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La Stampa Rassegna Stampa
20.07.2014 La legge dello 'Stato islamico' per i cristiani iracheni: pagare, abiurare o morire
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 20 luglio 2014
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «'Pagate o morite'. I cristiani di Mosul in fuga dal califfo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/07/2014, a pag. 10, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo " 'Pagate o morite'. I cristiani di Mosul in fuga dal califfo ".


Giordano Stabile


Il marchio sulle case dei cristiani imposto dall'Isis a Mosul

Pagare, convertirsi o morire. L’ultimatum del califfo Abu Bakr Al Baghdadi lascia tre possibilità ai pochi cristiani rimasti ancora a Mosul. Una paginetta per spiegare che, in base alle leggi coraniche, possono vivere nel risorto Califfato solo a patto di pagare la jizya, la pesante tassa che grava sugli infedeli. Il comunicato, emesso giovedì, si rivolge a «tutti i cristiani» e dava tempo fino a mezzogiorno di ieri per la scelta fra le opzioni, riassunte brutalmente: uno, islam; due, jizya; tre, spada. Tutti coloro che non sceglievano nessuna delle tre avevano tempo «fino a mezzogiorno di sabato per andare via». L’imposizione della jizya era stata annunciata subito dopo la caduta di Mosul, lo scorso 5 giugno, e ricalca la politica di Al Baghdadi in tutte le città finite sotto il dominio dello Stato islamico (Is, già Isis), la formazione estremista sunnita nata da una costola di Al Qaeda che è riuscita a fondare il primo Stato islamista fuorilegge della storia. Dopo un mese l’autoproclamato califfo ha dato l’ultimatum, ma la scadenza era stata preparata nei dettagli. Le case ancora abitate da cristiani sono state segnate da una «n» rossa (da «nazaraniy», cristiano). Quelle abbandonate, in genere requisite della nuove autorità, da una «n» nera. I miliziani adesso bussano porta per porta. Chi resiste rischia l’esecuzione immediata e di vedere l’abitazione bruciata, mentre l’arcivescovado, coi suoi preziosi manoscritti, è già finito in cenere nei giorni scorsi. I cristiani di Mosul erano ancora oltre 50 mila, su una popolazione di 1,8 milioni, prima della caduta della città. Ridotti già a un terzo di quelli che vivevano lì ai tempi di Saddam Hussein, dittatore che aveva un occhio di riguardo per la minoranza fedele alla croce. Il 90% è fuggito nei primi giorni di giugno. Gran parte degli altri seguiranno. La jizya richiesta, secondo alcuni cristiani rimasti in città e raggiunti al telefono, parte da una base di 250 dollari annui a testa, ma può arrivare facilmente a 1000 se il capofamiglia è un medico o un ingegnere. Cifre pesantissime in una città devastata dalla guerra e impoverita. Solo pochi potranno pagarla. Ed è prevedibile che la «pulizia etnica» proseguirà. Una tragedia che anche Papa Francesco segue «con preoccupazione». La durezza della legge medievale rivela anche un duplice aspetto del Califfato che sta sorgendo su metà Siria e metà Iraq, un’area con 15 milioni di abitanti, in gran parte desertica ma solcata da due importanti fiumi, il Tigri e l’Eufrate. L’applicazione letterale dei precetti coranici è accompagnata a una martellante propaganda sui social media, anche in urdu e inglese per rivolgersi a musulmani che non parlano arabo. Sia l’account dell’Islamic State Media che ha numerosi followers sottolinea per esempio che in cambio della jizya il califfo offre «protezione» ai cristiani rimasti, o che anche i musulmani debbono pagare la loro tassa, zakat, l’elemosina obbligatoria in favore dei più poveri: «Se un musulmano rifiuta di pagare la zakat, ha solo l’opzione di morire, mentre se un kaffir, infedele, non paga la jizya, può sempre scegliere di andare via». E tweet corredati di foto mostrano soldi e farina distribuiti ai poveri in base alla zakat. Pugno di ferro, esecuzioni sommarie, pulizia etnica ma anche misure populiste (il prezzo della benzina è stato tagliato del 70%) servono anche a vincere la battaglia ideologica di Al Baghdadi che deve farsi accettare ed espandere il califfato. Le sue colonne motorizzate sono all’offensiva in Siria, dove hanno conquistato le campagne attorno ad Aleppo e il giacimento di gas di Al Shaer, a est di Palmira. Almeno 270 soldati e tecnici, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, sono stati uccisi. In Iraq, lo Stato islamico ha respinto l’offensiva governativa a Tikrit, gestita in modo sciagurato dal governo di Nouri al Maliki. Migliaia di volontari sciiti inesperti sono stati mandati al massacro. Baghdad resta sempre nel mirino.

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