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La Stampa Rassegna Stampa
16.07.2014 Il no di Hamas alla tregua, gli incontri di Federica Mogherini con Abu Mazen e Avigdor Lieberman
Cronache di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 16 luglio 2014
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La tregua è subito fallita Hamas sceglie la guerra - Hamas fa salare la tregua. Ripartono i raid su Gaza - L'ultima mossa di Abu Mazen. Da Al sisi per salvare l'accordo»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 16/07/2014, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo La tregua è subito fallita, Hamas sceglie la guerra", dalla STAMPA, a pag. 10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Hamas fa saltare la tregua. Ripartono i raid su Gaza" e, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "L'ultima mossa di Abu Mazen. Da Al sisi per salvare l'accordo".

Di seguito gli articoli


Parata di terroristi di Hamas

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: " La tregua è subito fallita Hamas sceglie la guerra"


Fiamma Nirenstein


Ennesimo fallimento del solito sogno di pace che ieri era balenato alle nove di mattina. Perchè già alle nove e cinque, ora di inizio della tregua proposta dall'Egitto, Hamas sventagliava Israele di missili mentre i suoi portavoce dichiaravano che la proposta di pace egiziana «non vale la carta su cui è scritta» e che «forse si tratta di una barzelletta». Dalle nove, dopo che Israele aveva accettato la tregua, ci sono voluti settanta missili perchè l'esercito rispondesse. La decisione di Netanyahu era stata presa durante un tempestosa riunione di gabinetto la mattina presto, proprio per essere pronto alle nove a dire «sì» al presidente Abdel Fattah al Sisi, un mediatore di pace ideale tradizionale, oggi nemico giurato di Hamas, membro della Fratellanza Musulmana di cui faceva parte Mohamed Morsi deposto da Sisi. Netanyahu è stato coperto di critiche soprattutto da parte del suo ministro degli esteri Avigdor Lieberman, che chiede di «andare fino in fondo contro Hamas» e non ha esitato, fatto senza precedenti in tempo di guerra, a attaccare il suo stesso governo con una conferenza stampa. Non è un caso che il viceministro della Difesa, l'oltranzista Dani Danon, sia stato spinto ieri fuori dal governo.
La proposta egiziana si era materializzata durante la serata di lunedì. Nel mondo arabo valgono dinamiche legate all'onore e al rispetto: l'Egitto è quel venerando Paese le cui proposte non si possono rifiutare, nell'era di Sisi emana paura, onore, e anche bisogno di ristabilire, dopo tanti scontri interni e una gran miseria persistente, un'aura di riconoscibilità internazionale per nuovi aiuti economici. L'Arabia Saudita, la Giordania, tutta l'ala moderata ha accolto con favore la sua proposta. Anche il delegato di Hamas al Cairo, Mussa Abu Marzuk, non si è tirato indietro, mentre sui teleschermi di Gaza andava in onda un intervento in parte isterico (incitazione e lodi degli shahid) e in parte disperato di Ismail Haniyeh, il capo dell'ala politica. Ma Haniyeh è solo uno degli attori; il primo è il capo militare Muhammed Deif, e poi Khaled Mashaal capo dell'ufficio politico all'estero, in Kuwait.
Durante la notte e fino alla mattina in cui la tregua è stata rifiutata da Hamas, i tre hanno avuto modo di scontrarsi finchè Deif ha vinto. Hamas si lamenta che di fatto l'accordo ripercorra quello del 2012, in cui si aprirono i passaggi e arrivarono gli aiuti economici ma restò disarmato, tanto che per un anno Israele è stato tranquillo. Adesso poi che ieri sera purtroppo ha fatto il primo morto israeliano, un volontario civile che portava cibo ai soldati vicino al valico di confine di Erez, le sue pretese si moltiplicano. Difficile che si realizzi la richiesta di Sisi che le due parti arrivino al Cairo, entro 48 ore e discutano tramite i suoi uomini.
Finora Hamas ha voluto mostrare anche a Sisi il viso delle armi, forse anche per compiacere due suoi amici che vogliono fungere da mallevadori: la Turchia e il Qatar, anche loro parte dei Fratelli Musulmani. Ma Erdogan solo ieri ha detto che «Israele è come Hitler», e il Qatar è un rubinetto d'oro di dollari grazie a cui Hamas si è rifornito di diecimila missili. Sisi resta il mediatore più plausibile, e sa che sarà lui a prendere di nuovo il giuoco in mano.
Infatti, per quanto Hamas faccia lo sbruffone, la sua condizione è catalettica. In questa fase «di deterrenza» l'esercito israeliano ha già distrutto un terzo dei missili, metà delle fabbriche di razzi, buona parte degli edifici in cui aveva sede il comando delle brigate e dei battaglioni militari. E questo, nonostante centinaia di missioni non siano state autorizzate per la preoccupazione di colpire i civili in questa tipica guerra asimmetrica, con uso massiccio di scudi umani. Hamas sa benissimo che dopo la fase di deterrenza, adesso Israele sta discutendo se passare alla fase in cui cerca una vittoria militare. Netanyahu non parla di invasione di terra, ma di far tacere le armi e di inferire a Hamas un danno decisivo: «Se non c'è cessate il fuoco la nostra risposta è: fuoco!», ha detto.
Per farlo, l'esercito deve rimuovere le risorse militari stipate nelle gallerie sotterranee, e questo comporterebbe l'ingresso di terra. La gente di Gaza comincia a chiedersi perchè i capi rifiutino la pace mentre la fame, i feriti, le distruzioni rendono la loro vita così amara. L'idea di Israele e di Sisi sarebbe, sembra, conferire a Abu Mazen molto potere, così che si arricchisca un asse moderato (Egitto, Curdi, Sauditi, Emirati, Giordania e altri, senza un rifiuto preconcetto per Israele) che dovrebbe contrastare l'incendio jihadista e iraniano. Netanyahu adesso ha acquistato, come gli ha detto Kerry, «il pieno diritto di espandere l'azione militare». Non vorrebbe farlo, ma il volontario ucciso ieri o altri episodi sanguinosi che Hamas cerca può cambiare la sorte della guerra.

