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La Stampa Rassegna Stampa
09.12.2008 Khalid Sheik Mohammed pronto a confessare la regia dell'11 settembre
insieme a quattro complici

Testata: La Stampa
Data: 09 dicembre 2008
Pagina: 14
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Torri Gemelle, i primi colpevoli»
Da pagina 14 de La STAMPA del 9 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Maurizio Molinari "Torri gemelle, i primi colpevoli":

«Siamo colpevoli, vogliamo morire, facciamo in fretta». Il regista degli attacchi dell’11 settembre 2001 e quattro suoi complici sono pronti a confessare la propria colpevolezza andando incontro alla condanna a morte in tempi molto stretti. I cinque terroristi di Al Qaeda sono detenuti nel carcere della base Usa di Guantanamo, sull’isola di Cuba, e lo scorso 4 novembre, il giorno in cui l’America ha eletto Barack Obama alla presidenza, hanno firmato una comune dichiarazione giurata affermando di voler rinunciare immediatamente a «tutti i diritti di difesa» al fine di accelerare i rispettivi processi, peraltro ancora non iniziati, arrivando alla condanna finale.
I loro nomi raccontano il complotto che causò quasi tremila vittime nel più sanguinoso attacco mai portato contro il territorio continentale degli Stati Uniti. Khalid Sheik Mohammed fu l’ideatore degli attacchi molteplici con aerei dirottati che convinsero Osama bin Laden sulla vulnerabilità degli Stati Uniti; Ramzi Binalshibh è lo yemenita considerato il vice di Mohammed, avrebbe dovuto essere lui il ventesimo kamikaze a bordo degli aerei dirottati ma non riuscì ad entrare in America per un problema con il visto; Mustafa Ahmad al-Hawsawi è il saudita che aiutò Mohammed a finanziare l’intera operazione, trovando i fondi e facendoli arrivare ai kamikaze; Ali Abd al-Aziz Alì è accusato di essere il colonnello di Mohammed, che fra l’altro è suo zio; Walid Bin Attash è il cittadino yemenita che secondo il Pentagono ha ammesso di essere stato il regista dell’attacco alla nave americana Uss Cole che alla fine del 2000 causò la morte di 17 marinai: Osama Bin Laden gli affidò poi il compito di partecipare all’attacco suicida contro gli Stati Uniti.
Il momento in cui la decisione presa dai cinque è divenuta pubblica è arrivato ieri alla pre-udienza del loro processo, svoltasi alla presenza di nove parenti delle vittime dell’11 settembre. In un’aula militare di Guantanamo protetta da ingenti forte di polizia i parenti delle vittime hanno preso posto poco lontano dai cinque accusati. All’inizio della seduta è stato il giudice a leggere ad alta voce la lettera collettiva nella quale chiedono che «ci venga consentito di testimoniare immediatamente per poter annunciare le nostre confessioni».
I terroristi affermano di essere arrivati a tale decisione «senza essere oggetto di alcun tipo di pressione, minaccia, intimidazione o promessa da parte di alcuno» e quando il giudice ha chiesto loro se erano pronti a dichiararsi colpevoli di «tutte le accuse contestate» a rispondere è stato Khalid Sheik Mohammed, dicendo: «Sì, non vogliamo perdite di tempo». Ciò significa andare incontro alla condanna a morte. D’altra parte in giugno proprio Mohammed aveva fatto sapere di non avere nulla contro la propria esecuzione definendola «un percorso verso il mio martirio». Alle parole di Mohammed, il giudice ha replicato dicendogli di dichiararsi subito colpevole ma a questo punto l’imputato ha opposto un rifiuto lamentando il fatto che Mostafa Ahmad al-Hawsawi e Ramzi Binalshibh non sono in grado di farlo perché devono sottoporsi a «controlli sulla stabilità mentale» ordinati dalle autorità militari. «Vogliamo farlo tutti assieme» ha aggiunto Mohammed, spiegando anche di voler ricusare il proprio avvocato militare perché «per sei mesi ha servito in Iraq uccidendo i nostri fratelli e le nostre sorelle». «Non faccio alcuna differenza fra il giudice, Bush, la Cia e l’avvocato - ha aggiunto - non mi fido di nessun americano».
Se i cinque terroristi di Al Qaeda riusciranno a dichiararsi tutti «colpevoli di ogni accusa» in tempi brevi la loro esecuzione potrebbe avvenire anche prima della chiusura del carcere di Guantanamo, promessa dal neopresidente Barack Obama durante la campagna elettorale.

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