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La Stampa Rassegna Stampa
30.07.2011 Turchia, nuova sconfitta dei militari, il potere del governo islamico si rafforza
La cronaca di Francesco Semprini, il commento di Vittorio E.Parsi

Testata: La Stampa
Data: 30 luglio 2011
Pagina: 1
Autore: Francesco Semprini-Vittorio E.Parsi
Titolo: «Turchia, si dimettono i vertici militari-Se i militari sfidano Erdogan»

Nuovo attacco di Erdogan contro i militari, avvenuto pare con successo. Il suo governo continua ad essere presentato come moderato, anche se con questa azione ha forse definitivamente eliminato la possibilità che i militari potessero riuscire a riportare la democrazia in Turchia.  L'opinione pubblica italiana non sa che i militari in Turchia, caso più unico che raro, erano la forza che garantiva il paese da una involuzione islamista, un potere voluto da Ataturk, a difesa della laicità turca.
Sull'argomento, riprendiamo dalla STAMPA  di oggi, 30/07/2011, a pag.16, la cronaca di Francesco Semprini e il commento di Vittorio E.Parsi a pag.1/39.

Francesco Semprini: " Turchia, si dimettono i vertici militari "


Ataturk, il padre della Laicità  Erdogan, il ritorno al'indietro

Defezioni in blocco per i vertici militari turchi. Il capo di stato maggiore delle forze armate di Ankara, Isik Kosaner, ha rassegnato ieri le dimissioni a cui hanno fatto seguito quelle dei numeri uno di Esercito, Marina e Aeronautica. Un gesto di protesta contro l’arresto e la mancata promozione di alcuni generali accusati di tramare contro il governo islamico-moderato del Primo ministro, Recep Tayyip Erdogan.

L’episodio non ha precedenti nella storia del Paese ed è destinato a rendere più profonda la spaccatura tra vertici militari e politici che si è venuta a creare negli ultimi due anni in coincidenza del progressivo indebolimento dei tradizionali guardiani della laicità su cui si fonda la Turchia moderna nata con Mustafà Kemal Atatürk. Ancor di più perchè le dimissioni in blocco arrivano alla vigilia del consueto consiglio militare supremo, il summit strategico che ogni semestre vede riunita la leadership turca per definire le linee guida politiche e militari della nazione. Lo Yas questo il nome del vertice - è inoltre l'organo incaricato di decidere avanzamenti, incarichi e licenziamenti degli alti ufficiali. La vicenda infatti si intreccia al nodo delle promozioni dei militari. Lunedì tutti i comandanti che ieri si sono dimessi, eccetto Kosaner, sarebbero andati in pensione. Coincidenza questa usata per spiegare il gesto dei generali, tanto che l'agenzia semi-ufficiale Anadolu ha precisato che la richiesta di dimissioni è in realtà una domanda di pensionamento.

Questa la spiegazione ufficiale. I militari parlano invece di «rottura», su una serie di avanzamenti in vista dello Yas. I vertici delle Forze armate avrebbero premuto perchè vi rientrassero 17 ufficiali dell’Esercito detenuti assieme ad altri funzionari (una ventina circa) perchè accusati di aver condotto una campagna volta a mirare la credibilità e la stabilità del governo di Ankara attraverso i canali Internet. Nel mirino degli «eversivi», ci sarebbe stato il partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) al potere dal 2002. Il governo ha però respinto la richiesta proponendo il loro trasferimento nella Riserva. Il diniego ha provocato la levata di scudi dei vertici militari spingendo il capo di stato maggiore a rassegnare le dimissioni definendolo «un atto necessario». Subito dopo sul tavolo di Gül sono giunte le lettere del capo dell’Esercito, generale Erdal Ceylanoglu (subito sostituito dal generale Necdet Ozel, ex numero uno della Gendarmeria), quello della Marina, ammiraglio Esref Ugur Yigit, e quellodell’Aeronautica, Hasan Aksay.

