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La Stampa Rassegna Stampa
30.09.2011 La propaganda di Abu Mazen direttamente sulle pagine del quotidiano torinese
Scrivere al direttore Mario Calabresi per protestare

Testata: La Stampa
Data: 30 settembre 2011
Pagina: 21
Autore: Rachida Dergham
Titolo: «Nessuno potrà fermare la nascita della Palestina»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2011, a pag. 21, l'intervista di Rachida Dergham ad Abu Mazen dal titolo "Nessuno potrà fermare la nascita della Palestina".

L'immagine a destra illustra l'intervista-tappeto con Abu Mazen e, se possibile, disinforma più ancora delle parole del leader palestinese.
L'illustrazione rappresenta alcune tappe del conflitto mediorientale in maniera tendenziosa e monca. Mancano completamente i richiami a tutte le guerre combattute da Israele per difendersi dagli attacchi dei Paesi arabi limitrofi. Come mai?
La prima cartina, poi, rappresenta qualcosa di inesistente, i confini delle presunte "
terre della popolazione palestinese". Questo lascia presumere al lettore poco informato che, prima della nascita di Israele, esistesse uno Stato palestinese per la popolazione palestinese e che Israele l'abbia in parte cancellato con la propria nascita. Niente di più lontano dalla realtà. Uno Stato simile non è mai esistito. Dopo lo sgretolamento dell'impero turco, la zona divenne mandato britannico e, con la dichiarazione Balfour, si decise di crearvi uno Stato ebraico. Poi, la risoluzione 181 dell'Onu (1947) prevedeva la suddivisione dell'area in due Stati, uno ebraico e uno palestinese. Gli ebrei accettarono la spartizione, gli arabi no, e attaccarono Israele.
L'illustrazione, inoltre, manca di specificare che, dopo ogni conflitto, la linea seguita da Israele fu sempre quella di cedere i territori conquistati con la vittoria delle guerre in cambio di pace. Come fu con Egitto e giordania.
Una linea che, con Gaza, si è rivelata fallimentare.
Nel corso degli anni, Israele è riuscito a stipulare accordi di pace con Egitto e Giordania. Gli unici che continuano a opporsi sono Siria ed Hezbollah, direttamente manovrati dall'Iran,  e i palestinesi che hanno rifiutato tutte le proposte fatte da Israele. Tutta la storia dei negoziati fra Israele e palestinesi è costellata di rifiuti da parte dei leader arabi.

La cartina sottostante è quella diffusa da Infopal, il centro di propaganda anti israeliano in Italia al quale fanno riferimento Angelo Lano, Luisa Morgantini & Co. Quella della Stampa la riprende integralmente. Complimenti !