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "Hamas fa saltare la tregua. Ripartono i raid su Gaza"


Maurizio Molinari


Hamas fa saltare la tregua e l’attacco di terra israeliana torna a incombere sulla Striscia di Gaza. Il governo di Benjamin Netanyahu accetta il cessate il fuoco proposto dal Cairo e alle 9 del mattino interrompe le operazioni militari. È la finestra che la diplomazia voleva. Ma Hamas gela tutti. «Cercano la nostra resa e sottomissione» affermano le Brigate al Qassam, ala militare di Hamas, che continuano a lanciare grappoli di razzi sulle città del Sud. Per sei lunghe ore Hamas lancia oltre 50 razzi e Israele assiste, passivamente.
Ma alle 15 Netanyahu prende atto che la crisi militare continua. È Peter Lerner, portavoce delle forze armate, che fa sapere: «Riprendiamo le operazioni militari». Nelle ore seguenti l’aviazione colpisce oltre 30 obiettivi: tunnel e lanciamissili. La Jihad islamica si allinea con Hamas: «Niente tregua perché nessuna delle nostre richieste è stata accolta». Il riferimento è alla liberazione di 56 militanti detenuti in Israele ed alla riapertura del confini di Rafah con l’Egitto.
Più volte i portavoce di Hamas dicono alle radio di Gaza: «L’Egitto non ci ha garantito la riapertura del confine» da cui dipendono i collegamenti, e gli scambi economici, con il resto del mondo. Ma Il Cairo su questo punto non fa concessioni, a conferma dell’approccio duro a Hamas, considerata una fiancheggiatrice del Fratelli Musulmani egiziani. Mussa Abu Marzuk, del comitato politico di Hamas, assicura che «alcuni contatti sono in corso» ma dopo il tramonto sono gli scontri armati che accelerano. Un colpo di mortaio palestinese causa la prima vittima israeliana: un civile che porta cibo ai militari lungo il confine. Israele schiera elicotteri sul cielo di Erez, la frontiera con Gaza, e Netanyahu afferma: «Hamas ha scelto il conflitto e ne pagherà il prezzo». I comandi parlano di «necessario intervento di terra» per «disarmare la Striscia» e il ministro degli Esteri Lieberman ribadisce la necessità di «rioccuparla del tutto».
Il fallimento della tregua cambia l’umore degli israeliani: se prima in maggioranza non volevano l’intervento di terra ora il 92% non crede nel cessate il fuoco. Netanyahu incassa il sostegno di Washington. «Israele ha diritto di adoperare qualsiasi mezzo per difendere i propri cittadini» afferma la Casa Bianca mentre John Kerry plaude alla «decisione di Netanyahu di accettare la tregua». Hamas è ancor più isolata nell’incombere di un possibile attacco di terra. Forse ciò spiega perché, a notte inoltrata, un portavoce da Gaza afferma: «I contatti con l’Egitto continuano».

