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La Stampa Rassegna Stampa
26.04.2011 Tra i ribelli libici un terrorista di Guantanamo
Cronaca di Glauco Maggi

Testata: La Stampa
Data: 26 aprile 2011
Pagina: 5
Autore: Glauco Maggi
Titolo: «Wikileaks: Tra i ribelli un ex di Guantanamo»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/04/2011, a pag. 5, l'articolo di Glauco Maggi dal titolo "Wikileaks: Tra i ribelli un ex di Guantanamo".


Abu Sufian Ibrahim Ahmed Hamuda bin Qumu

Era un alleato degli Stati Uniti in Afghanistan quando, negli Anni 80, guidava da giovanissimo un carro armato dei militanti islamici, finanziati dalla Cia, per cacciare i russi. Ed ora, a 51 anni, è ancora, almeno oggettivamente, dalla parte dell’America in Libia, dove combatte per fare fuori il colonnello Gheddafi a capo della Brigata Darnah, dal nome dei ribelli della città di 100 mila abitanti nel nord est in cui è nato. Nel frattempo, scherzi della storia, Abu Sufian Ibrahim Ahmed Hamuda bin Qumu è stato però per 20 anni acerrimo e dichiarato nemico degli Stati Uniti: prima in Afghanistan, negli Anni 90, quando il libico decise di ritornare rispondendo alla chiamata alle armi del fondamentalista Osama bin Laden, impegnato nella guerra contro gli Stati Uniti e l’Occidente che avrebbe raggiunto il suo culmine l’11 settembre del 2001 con l’attacco alle Torri Gemelle a New York. Poi, dopo l’attentato, Hamuda bin Qumu riparò in Pakistan, dove fu catturato in qualità di membro del Gruppo Islamico Libico di combattimento, alleato di Al Qaeda. Spedito a Guantanamo, ha fatto parte della schiera di militanti islamici meritevoli di essere detenuti. Secondo la descrizione che di lui hanno fatto gli inquirenti Usa nel 2005, il prigioniero era giudicato «un probabile membro di Al Qaeda», e il suo rilascio «avrebbe rappresentato un rischio di livello dal medio all’alto, perché», secondo i documenti di Guantanamo diffusi dal New York Times nell’ultima puntata del materiale segreto dell’amministrazione americana arrivato a Wikileaks, «è probabile che costituisca una minaccia agli Stati Uniti, ai loro interessi e ai loro alleati». Quando Gheddafi, prima di essere attaccato dalla Nato, accusava l’opposizione di essere infiltrata di membri di Al Qaeda, non stava farneticando. «Il governo libico considera il detenuto un uomo pericoloso che non ha scrupoli nel commettere atti terroristici», si legge in una delle note pubblicate dal giornale americano che riporta l’analisi del 2005 firmata dai servizi segreti Usa. «Hamuda bin Qumu era noto come uno dei comandanti estremisti degli Arabi Afghani», continua l’intelligence libica riferendosi alle pattuglie di arabi rimasti in Afghanistan dopo la cacciata dei russi. I rapporti sul militante furono scritti ai tempi della collaborazione tra Washington e Tripoli, ed oggi offrono uno spaccato inquietante della realtà dell’opposizione a Gheddafi. Secondo il giudizio classificato, bin Qumu «aveva sofferto di non meglio specificati disordini della personalità» e, sempre per la fonte dei servizi libici, aveva un passato di uso e di commercio di droghe, con anche accuse di omicidio e di assalti armati. Nel 1993 Qume scappò dalle galere libiche, riparò in Egitto e da qui si trasferì in un campo di fondamentalisti islamici sotto la guida di Osama bin Laden. Finito a Guantanamo, negò durante gli interrogatori d’aver mai partecipato ad attività terroristiche. Disse di temere il rimpatrio in Libia, dove avrebbe dovuto rispondere di accuse per i suoi crimini precedenti, e chiese di essere trasferito in qualche altro paese. «Voi, gli Stati Uniti, potete tenermi sotto controllo», disse durante le trattative per il rilascio. Ma nel 2007 fu liberato e spedito proprio in Libia: nel 2008, grazie ad una amnistia ai militanti, fu lasciato libero. Quando è scoppiata la crisi libica dopo le sollevazioni in Tunisia ed Egitto, il colonnello Gheddafi diede la colpa ad Al Qaeda per le rivolte di massa nel paese, e le polemiche in America, trasversali nei due partiti, sui rischi di aiutare in Libia schiere di militanti dalle intenzioni reali ancora tutte da scoprire non si sono mai placate fino in fondo. Anche il Pentagono, a denti stretti, ha ammesso di essere a conoscenza della presenza di soggetti legati in passato ad Al Qaeda nella galassia dei ribelli. I muri dei palazzi nelle strade di Darnah sono decorati da scritte anti Gheddafi e a favore dell’Ovest, scrivono gli inviati del New York Times. Ma con aggiunte come «No Al Qaeda» e «No al terrorismo» che hanno l’ovvio intento di rassicurare il pubblico internazionale sulla natura politicamente corretta dell’opposizione in armi contro il colonnello. Darnah ha però una lunga storia di militanza estremista. Attivisti locali fondamentalisti crearono qui il Gruppo Combattente Islamico Libico, che si affiliò ufficialmente ad Al Qaeda e mandò militanti in Afghanistan. Darnah ha un record raggelante: è la terra più prolifica nel reclutare suicidi islamisti, 52 contro 51 di Riyadd, in Arabia Saudita, città 40 volte più popolosa di Darnah.

Dietre le nuove rivelazioni su Guantanamo c’è stata anche una guerriglia mediatica, con il New York Times e il Guardian che hanno voluto bruciare gli ’amici' di Wikileaks, costringendo il gruppo antisegreti a rompere l’embargo. La scorsa notte una decina di giornali in Europa e negli Usa ha cominciato a mettere online i dossier su Guantanamo. Ma la pubblicazione dei nuovi documenti da parte di New York Times, Washington Post, Guardian, e Daily Telegraph oltreché SpiegelinGermania, El Pais in Spagna, Le Monde in Francia e in Italia L’Espresso ha svelato una inedita concorrenza tra diffusori di segreti. Alcuni giornali, come quelli del gruppo McClatchy negli Usa e lo svedese Afdonbladet, avevano ricevuto a fine marzo i documenti direttamente dal gruppo di Assange, ma indipendentemente se li è però procurati anche il New York Times che li ha passati al Guardian e alla National Public Radio.

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