L'intervista, anche se fatta dopo aver steso un lungo tappeto rosso, è utile a comprendere le posizioni di Abu Mazen il 'moderato'.
"
Oggi c’è invece una pacifica resistenza popolare a Bil’in, a Ni’lin e in altre città della Palestina vicine al Muro. È una resistenza condotta dai palestinesi, ma anche da israeliani e volontari internazionali. ". Il lancio di sassi di grosse dimensioni fa parte della 'resistenza pacifica'? Abu Mazen si lamenta della barriera israeliana, ma nè lui nè la sua intervistatrice specificano come mai è stata eretta. Il terrorismo palestinese della seconda intifada non è un argomento contemplato nel corso dell'intervista.
Abu Mazen continua : "
La Russia, l’Europa e l’Onu hanno rifiutato le istanze americane e questo significa che erano inaccettabili per chiunque. Proposte che parlano di uno stato ebraico e del blocco degli insediamenti come se fossero un fatto compiuto e lasciano la gestione della sicurezza in mano israeliana". Lo Stato ebraico è un fatto compiuto. Lo è dal 1948. Anche quello palestinese avrebbe potuto esserlo, in base alla risoluzione Onu che lo prevedeva. Ma gli arabi hanno rifiutato, convinti di poter cancellare Israele da subito. La gestione della sicurezza necessariamente deve essere nelle mani di Israele, questo perchè non è lo Stato ebraico a cercare di assassinare gli arabi, nè a rifiutare di riconoscere uno Stato palestinese. Il governo Netanyahu, come quelli precedenti, si è impegnato nei negoziati. Chi continua a svicolare è la controparte palestinese.
"
Di chi dovrei aver paura? Se Netanyahu vuole attaccarci, lo faccia. Se vuole annullare gli accordi, lo faccia. È libero di fare quello che preferisce perché è Israele la nazione occupante. Netanyahu occupa la nostra terra e può fare ciò che vuole. Ma non ci sottometteremo alla sua volontà. E ci opporremo con mezzi pacifici».". Israele non è una nazione occupante. E' una nazione esistente che, come tale, si difende e garantisce la sicurezza dei propri cittadini. Saremmo curiosi di sapere quali sono i 'mezzi pacifici' coi quali Abu Mazen si oppone alla presunta occupazione. Le pietrate? O la propaganda antisemita e anti israeliana con la quale indottrina i palestinesi fin da bambini? Oppure pretendere il riconoscimento unilaterale di uno Stato i cui confini permetterebbero di attaccare liberamente Israele impossibilitato a difendersi? Oppure la riconciliazione con Hamas, associazione terroristica che ha come punto fondamentale nel proprio statuto la cancellazione di Israele ?
Ecco l'intervista:

Presidente, come si è sentito a parlare davanti all’Assemblea Generale? Che cos’ha provato in un momento simile?

«Sentivo di essere testimone di un evento storico, di essere lì a presentare una richiesta giusta e sacrosanta: il diritto di ottenere uno Stato che sia a pieno titolo membro delle Nazioni Unite, come tutti gli altri. Mi è sembrato che se si fosse votato in quel momento avremmo avuto un appoggio unanime. Ma purtroppo ci sono persone che vogliono impedire al popolo palestinese di raggiungere questo traguardo e l’unica cosa da fare è essere pazienti».

Teme le reazioni? Pensa che quest’avventura possa avere conseguenze indesiderate?

«Non è un’avventura. Al contrario, è uno sforzo ben calcolato. Per oltre un anno abbiamo discusso la questione e l’abbiamo esaminata da ogni angolo. Ne abbiamo parlato con le altre nazioni arabe e con la Lega Araba, che sono sempre state al corrente di ogni nostro passo. Siamo stati chiari con tutti, senza trucchi. Nei nostri incontri e nelle nostre dichiarazioni, è sempre stata palese la nostra posizione».

L’eventuale veto degli Stati Uniti vi pone davanti a un bivio. State valutando delle alternative?

«Torneremo in patria e studieremo tutte le possibilità. Ogni proposta che riceveremo sarà presa attentamente in considerazione, ferme restando le condizioni che abbiamo posto. La realtà è che vogliamo tornare a negoziare. Ma senza il riconoscimento delle frontiere del 1967 e senza che gli insediamenti si fermino, non ci siederemo ad alcun tavolo. Attendiamo che la decisione del Consiglio di Sicurezza venga presa e tutti i passi formali. Ma rifiutiamo ogni gioco politico, ogni tentativo di fare ostruzionismo o temporeggiare».

Se la decisione del Consiglio di Sicurezza sarà rinviata, c’è la possibilità che per la Palestina vi sia un posto nell’Onu come «Stato osservatore»?

«Non è una soluzione che stiamo considerando in questo momento. Ripeto: rifiutiamo ogni tipo di rinvio o ostruzionismo.

Se il veto statunitense fosse confermato, la Palestina non sarà riconosciuta come Nazione e non potrà appellarsi alla Corte Penale Internazionale.

«Gli Stati Uniti, la roccaforte della democrazia, farebbero un torto al popolo palestinese negandogli la libertà e il diritto all'autodeterminazione. E dovrebbero rispondere di questa scelta».

Ma c’è chi dice: perché perdere l’appoggio di un presidente americano favorevole alla vostra causa?