LA STAMPA - Maurizio Molinari: " L'ultima mossa di Abu Mazen. Da Al sisi per salvare l'accordo"


Federica Mogherini e Avigdor Lieberman ad Ashodod

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Federica Mogherini e Abu Mazen


Attaccato aspramente da Hamas, sbeffeggiato dalle radio della Jihad islamica, incalzato dalle telefonate di John Kerry e impegnato in un delicato colloquio con Federica Mogherini, Abu Mazen attraversa una delle giornate più difficile della sua presidenza. E parte oggi per il Cairo al fine di rafforzare la proposta egiziana di tregua per scongiurare l’attacco israeliano di terra a Gaza.
La girandola di incontri che il presidente palestinese ha con i più stretti consiglieri, sin dal mattino, tradisce la tensione per quanto sta avvenendo a Gaza. Abu Mazen si trova stretto fra più fuochi. Hamas, con il portavoce Sai Abu Zuhri, lo accusa di «aver offeso il sangue dei martiri palestinesi» per aver parlato di «guerrafondai su entrambi i fronti nella crisi in atto a Gaza». Mussa Abu Marzuq, membro del comitato politico di Hamas, si scaglia contro Ryad Al-Malki, ministro degli Esteri palestinesi, definendolo «al servizio di Netanyahu» per aver riconosciuto il diritto di Israele a difendersi. E le radio di Gaza trasmettono le dichiarazioni di militanti della Jihad Islamica che chiedono ad Abu Mazen di «non impicciarsi di cosa sta avvenendo qui» perché «a Gaza resta un intruso».
Hamas e Jihad islamica contestano ad Abu Mazen, come scrive il giornalista giordano-palestinese Yasser Al-Zaatra vicino ai Fratelli Musulmani, di «impedire ai palestinesi in Cisgiordania di esprimere solidarietà per Gaza». Hamas puntava a innescare nei Territori una terza Intifada contro Israele, per aprire un secondo fronte alle spalle del nemico, ma le forze di sicurezza palestinesi lo hanno impedito. Senza contare le accuse di aver «cooperato con gli israeliani» nella caccia ai rapitori dei tre ragazzi ebrei uccisi in Cisgiordania: Hamas è convinta che i nomi dei presunti rapitori - Marwan Qawasmeh e Amar Abu Aisha di Hebron - siano stati indicati a Israele dalla polizia palestinese. Da qui le accuse di «tradimento» che le radio di Gaza gettano addosso ad Abu Mazen, che al momento presiede un governo di unità nazionale formalmente sostenuto anche da Hamas.E Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, secondo fonti palestinesi, avrebbe vissuto come un «tradimento» il sostegno di Abu Mazen alla mediazione egiziana basata su una bozza di accordo «che noi non abbiamo mai visto».
Sul fronte opposto a incalzare Abu Mazen c’è John Kerry, il Segretario di Stato americano che dopo aver sostenuto le critiche palestinesi agli insediamenti ebraici durante un negoziato durato nove mesi non ha gradito la decisione a sorpresa del governo di unità nazionale con Hamas. E ora preme su Abu Mazen affinché sfrutti la crisi militare a Gaza per fare marcia indietro. Lo spazio politico per il presidente palestinese si riduce al necessario sostegno per la mediazione egiziana, tantopiù che viene avallata dalla Lega Araba, e quando Hamas la respinge non gli resta altra scelta che volare al Cairo dove domani vedrà il presidente Abdel Fattah Al Sisi per un incontro che si annuncia teso. Al Sisi gli chiederà di rinunciare a ciò che resta delle intese con Hamas.
Il ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, è dunque arrivata alla Muqata in una delle giornate più difficili di Abu Mazen. A testimoniare le fibrillazioni di Ramallah c’è l’intenzione di rivolgersi all’Onu per chiedere la «protezione dei palestinesi dalle atrocità israeliane» con un passo non condiviso da Washington. Durante il colloquio, Abu Mazen ha detto con chiarezza cosa ha in mente: «Serve il cessate il fuoco a Gaza per poi riprendere il negoziato di pace fra noi e Israele». Ovvero, superare questa crisi militare per ricominciare le trattative arenatisi a fine aprile. Mogherini ha mostrato attenzione per questo approccio, affermando che «l’Unione europea è impegnata a favore del cessate il fuoco a Gaza» ed aggiungendo l’impegno dell’Italia «guardando al dopo» con 1,6 milioni di euro di aiuti di emergenza alla Ong presenti a Gaza e 4 milioni all’Unrwa - l’Agenzia dell’Onu per i palestinesi - che potrebbero aumentare.
«Inshallah l’accordo di tregua ci sarà» ha detto Mogherini al termine degli incontri alla Muqata, poche ore dopo essersi recata ad Ashdod in visita ad una delle case colpite dai razzi lanciati da Hamas. Proprio durante questa tappa, accompagnata del collega israeliano Avigdor Lieberman, il capo della Farnesina ha affiancato l’omaggio al «coraggio della popolazione israeliana« nel fronteggiare i razzi che piovono da Gaza al sostegno «per le posizioni di Abu Mazen» a favore di una cessazione di «tutte le attività militari in atto nella Striscia».

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