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La Stampa Rassegna Stampa
04.09.2007 Israele, predatrice d'acqua
un ennesimo falso stereotipo

Testata: La Stampa
Data: 04 settembre 2007
Pagina: 1
Autore: Mario Tozzi
Titolo: «Acqua, il petrolio del futuro»
La STAMPA del 3 settembre 2007 pubblica in prima pagina l'articolo di Mario Tozzi "Acqua, il petrolio del futuro".
Lo pubblichiamo, inserendo nel testo, in grassetto, i nostri commenti 


Le parole di Benedetto XVI a proposito dell'acqua sono sacrosante, ma forse arrivano in ritardo rispetto alla piega che ha preso la questione idrica nel mondo. Un ritardo di almeno trent'anni, se vogliamo stare ai tempi moderni, di qualche secolo se vogliamo tornare più indietro nella storia degli uomini che hanno sempre combattuto a colpi bassi per l'oro blu. Forse il primo atto delle guerre moderne per l'acqua può essere fatto risalire al 1964, quando Israele edificò la diga che dirottava le acque del Giordano dal loro destino naturale nel Mare di Galilea e poi nel Mar Morto. Il National Water Carrer è un'epica opera di ingegneria che trasporta mezzo miliardo di metri cubi all'anno nel Paese, dopo aver superato un dislivello di quasi 400 metri attraverso un sistema di condutture di grande diametro. Né la Siria, né la Giordania approvarono il progetto, che in qualche modo li interessava, visto che sono attraversate dal Giordano.
 
Falso. Negli anni della costruzione dell'acquedotto (che non mirava a stornare acqua ai Paesi rivieraschi) gli Stati arabi incominciarono a pensare a possibili soluzioni per privare Israele delle acque dell'alto corso del Giordano. Un attacco esclusivamente militare venne sostenuto dai siriani, mentre prevalse la posizione della Lega Araba che prevedeva di deviare l'Hashbani all'interno del Libano, incanalandone le acque in eccesso verso il Banias in Siria, nonché di deviare le acque del Banias verso lo Yarmuk a vantaggio della Giordania.
Alla conferenza di Alessandria dei capi di Stato e dei sovrani arabi del gennaio 1964, oltre a ribadire l'intenzione di realizzare il progetto di deviazione degli affluenti dell'alto Giordano, venne decisa la costituzione di un comando militare arabo sotto la guida dell'Egitto, per difendere i siti e le opere di deviazione da un'eventuale aggressione israeliana. La reazione d'Israele al summit di Alessandria fu quella di annunciare che il Paese avrebbe resistito alle violazioni dei propri diritti da parte degli Stati arabi e infatti, dopo circa sei settimane dall'inizio dei lavori del progetto arabo di deviazione, si verificò il primo scontro militare israelo-siriano. L'incidente dette il via a una serie di risposte militari che, a seguito di tentativi di sabotaggio dell'Acquedotto Nazionale Israeliano e della distruzione di una stazione israeliana di pompaggio, portarono – tra le altre cause - alla guerra dei Sei Giorni: gli impianti idrici divennero dunque bersagli militari.
 
Alla fine della successiva guerra dei Sei Giorni, Israele controllava quasi per intero il bacino del Giordano, prima del 1964 solo il 10%.

Dal loro canto Siria e Giordania hanno in mente di costruire la grande diga «Unità», che sbarrerà lo Yarmuk (in pratica uno dei due bracci del Giordano stesso) e consacrerà la sua prima vittima; la seconda sarà il Mar Morto, che così sarà conseguente definitivamente con il suo nome. E non si può sottacere che, tra i motivi del fallimento del tentativo di pace in Medio Oriente di Bill Clinton (nel 2000), ci fu proprio il mancato accordo sulle sorgenti del Giordano.
 
Informazioni imprecise e a tratti fuorvianti.

Al termine della guerra dei Sei Giorni, sul fronte degli sconfitti, la Giordania fu il Paese rivierasco che subì le conseguenze più gravi per via della perdita dei territori cisgiordani occupati nel corso della guerra del 1948. Data questa realtà, l'obiettivo principale del  regno hashemita fu limitato ad assicurare una giusta allocazione delle acque del bacino del Giordano-Yarmuk sul piano tecnico. E in effetti la disputa rivierasca entrò in quella che possiamo definire una fase tecnica di gestione idrica, caratterizzata dalla necessità di massimizzare l'accesso alle risorse idriche sempre più scarse. Il risultato fu una sorta di pax in bello con Israele: l'interesse nazionale consisteva nel non cooperare formalmente, ma raggiungere comunque accordi limitati alla sfera tecnica in settori in cui ciò era considerato indispensabile.