«È stato il presidente degli Stati Uniti a parlare dello stop agli insediamenti, di confini del ‘67. Ora dovrebbe dare seguito alle sue parole».

Il presidente francese Sarkozy può essere l’alternativa giusta, se avanzerà delle proposte più dettagliate?

«Apprezziamo il suo impegno, ma daremo una risposta solo dopo aver consultato la leadership palestinese. Solo in quella sede verrà presa una decisione».

L'esperienza del Quartetto può dirsi conclusa? È deluso dalle sue posizioni?

«Purtroppo nell’ultimo anno il Quartetto non è riuscito a produrre alcun documento, come invece era avvenuto in passato. Quest’anno il Quartetto ha fallito, almeno fino ad oggi. È stato il Quartetto a rifiutare le proposte americane, non noi. La Russia, l’Europa e l’Onu hanno rifiutato le istanze americane e questo significa che erano inaccettabili per chiunque. Proposte che parlano di uno stato ebraico e del blocco degli insediamenti come se fossero un fatto compiuto e lasciano la gestione della sicurezza in mano israeliana. Di fatto è stato l’inviato del Quartetto, Tony Blair, a portare sul tavolo le idee che lo stesso Quartetto ha rigettato».

Sarkozy ha proposto di fissare un calendario per i negoziati.

«I negoziati sono la vera priorità, vengono prima della tempistica. Quello che conta è la sostanza. Se la sostanza è adeguata, allora siamo disposti a fissare una roadmap e una scadenza».

Hamas è stata critica con il suo discorso.

«Fin dall’inizio, Hamas ha detto che si sarebbe trattato di una mossa unilaterale. È vero, forse non li abbiamo consultati. Dicono “se tu non ci consulti, siamo contro di te”, ma è assurdo. Capisco il succo delle loro posizioni, ma ne hanno fatto una questione di orgoglio. Rifiutano ogni compromesso, anche con pretesti: sostengono che il discorso conteneva contraddizioni, quando invece tutto il mondo ha capito quello che abbiamo detto. È deprecabile».

Lei ha proposto qualcosa di simile a una nuova intifada.

«Non ho parlato di intifada, quella appartiene al passato. Oggi c’è invece una pacifica resistenza popolare a Bil’in, a Ni’lin e in altre città della Palestina vicine al Muro. È una resistenza condotta dai palestinesi, ma anche da israeliani e volontari internazionali. Queste proteste non violano alcuna legge internazionale, le appoggiamo perché si oppongono all’occupazione e solo finché saranno pacifiche. Ora, abbiamo imparato dai nostri fratelli arabi e dalla primavera araba. Le loro proteste pacifiche si sono dimostrate il metodo più efficace per ottenere i propri diritti».

Teme che Benjamin Netanyahu possa minacciare nuove misure?

«Dal punto di vista militare, anche senza minacce, Netanyahu può fare qualunque cosa: non siamo in grado di confrontarci con Israele su quel piano e non vogliamo farlo. Ma se lo vorrà, la nostra porta è aperta».

I primi a congratularsi con lei per il suo discorso sono stati il primo ministro turco Erdogan e l’Emiro del Qatar. Qual è la natura delle vostre relazioni, considerando la rivalità tra Iran e Turchia? E qual è il vostro rapporto con Iran e Siria?

«Qui a New York abbiamo incontrato la delegazione iraniana e quella siriana. Il ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad è venuto a congratularsi con me. Non siamo in alcun modo in cattivi rapporti. Per quanto riguarda Erdogan, la nostra relazione è eccellente, così come quella con l’Emiro del Qatar. Non abbiamo problemi con nessuno».

C’è qualcosa che teme?

«Di chi dovrei aver paura? Se Netanyahu vuole attaccarci, lo faccia. Se vuole annullare gli accordi, lo faccia. È libero di fare quello che preferisce perché è Israele la nazione occupante. Netanyahu occupa la nostra terra e può fare ciò che vuole. Ma non ci sottometteremo alla sua volontà. E ci opporremo con mezzi pacifici».

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