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La Stampa Rassegna Stampa
28.07.2014 La volontà di guerra di Hamas, la pericolosa proposta di cessate il fuoco di Obama
Cronache di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 28 luglio 2014
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La tregua umanitaria fa rifiatare Gaza Hamas: ora vinciamo - Netanyahu, schiaffo a Kerry.'Proposta inaccettabile'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/07/2014, a pag. 2, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "La tregua umanitaria fa rifiatare Gaza Hamas: ora vinciamo" e a pag. 3, sempre di Maurizio Molinari, l'articolo dal titolo " Netanyahu, schiaffo a Kerry.'Proposta inaccettabile' ".


John Kerry


Benjamyn Netanyahu


Di seguito, gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "La tregua umanitaria fa rifiatare Gaza Hamas: ora vinciamo "


Maurizio Molinari


Silenzio di guerra a Sujayia, corsa alle compere al mercato di Jabalya, dubbi ovunque sulla tenuta del cessate il fuoco e la certezza dei capi di Hamas che la vittoria contro Israele sia a portata di mano: all’alba del 21° giorno di conflitto ciò che risalta nella Striscia di Gaza è il contrasto fra la dilagante incertezza dei civili e la coriacea sicurezza dei leader militari.
A Sujayia i carri armati israeliani sono attestati alla fine di Mansuri Street. Avvicinarsi è difficile per via dei crateri nelle strade ma nel silenzio spettrale c’è chi sosta davanti ai negozi chiusi e racconta la vita in tempo di guerra. «Gli israeliani hanno messo dei nastri colorati che delimitano le zone dove operano – racconta Rafik, 43 anni – spiegando con volantini e megafoni che chi li supera rischia di essere colpito». Gli sfollati che il giorno prima erano andati a rovistare fra gli edifici ridotti in macerie oggi sono scomparsi. Il motivo è nel gesto di un uomo anziano che, con la jalabya indosso, ci dice di «andare via in fretta perché il cessate il fuoco non c’è più». Sujayia è terra di battaglia fra Israele e Hamas come Beit Hanun, Bayt Lahia e, più a Sud, Khan Yunis. Sono i quattro fronti di un’avanzata israeliana ben visibile quando si attraversa il valico di Erez: jeep, blindati, tank, pattuglie e unità mobili si muovono in continuazione sul terreno presidiando e perlustrando una fascia di terreno larga circa 4 km dentro i confini di Gaza. Danno la caccia ai tunnel costruiti da Hamas per infiltrarsi oltre frontiera, demoliscono quelli trovati e, come dice il Ministro della Difesa, Moshe Yaalon, preparano la «possibile estensione delle operazioni» perché Hamas continua a lanciare grappoli di razzi sulle città del Sud e del centro di Israele.
Le perdite sono salite a 43 soldati, quasi tutti in combattimenti frontali con Hamas. Ecco perché Beit Hanoun, prima zona urbana a ridosso del confine, è deserta, abbandonata dagli abitanti mentre, pochi km più all’interno, ci si imbatte nel campo di profughi di Jabaliya dove i mercati pullulano di persone intente ad acquistare di tutto. Per Muhammad, che vende frutta, «gli affari vanno bene perché la gente acquista di più durante il cessate il fuoco, per fare scorte». Muhammad è convinto che la tregua «è in vigore» e si dice «ottimista su cosa avverrà finito Ramadan» sebbene si trovi a meno di 10 minuti di auto da Sujayia e Beit Hanun dove i pochi abitanti rimasti non credono ai ripetuti cessate il fuoco, annunciati, violati e smentiti. Basti pensare che mentre Israele rispettava quello del mattino Hamas lanciava razzi, portando Israele all’ora di pranzo a colpire almeno 20 obiettivi nella Striscia. Se è l’incertezza che regna fra i civili di Gaza è perché Hamas da almeno 72 ore non comunica: neanche le radio della Striscia, che ne trasmettono in genere i proclami, spiegano cosa avviene, se la guerra continua o sta terminando. La confusione regna nel grande cortile dell’ospedale Shifa dove sfollati e parenti delle vittime - arrivate a quota 1031 secondo il ministero della Sanità - hanno creato un accampamento di tappeti e coperte perchè non hanno idea quanto tempo resteranno qui. Sotto una tenda verde sono invece i portavoce di Hamas a illustrare una visione nitida del conflitto. Sami Abu Zohri, molto vicino al leader Ismail Hanyie, è esplicito: «Hamas sta vincendo, sul piano militare e politico, dunque non abbiamo bisogno di cessate il fuoco, ci fermeremo quando avremo raggiunto l’obiettivo di abbattere il blocco». Iniziamo dagli aspetti militari: «Israele ci colpisce da 20 giorni ma la nostra struttura è intatta perché i combattenti delle Brigate Qassam escono dalla terra, li sorprendono e poi tornano sotto terra. Dicono di aver distrutto i nostri razzi e tunnel ma ne abbiamo più di quanti immaginino. Vinciamo perché Israele non riesce a indebolirci, l’unico effetto delle sue bombe è uccidere civili e questo ci rafforza nel mondo». Abu Zohri è un fiume in piena, dice che «la Storia ci premia» e che «il risultato più importante è la coesione delle fazioni palestinesi attorno a Hamas» perché «perfino Abu Mazen è stato obbligato a sostenerci per non rischiare il peggio a Ramallah».
Se dunque «il cessate il fuoco chiesto dall’Onu» sia in vigore o meno «importa poco - termina la voce di Hamas – perché il tempo gioca a nostro favore, il nemico si indebolisce e il nostro sostegno arabo cresce». Le ultime parole sono per l’Egitto: «Anche al Cairo il popolo sta con noi». Il presidente Al Sisi è avvertito. E non parla dei colpi subiti, come l’uccisione di Mohammed Saadi Aklouk, il comandante responsabile delle «nuove armi», droni inclusi.

