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La Stampa Rassegna Stampa
14.04.2014 La storia del Maccabi Tel Aviv si intreccia con quella di Israele
di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 14 aprile 2014
Pagina: 45
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Maccabi, la storia del basket. E anche quella di Israele - Coach Blatt 'Facciamo sistema: ecco il segreto'»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/04/2014, a pag. 45, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Maccabi, la storia del basket. E anche quella di Israele" e l'intervista all'allenatore David Blatt dal titolo "Coach Blatt 'Facciamo sistema: ecco il segreto' "

              
 Maurizio Molinari     Il simbolo del Maccabi  Tel Aviv

Ecco la cronaca di Maurizio Molinari:
 
Protagonista dell’edificazione nazionale, fonte di un’integrazione non solo sportiva con gli Stati Uniti, simbolo della sfida all’Urss durante la Guerra Fredda e vincitore di una quantità record di titoli: il Maccabi Tel Aviv non è solo la squadra di basket più amata e premiata d’Israele, è uno specchio delle trasformazioni dell’identità dello Stato Ebraico. Da mercoledì sfiderà Milano nei quarti di Eurolega.
Fondato a Tel Aviv nel 1932, sedici anni prima dell’indipendenza, il Maccabi gioca fino all’inizio degli anni Sessanta nel torneo di una Federazione di basket che riflette il legame stretto fra partiti e sport: l’Hapoel è espressione dei laburisti, il Beitar della destra, il Maccabi dei liberali e Elizur dei religiosi. Tornei e partite ripetono duelli politici fino a quando nel 1965 la VII Maccabiade, i Giochi con gli atleti ebrei provenienti da ogni angolo del mondo, vede debuttare nel team americano Tal Brody, del New Jersey, fra i dieci cestiti migliori degli Stati Uniti. Israele si innamora di lui e il Maccabi lo convince a restare. Il Maccabi è un team asiatico ma gioca in Europa a seguito del boicottaggio arabo nei confronti dello sport israeliano. Brody importa lo stile della Nba: partite più veloci, vita da professionisti, allenamenti duri. Come dice l’allenatore Ralph Klein: «Brody ha creato un legame con l’America che ha portato a innumerevoli conseguenze». La simbiosi fra Brody e il basket trasforma il Maccabi in una squadra che spazza via le differenze di fedeltà politica fra team, diventando una sorta di nazionale. Anche perché il raggiungimento della prima finale europea e l’inaugurazione dello stadio Yad Eliahu avvengono nel 1967, l’anno della Guerra dei Sei Giorni che esalta il patriottismo. Quando Brody torna negli Stati Uniti, Maccabi e Hapoel fanno a gara nel sostituirlo arruolando Oltreoceano cestisti destinati ad essere seguiti da un numero di statunitensi che ha superato quota cento.
Negli anni Settanta la stella è Mickey Berkowitz, unico israeliano in un team di yankees, ed il campionato europeo del 1977 lo trasforma nella punta di lancia dell’Occidente nella Guerra Fredda. Il motivo è la decisione dei cecoslovacchi del Brno e dei sovietici del Cska Mosca di boicottare i match con Tel Aviv. La Federazione dà al Maccabi vittoria a tavolino in casa ma impone a Brno e Cska di giocare il ritorno in campo neutro, in Belgio. Gli israeliani liquidano il Brno e la sfida con il Cska Mosca, squadra dell’Armata Rossa, si trasforma il 17 febbraio 1977 in una sintesi del duello Est-Ovest. Quando Klein saluta i giocatori dice «Battiamo l’Orso russo pensando ai nostri fratelli ebrei che non possono emigrare dall’Urss» e la risposta gli arriva in coro dai cinque yankees, Lou Silver, Bob Griffin, Tal Brody, Jim Boatright e Aulcie Perry: «Siamo cresciuti in America, non devi spiegarci perché combattiamo i rossi». La vittoria per 91 e 79 smentisce i pronostici e porta centomila persone a inondare Tel Aviv e Tal Brody commenta dicendo: «Siamo sulla mappa e non solo dello sport». Grazie alla vittoria, il team guidato da Berkowitz arriva in finale dove il 7 aprile batte la Mobilgirgi di Varese consegnando a Israele il primo trofeo europeo.
Per il Maccabi è l’inizio di un decennio d’oro che lo vede mietere successi e trofei, con conseguenze a pioggia sullo sport nazionale, dal boom del basket giovanile alla celebrazione di Berkowitz come un idolo nazionale. «Ogni madre d’Israele vuole allevare un Berkowitz» ripete Klein. Ma c’è dell’altro perché il Maccabi resta il team in origine dei liberali - alleati del Likud, principale partito di destra - e quando il premier laburista Itzhak Rabin si dimette, due ore dopo il successo su Mobilgirgi, molti vivono la fine di 29 anni di governi laburista come un effetto-Maccabi in politica, che porta alla guida del Paese i conservatori. Da allora il super-team di Tel Aviv ha moltiplicato stelle in campo e trofei in bacheca trasformandosi in un simbolo tale da attirare l’intolleranza. Come avvenne a Varese, il 7 marzo del 1979, quando un gruppo di tifosi dell’Emerson accolse Berkowitz e compagni innalzando striscioni che inneggiavano allo sterminio degli ebrei. La condanna del mondo dello sport e la vergogna espressa da Varese furono tali da trasformare l’anno seguente la partita di Bologna, contro la Sinudyne, in una festa antidoto contro l’intolleranza.
Lo Yad Eliahu nel frattempo è stato ristrutturato, passando da 5000 a 11000 posti, nella Nokia Arena ovvero lo stadio più frequentato dagli israeliani, che quando vi entrano per il Maccabi - o la nazionale, che spesso ha gli stessi giocatori - continuano a rinnovare l’emozione di essere al crocevia fra l’Asia a cui appartengono, l’Europa dove giocano e l’America da dove viene il loro basket.

Ecco l'intervista:

David Blatt

David Blatt, allenatore del Maccabi Tel Aviv, cosa si aspetta dal match contro Milano?
«Milano è un team di alta qualità. La nuova formula di Eurolega mi convince, valorizza la competizione e favorisce il bel gioco. Milano ha una squadra forte e il match sarà ad alto livello. E poi mi fa piacere tornare in Italia, per me ha un valore particolare».
Come è cambiato il basket italiano da quando ha lasciato Treviso?
«Ha avuto un momento di indebolimento ma poi ha saputo riprendersi, ed è tornato ora ad esprimersi a livelli alti».
Lei ha vinto molto nella sua carriera, quale è la sua ricetta per una squadra di successo?
«Deve avere quattro elementi. Giocatori di carattere. Talento in quantità. Sapere dimostrare continuità nel corso del campionato e fare sistema, essere un tutt’uno sul campo».
Il Maccabi Tel Aviv spesso ha anticipato le trasformazioni di Israele. Cosa c’è all’orizzonte dello Stato Ebraico?
«Il Maccabi è il tessuto della nazione. Ha dimostrato negli anni di essere un leader, riuscendo a guidarla. Avverrà ancora, rafforzando il Paese».
Ci può dire una cosa del Maccabi che pochi sanno?
«Non siamo solo una squadra di basket ma anche un ente di beneficenza. Sosteniamo finanziariamente molte realtà vulnerabili di Israele ma non ne parliamo troppo. Ciò che conta è promuovere il bene ed essere d’esempio, anche fuori dal terreno di gioco»

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