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La Stampa Rassegna Stampa
15.03.2008 I grandi pregi di Sergio Romano per Gianni Vattimo
antiamericanismo e antisionismo

Testata: La Stampa
Data: 15 marzo 2008
Pagina: 35
Autore: Gianni Vattimo
Titolo: «Se il liberale dice cose di sinistra»
La guerra al terrorismo dovrebbe essere condotta come un'"operazione di polizia" a dispetto del fatto che le organizzazioni terrrostiche sono sostenute e protette da Stati. Israele dovrebbe trattare con Hamas  e il suo diritto all'esistenza dovrebbe essere essere precisamente l'oggetto del negoziato.
Queste opinioni di Sergio Romano piacciono molto, e non c'è da stupirsene, a Gianni Vattimo, il filosofo che appoggia i dittatori comunisti e odia Israele.

E' contento, Vattimo, che un "conservatore liberale" come Romano dica quello che dovrebbero dire, e secondo lui non dicono, i partiti di sinistra. Non sarà che a Romano di liberale è ormai rimasto ben poco, se si guadagna gli elogi di un fan di Fidel Castro come Vattimo ?
I tratti distintivi dell'ideologia di Romano sembrano ormai l'antiamericanismo e l'antisionismo.

Ecco il testo da La STAMPA del 15 marzo 2008:


Che piacere, sommersi come siamo dalla vacuità rumorosa della campagna elettorale, ascoltare la lunga intervista con Sergio Romano, ben noto anche ai lettori della Stampa, nel Tg de La 7 di giovedì sera. Finalmente un po’ di sostanza, dopo giorni e giorni di insipide polemiche sulle convinzioni fasciste di Ciarrapico, candidato da Berlusconi nelle proprie liste per la sola buona ragione per cui anche il Pd ha candidato tanti altri personaggi che politicamente «ci azzeccano» poco, ma promettono di portare voti.
E che tristezza dover prendere atto che, in questa situazione, le vestali «democratiche» dell’antifascismo (che peraltro avevano invitato Ciarrapico all’assemblea inaugurale del Pd) risultano insopportabilmente meno simpatiche e meno sincere del Cavaliere e persino del suo candidato così candidamente, ci si passi il bisticcio, mussoliniano.
Contro retorica, vuoto e insincerità

Fino a quando dovremo provare sentimenti di questo genere nei confronti della parte politica che continuiamo a preferire, intendo dire sentimenti di insofferenza, scandalo per la retorica, il vuoto, l’insincerità di tante posizioni degli esponenti «democratici»?
Richiamo il caso Ciarrapico solo per evidenziare di più l’abisso che separa polemiche come questa dalle problematiche che, voce nel deserto, Sergio Romano ha squadernato davanti alla platea di La7. E per una certa analogia tra i sentimenti di irritazione di cui sopra e l’ammirazione consenziente che ho provato ascoltando il giro d’orizzonte dell’ambasciatore. Certo, le cose che diceva, come conservatore liberale quale si definisce, mi sono parse straordinariamente vicine a quelle che, da elettore di sinistra, professo da tempo. Non mi sono convertito al liberalismo dell’ambasciatore, né credo si sia convertito lui. E, se è per questo, non penso si sia convertito un economista come Giulio Tremonti che, sebbene in misura diversa, mi suscita oggi un’impressione analoga.
Tra l’ex ministro e l’ex ambasciatore

Sento in quel che dicono l’ex ministro e l’ex ambasciatore le cose che mi aspetterei legittimamente di sentire dai politici ai quali mi ritengo più affine. Sergio Romano ha detto, nell’ordine: che gli Stati Uniti, ai quali sempre ci si chiede di pensare come ai garanti della nostra libertà, sono oggi i massimi esportatori di crisi in tutto il mondo, a cominciare dall’Afghanistan; che la cosiddetta guerra al terrorismo nata dall’11 settembre, per stanare gli autori del massacro, avrebbe richiesto una azione di polizia invece che la disastrosa guerra in Iraq. E poi: che la Nato così com’è non ci serve assolutamente a nulla, adesso che è caduto il comunismo sovietico; e che anzi, in questa situazione, la progressiva adesione di Paesi dell’ex blocco comunista all’alleanza è una inutile e pericolosa provocazione verso la Russia di Putin. Che più? Su Israele - punto dolente se si ricorda che Sergio Romano si è (anche lui!) preso dell’antisemita per la Lettera a un amico ebreo, un libro pubblicato qualche anno fa - la sua idea è che porre come condizione per trattare con Hamas il riconoscimento preventivo dello Stato di Israele è come rifiutare ogni trattativa, giacché proprio questo riconoscimento sarebbe l’oggetto su cui negoziare.
Quanto a Giulio Tremonti, almeno il suo prendere criticamente le distanze dalla retorica della globalizzazione e del «mercatismo» ci sembra una ventata di aria fresca rispetto alle «lenzuolate» di liberalizzazioni alla Bersani, che fino a prova contraria hanno solo agevolato una sempre più frenetica corsa alle fusioni bancarie e di altro genere senza produrre nessun vantaggio per i consumatori-elettori.
Infine: della necessità di ripensare, e forse abolire, la Nato ricordavamo che avesse parlato, secoli fa, Bertinotti, prima di inghiottire presidenzialmente anche il rospo della seconda base degli Stati Uniti a Vicenza. Ma è una memoria ormai definitivamente sbiadita.

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