            Tuttavia proprio la tendenza giordana al riconoscimento del diritto all'esistenza dello Stato d'Israele, dopo la guerra del Kippur dell'ottobre 1973, portò ad avviare alcuni accomodamenti di controversie legate all'acqua: da quel momento infatti la Giordania incominciò a cooperare su questioni tecniche di interesse comune senza, tra l'altro, venire additata come traditrice della causa araba.

            Il principio della condivisione ha sostenuto dunque, per circa quattro lustri, gli operati israelo-giordani in materia idrica sino alla sottoscrizione, il 26 luglio 1994, del vero e proprio trattato di pace tra i due Stati, con il quale Israele e Giordania hanno deciso la riallocazione delle acque dei fiumi Yarmuk e Giordano.

            Le disposizioni inerenti alle questioni idriche sono contenute nel “Preambolo” e negli “Allegati sull'acqua e sull'ambiente” (allegati II e IV). Nel “Preambolo”, proprio a voler indicare la priorità che le parti attribuivano al problema, gli articoli relativi all'acqua seguono immediatamente quelli riguardanti i confini internazionali e la sicurezza. L'art. V, ad esempio, afferma: “Nell'ottica del raggiungimento di una sistemazione globale e duratura di tutti i problemi idrici ... le parti decidono di riconoscere mutualmente le giuste allocazioni di entrambi per l'acqua del fiume Giordano, del fiume Yarmuk e delle risorse idriche sotterranee dell'Aravà” (Israel-Jordan, Treaty of Peace, International Legal Material, I, 1995, p. 48). Nel comma II dell'art. VI entrambe le parti riconoscono che “l'acqua potrebbe essere motivo di cooperazione” e, contestualmente, si impegnano a “non recare danno in alcun modo alle risorse idriche dell'altra parte attraverso i propri progetti di sviluppo idrico”. Questa cooperazione, ovviamente, riguardando tutti gli aspetti dello sfruttamento e dello sviluppo idrico, con esplicito riferimento al trasferimento di acque transfrontaliere, implica altresì l'impegno alla prevenzione dell'inquinamento, alla minimizzazione degli sprechi, come anche allo svolgimento di ricerche comuni e allo scambio di informazioni.

            Mentre la maggior parte delle disposizioni del trattato sono di carattere generale, è l'Allegato II a contenere le vere e proprie indicazioni per la suddivisione delle risorse idriche sopra citate. Dall'art. I al IV dell'Allegato troviamo infatti le indicazioni per la distribuzione delle acque dello Yarmuk e del Giordano, le possibilità di immagazzinamento e deviazione, la protezione della qualità delle acque di superficie nella valle dell'Aravà. In ultimo, l'art. VII prevede l'istituzione di un Comitato comune per l'acqua al fine di provvedere alle disposizioni dell'Allegato.

            Il trattato bilaterale ha così fruttato alla Giordania un accrescimento idrico di circa il 7% nell'immediato, che potrà raggiungere il 15-20% a più lungo termine, aprendo nuove possibilità di cooperazione israelo-giordana. Infatti il trattato stesso contiene ulteriori disposizioni dirette a creare una sorta di interdipendenza funzionale tra le parti e, di conseguenza, induce al rispetto del principio di cooperazione. Gli scambi d'acqua interstagionali, l'immagazzinamento nel lago di Tiberiade di una parte delle acque dello Yarmuk spettanti alla Giordania, durante la stagione invernale, e i progetti comuni per la costruzione di dighe lungo il confine sono soltanto alcuni tra i risultati ottenuti in margine al trattato di pace stesso. Il 10 novembre 1997, ad esempio, è stato raggiunto un ulteriore accordo tra i due Paesi, il Jordan Plan Development, che prevede tra l'altro anche la costruzione di comuni impianti di desalinizzazione.

