta a guardare sul laptop il video «Gaza Canal» nel quale si ipotizza che un misterioso tsunami riesca a staccare la Striscia dal Negev, trasformandola in un’isola del Mediterraneo.
Il kibbutz è disseminato di segni di razzi caduti e popolato da unità di soldati impegnate nel prevenire infiltrazioni dai tunnel. «Alcune amiche da tempo affermavano di sentire suoni dal sottosuolo - assicura Shoshanna - ma le prendevano per matte, mandandole dal dottore, invece avevano ragione e i tunnel sono peggio dei razzi, mi ricordano i nazisti». Figlia del rabbino fiorentino Nathan Cassuto, deportato nel 1943 e ucciso ad Auschwitz, con la madre Anna assassinata dagli arabi nel 1948 nell’imboscata sanguinosa - 78 vittime - ad un convoglio di medici ebrei a Gerusalemme, e con uno dei 6 figli caduto in Libano del Sud nel 1978, Shoshanna Evron somma la memoria delle persecuzioni nazifasciste alle sofferenze patite per far nascere e difendere Israele. «Da giovane venni nel Negev perché credevo nella difesa delle frontiere - dice - con mio fratello David fondammo il kibbutz Keren Shalom e poi mi sono sposata a Saad, da dove finora non mi ero mossa».
Il paragone fra Hamas e i nazisti lo spiega così: «I terroristi volevano usare i tunnel per attaccarci in massa in occasione del prossimo Capodanno, proprio come i nazisti facevano retate di sabato e nelle feste ebraiche». Riparata col marito a casa del fratello David, ex vice sindaco di Gerusalemme, Shoshanna vuole tornare «nel mio Negev» nella convinzione di «poter convivere con i vicini di Gaza come abbiamo fatto fino agli accordi di Oslo, che fecero arrivare da Tunisi Arafat e iniziarono i lanci di razzi».

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