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La Stampa Rassegna Stampa
21.05.2012 La fine di una storia sporca
morto a Tripoli l'ultimo terrorista di Lockerbie

Testata: La Stampa
Data: 21 maggio 2012
Pagina: 19
Autore: Mattia Bernardo Bagnoli
Titolo: «Morto l’attentatore di Lockerbie»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/05/2012, a pag. 19, l'articolo di Mattia Bernardo Bagnoli dal titolo " Morto l’attentatore di Lockerbie ".


al Megrahi al tempo dell' attentato e i resti dell'aereo

Abdelbaset al-Megrahi, l’unico uomo ad essere stato condannato per l’attentato del 1988 al volo Londra-New York della PanAm, è morto ieri nella sua casa di Tripoli. Da tempo malato di tumore alla prostata, era stato scarcerato nell’agosto del 2009 per «ragioni umanitarie». Una decisione, quella dell’esecutivo scozzese, che fece scalpore e suscitò la rabbia degli Usa e di molti familiari delle 270 vittime di Lockerbie. Il benvenuto da eroe riservatogli dal colonnello Gheddafi non fece che riaprire una ferita mai cicatrizzata del tutto. «Oggi dobbiamo ricordare le vittime di quell’attacco», ha detto da Chicago il premier britannico David Cameron. Megrahi, ha sottolineato, non avrebbe mai dovuto lasciare la prigione scozzese dov’era rinchiuso.

Certo, con la sua condanna si era arrivati a scrivere la parola fine in calce alla più complessa indagine criminale mai condotta in Gran Bretagna – gestita, tra l’altro, dalla più piccola forza di polizia del Paese – e a dare un colpevole all’attentato terroristico più sanguinoso mai compiuto sul suolo britannico. Peccato che al-Megrahi si sia sempre dichiarato estraneo ai fatti. Persino nel suo letto di morte. «Sono innocente», ha ribadito nell’ultima intervista alla Bbc lo scorso dicembre. Tutto il contrario di quello che dicono i magistrati scozzesi. Secondo loro l’ex agente segreto libico è stato condannato sulla base delle prove ammassate – celebre il brandello di abito avvolto all’innesco che ha portato gli investigatori a Malta e da qui a Megrahi – e il tutto garantendo un «giusto processo». Ma c’è chi non la pensa così. Jim Swire, padre di una delle vittime, definisce la morte di Megrahi addirittura come«un momento molto triste». «Fino all’ultimo ha combattuto per ribaltare il verdetto. Lo ha fatto per la sua famiglia ma anche per quei famigliari delle vittime che, dopo lo studio delle prove, si sono convinti della sua innocenza».

Megrahi, dicono i suoi sostenitori, sarebbe stato usato dal regime di Gheddafi come «capro espiatorio». A ben vedere l’ex 007 libico è stato forse trattato da merce di scambio più di una volta. Gheddafi, infatti, dopo aver concesso nel 1999 la sua estradizione, ha iniziato, alla prima occasione utile, a premere sul governo britannico per averlo indietro. La guerra al terrore di Bush fu in questo senso una vera manna dal cielo per il dittatore libico. Tony Blair ruppe per primo gli indugi e nel 2004 gli fece visita nella tenda. L’intesa fu istantanea: l’intelligence di Sua Maestà e gli sgherri di Mussa Kussa aprirono un canale di comunicazione – i documenti rinvenuti a Tripoli da Human Rights Watch nei giorni del crollo del regime parlano chiaro – e le società britanniche, compagnie petrolifere in testa, iniziarono a vincere contratti su contratti. Il delfino Seif andò persino a studiare alla prestigiosa London School of Economics. Il destino di Megrahi era però sempre sullo sfondo.

Gheddafi sollevò più di una volta la questione con Blair e arrivò anche a minacciare l’interruzione dei rapporti commerciali se la Gran Bretagna non l’avesse restituito. Blair sostiene di aver risposto che le autorità competenti erano quelle scozzesi. Su questo punto la dietrologia fiorisce rigogliosa. Soprattutto perché a Megrahi, al tempo della scarcerazione, non erano stati dati più di tre mesi di vita. Eppure Karol Sikora, l’oncologo di Londra che lo esaminò il 29 luglio 2009, è sicuro della sua diagnosi: il tumore era ormai in «metastasi». Come mai allora Megrahi è riuscito a sopravvivere sino a maggio 2012? «Le cure che ha ricevuto in Libia sono quasi certamente la ragione», ha dichiarato alla Bbc.«A Tripoli è stato sottoposto a chemioterapia e radioterapia, mentre a Glasgow riceveva solo un trattamento agli ormoni».

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