            Ancora un significativo esempio di cooperazione israelo-giordana ci viene offerto dal progetto per la creazione di un canale Mar Rosso-Mar Morto. Lo yam hammelach, il mare del sale, sta effettivamente morendo, a causa dell'intenso utilizzo a monte delle acque del Giordano: un canale che lo connetta al Mar Rosso può incrementare il livello delle sue acque e, in un certo senso, ridargli la vita. Il livello della superficie del Mar Morto (il punto più basso delle terre emerse) è sceso da 395 metri a più di 410 metri sotto il livello del mare. La realizzazione di questo progetto  permetterà di immettere nel Mar Morto 1,8 miliardi di metri cubi d'acqua all'anno dal Golfo di Aqaba/Eilat. La costruzione del canale, che correrà da sud verso nord per 180 km attraverso condotte e tunnel prevalentemente in territorio giordano, ma a ridosso del confine fra i due Paesi, avrà un costo iniziale di un miliardo di dollari, coperto dalla Banca Mondiale. Altri 3-4 miliardi saranno necessari per costruire impianti di desalinizzazione in grado di produrre 850 mmc d'acqua dolce all'anno. Due terzi di quest'acqua serviranno la Giordania , il rimanente verrà suddiviso tra  Israele e territori palestinesi.

            Pur tuttavia non è corretto ritenere che il semplice trasferimento di acqua da un Paese arido e semiarido (Israele) ad altri nella medesima situazione (Giordania) possa di per sé incrementare le risorse: al contrario. Un rapporto dell'UE prevede che verso il 2020 le risorse idriche di Israele saranno dimezzate e in Giordania ridotte di 2/3. È quindi comprensibile come gli accordi sull'acqua, privi di progettazioni innovative, possano essere criticati: da un lato non risolvono il problema arabo, d'altro lato vi è la sensazione che una conclusione  per così dire "equa" del processo di pace tra tutti i Paesi rivieraschi finirebbe inevitabilmente col danneggiare le già ridotte riserve idriche d'Israele. Ecco perchè, per non fare che un esempio, la decisione libanese di deviare le acque del fiume Wazzani, arrivando a sottrarre da 3,5 mmc fino a 11 mmc d'acqua all'anno al lago di Tiberiade, minaccia seriamente la stabilità al confine israelo-libanese. Si tratta infatti di un'azione che può creare un precedente per futuri tentativi di bloccare le risorse idriche israeliane, soprattutto dopo che Israele - ottemperando alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - ha ritirato le proprie forze dal Libano meridionale.  "Abbiamo proposto al primo ministro libanese Rafik Hariri un progetto di sviluppo che riguarda tutti gli aspetti socio-economici del Libano meridionale, compreso l'uso razionale delle acque nel lungo periodo - ha speigato Patrick Renauld, rappresentante della UE a Beirut - Infatti, quand'anche Israele finisse per tollerare la sottrazione fino a 11 milioni di metri cubi d'acqua all'anno prevista con questa stazione di pompaggio sul Wazzani, se non si interviene in modo razionale prima o poi il problema è destinato a ripresentarsi negli stessi termini" (Jerusalem Post,15-10-02, p.2).

 
Martin Sherman sostiene che non solo la doccia tutti i giorni, ma anche piscine e giardini pubblici ben curati (in pieno deserto) fanno parte di uno stile di vita cui una società moderna non può rinunciare. Il 75% dell'acqua israeliana, però, serve a irrigare le pianure di Haifa per il mercato agricolo internazionale: ma solo il 2% del Pil viene generato da quelle esportazioni. Come a dire che se Israele non producesse più nemmeno un’arancia il benessere interno sarebbe garantito comunque e ci sarebbe molta più acqua per la terza vittima di questo conflitto, i palestinesi.
Contro questa guerra - contro questo tipo di guerre - qualcosa però si potrebbe fare: sviluppare il riciclaggio delle acque di scolo per un'irrigazione esclusivamente a sgocciolamento e l'installazione di impianti di desalinizzazione, viste le risorse economiche e tecnologiche a disposizione.
 
Esattamente ciò che fa Israele!!!

Per conservare e proteggere le risorse idriche di Israele, il cui sfruttamento è oggi esteso quasi al limite, sono state prese diverse misure:

 

a)assegnazione di quote d’acqua, le quali possono variare di anno in anno a seconda del bilancio idrico;

b)istituzione di una scala mobile per il prezzo dell’acqua: il consumatore paga cioè un prezzo più alto per il consumo d’acqua che eccede la quantità assegnatagli;

c)utilizzo dell’eccedenza delle precipitazioni invernali: quest’acqua raccolta in laghi  artificiali (120 costruiti nello scorso decennio) è usata per l’irrigazione e, quando è possibile, per il rifornimento delle falde acquifere;