A finire nella rete della giustizia turca erano state anche 200 persone accusate di aver tramato per rovesciare il governo nel 2003 nell’ambito del piano «Sledgehammer» (Colpo di martello). Ci sono inoltre 400 persone - giornalisti, politici, accademici e soldati che dovranno rispondere di diverse accuse riconducibili al tentativo di rovesciare l’establishment politico, nell’ambito del dossier «Ergenekon», gruppo nazionalista turco. Per gli scettici, i casi «Sledgehammer» ed «Ergenekon» sono stati confezionati ad arte per mettere a tecere l’opposizione. Ankara da parte sua sostiene che i due dossier non hanno nessun tipo connotazione politica e che il governo turco sta operando nell’esclusivo interesse della democrazia.

Vittorio E.Parsi: " Se i militari sfidano Erdogan "


Ieri i vertici militari turchi hanno sfidato il potere politico e come quasi sempre accade in questi casi hanno perso. Si racconta che nel 1806, poco prima della battaglia di Jena in cui l’esercito prussiano fu battuto da Napoleone, gli ufficiali del reggimento Garde du Corps, fondato nel 1740 e composto interamente di aristocratici, si recarono a Berlino e, in segno di sfida, affilarono le loro spade sui gradini antistanti l’Ambasciata di Francia. Forse lì nacque l’espressione «odo un tintinnar di sciabole», chissà.

Certo è che, passo dopo passo, mese dopo mese, la progressiva deriva tra i vertici politici e quelli militari dello Stato turco si approfondisce. Si potrà discutere all’infinito su quanto Erdogan e il suo partito rappresentino un avanzamento della democrazia oppure un arretramento della libertà di costume (perlomeno) della Turchia di Atatürk. Una Turchia «inventata» da un geniale creatore, e sopravvissuta a diverse generazioni di emuli mediocri, parliamoci chiaro. Quello che è certo è che, già fin d’ora e salvo clamorosi e improbabili colpi di scena, Erdogan ha vinto e i militari hanno perso. I militari hanno iniziato a perdere in realtà da quando hanno preferito appoggiare la propria claudicante autorità sullo «Stato profondo», una specie di «Gladio del male», invece che puntare sul proprio prestigio di garanti della Repubblica fondata da Mustafà Kemal. Ma forse non avevano neppure altra scelta, poiché Cesare poté dar vita a un impero solo morendo, mentre Atatürk, sopravvivendo, fece del suo regime un regime squisitamente personale. In fondo, potremmo dire che il regime kemalista ha iniziato a morire con lo stesso Kemal e che solo la debolezza, l’inconsistenza, dei suoi sfidanti - unita alla determinazione dei suoi militari guardiani - ne ha consentito la sopravvivenza. Fino a quando non si è profilato un altro «caudillo», chi lo sa se davvero più convintamente democratico o solo più opportunisticamente populista, in grado di lanciare la sfida all’establishment militare (e giudiziario, occorre aggiungere).

Dopo tanto aver giocato in difesa, i vertici militari rilanciano la loro sfida al potere esecutivo civile, consci innanzitutto delle difficoltà che quest’ultimo sta incontrando in politica estera. Erdogan aveva investito sempre di più sul ribaltamento del classico approccio turco al Medio Oriente, avvicinandosi alla Siria e prendendo le distanze da Israele. Gli eventi degli ultimi mesi lo hanno costretto a una radicale revisione di rotta, di cui l’attivismo diplomatico turco in Egitto e Tunisia è solo uno degli indicatori. Gli Stati Uniti, tradizionali sostenitori della Repubblica Turca, sono sempre più perplessi. I rapporti con l’Europa sono precipitati nello stallo più totale, finendo col privare di una implicita giustificazione esterna la lotta che il primo ministro conduce da tempo nei confronti dei vertici militari. Eppure, la sensazione è che, alla fine, questo gesto estremo della simultanea «richiesta di pensionamento» da parte dei vertici militari sia «l’ultima carica» turca, la Balaclava di ussari scarlatti assurdamente lanciati contro munite batterie di artiglieria, tanto spettacolare quanto completamente inutile.

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