LA STAMPA - Maurizio Molinari:   " Netanyahu, schiaffo a Kerry.'Proposta inaccettabile' "

Israele e Hamas sono a favore del cessate il fuoco ma ognuno lo interpreta in maniera differente, facendo riferimento a bozze divergenti. Il corto circuito diplomatico viene alla luce nel primo pomeriggio di ieri quando Hamas fa sapere all’inviato Onu Robert Serry di «accettare la tregua umanitaria» sulla base del testo preparato da John Kerry, annunciando l’adesione ad una tregua di 24 ore ma Israele si affretta ad esprimere la posizione opposta, facendo trapelare su «Haaretz» il documento integrale dell’amministrazione Usa. Basta leggerlo per accorgersi del perché Gerusalemme lo rifiuti: obbliga allo stop nella ricerca dei tunnel, consente a Hamas di conservare i razzi e di non disarmare, mette Hamas (considerata da Usa e Ue un’organizzazione terroristica) e Israele sullo stesso livello, e non cita esplicitamente l’Egitto fra i Paesi che «sostengono il cessate il fuoco». Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, va sulle tv americane per recapitare alla Casa Bianca la replica: «Solo il disarmo di Hamas può migliorare le condizioni dei civili a Gaza» e poiché Kerry non lo prevede «è meglio la proposta egiziana» che non fa concessioni a Hamas, evitando perfino di nominarla ricorrendo all’espressione «tutte le fazioni palestinesi». «Non consentiremo ad un gruppo terroristico di poter decidere quando tirarci i razzi addosso» tuona Netanyahu, forte di un 86,5% di concittadini contrari a fermare le operazioni militari. Anche il ministro della Giustizia, Tzipi Livni, si scaglia contro Kerry: «È un testo inaccettabile perché rafforza gli estremisti nella regione» garantendo a Hamas la possibilità di aprire negoziati formali su tutte le richieste entro 48 ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco. Il dissenso di Livni pesa doppio per Kerry in quanto si tratta del ministro a lui più vicino sul negoziato con i palestinesi. È Obama però in serata che entra in campo direttamente. Parla con Netanyahu, si dice preoccupato del numero di morti civili e poi lancia l’affondo: serve «una tregua umanitaria immediata e incondizionata». E getta un amo a Netanyahu parlando di «tregua duratura per garantire il disarmo dei gruppi terroristici e la smilitarizzazione di Gaza». Poi è la volta del Dipartimento di Stato che affida a fonti interne una replica al premier israeliano accusandolo di aver distorto la strategia di Kerry.
Il Cairo reagisce con una simile freddezza al testo di Kerry perché assegna più risalto a Qatar e Turchia anziché all’Egitto che dal 2008 ha consentito di raggiungere le tre tregue Hamas-Israele. All’ostilità di Gerusalemme e del Cairo per l’iniziativa di Kerry bisogna aggiungere il disappunto dell’Arabia Saudita, schierata sulle posizioni egiziane. Riad ha dedicato gli ultimi mesi a isolare il Qatar per il sostegno ai Fratelli Musulmani: il fatto che ora Kerry punti su Doha per risolvere la crisi di Gaza fa suonare molti campanelli d’allarme. I militari del Cairo colgono l’occasione per recapitare un messaggio a Washington: annunciano di aver distrutto 13 tunnel costruiti da Hamas fra Gaza e il Sinai, con l’intento di sottolineare una convergenza di interessi strategici con Israele sempre più visibile. Come testimoniato dalla bozza egiziana, che non concede a Hamas quanto Kerry ha promesso: negoziati in tempi brevi sulla riapertura dei valichi. Ad evidenziare il terremoto in diplomatico in corso è il presidente palestinese Abu Mazen: rimprovera a Kerry di essersi avvicinato troppo al Qatar, a detrimento dell’Egitto. Il Segretario di Stato sembra così essere riuscito a creare contro di sè una coalizione composta dai più solidi alleati di Washington: Israele, Egitto, Arabia Saudita ed Autorità palestinese.

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