d)riciclaggio di acque di scarico domestiche e industriali sottoposte a trattamento: grazie a questo procedimento di purificazione si può fare due volte uso delle stesse acque. Stimata in 300 MCM annui, l'acqua così trattata funge da ricarica per le falde acquifere. Infatti la filtrazione dell'acqua attraverso gli strati del terreno rappresenta un'ulteriore fase di purificazione dell'acqua stessa e, contemporaneamente, la falda funziona come riserva sotterranea di ricarica, evitando in tal modo le perdite dovute all'evaporazione. L'acqua viene estratta soltanto in caso di necessità e quasi esclusivamente in estate. Circa 100 MCM di quest'acqua purificata vengono trasportati annualmente a scopo irriguo - attraverso il "Terzo Acquedotto del Negev", una conduttura separata – fino al Negev occidentale. Grazie all'alto grado di purificazione, quest'acqua può essere usata per qualsiasi tipo di coltura senza alcun rischio. Tuttavia dal momento che gli scarichi domestici e industriali sono più salmastri dell’acqua dolce fornita (ciò è dovuto ai detergenti e al sale per lavastoviglie, come anche al sale e ai prodotti chimici di cui si fa uso nell’industria) si era riscontrato che la concentrazione di sali nell’acqua riciclata era di circa il doppio rispetto a quelli nell’acqua dolce e che l’irrigazione con acqua riciclata causava una graduale salinizzazione del suolo. Così si è provveduto dapprima a un monitoraggio della concentrazione salina e a un lavaggio dei sali accumulati e poi alla desalinizzazione preventiva delle acque di scarico trattate;

e)desalinizzazione: esistono infatti più di 30 impianti per la desalinizzazione, la maggior parte ad Eilat. I più ampi adoperano l’inversione dell’osmosi per trattare 27.000 metri cubi al giorno di acqua salmastra, soddisfacendo così la metà del fabbisogno idrico di Eilat. Tutta l'acqua salmastra disponibile nella regione di Eilat-Aravà è attualmente dissalata;

f)intensificazione delle piogge grazie all’inseminazione delle nuvole con cristalli di ioduro d’argento: effettuata sopra il bacino del lago Kinneret dal 1976 ha incrementato le piogge annuali nell’area del 15-18%;

g)sfruttamento delle acque salmastre delle falde del Negev e dell’Aravà, per l’irrigazione di colture che tollerano bene l’acqua salmastra.  stato infatti verificato che alcune colture, quali quelle del cotone, dei pomodori o dei meloni presentano una buona tollerabilità all'acqua salina (fino a 7-8 dS/mdi conduttività elettrica, che è equivalente ad una salinità tra lo 0,41 e lo 0,47% di NaCl). Tuttavia per minimizzare l'accumulo di sali intorno alle radici della pianta, e per facilitare la lisciviazione di quelli che si sono in ogni caso accumulati, è essenziale coltivare le piante in terreni di media o leggera consistenza (sabbiosi o ricchi di sabbia) e adoperare sistemi di irrigazione avanzata.

           

            Uno dei principi fondamentali per una buona pratica agricola è quello di fornire alle piante in crescita un adeguato approvvigionamento di acqua: vale a dire evitare, da una parte, un eccessivo stagnamento e prevenire, dall'altra, un'esposizione a carenza. Quantità eccessive possono causare una mancanza di aerazione dell'impianto delle radici, portando di conseguenza a una inibizione dello sviluppo della pianta o ad una rovinosa filtrazione attraverso il suolo al di là del volume dell'impianto delle radici, o ambedue. Una carenza d'acqua mette invece la pianta in una condizione di stress e interferisce sul suo normale sviluppo. Pare dunque ovvio quanto sia importante, soprattutto nelle regioni aride o semiaride, dove l'alto grado di radiazioni solari e il basso livello di umidità amentano l'evaporazione, evitare sforzi causati dalla mancanza d'acqua.

            Un efficace uso dell'acqua dipende da tecnologie irrigue avanzate. Fino a poco più di  mezzo secolo fa, le colture del Paese venivano irrigate in superficie, tuttavia le alte temperature e la bassa umidità - provocando intensa evaporazione e accumulo di sali negli strati superiori del suolo – rendevano il terreno inadatto alla coltivazione. L'irrigazione a pressione tramite spruzzatori diede un grande contributo alla modernizzazione dell'agricoltura, ma la vera svolta si ebbe con l'introduzione, circa 35 anni or sono, dell'irrigazione a goccia. In questo modo l’acqua viene fornita alle piante - anche a grandi alberi - goccia a goccia, con un ritmo lento che può essere regolato in maniera precisa a seconda delle necessità delle varie coltivazioni: l’agricoltore perciò non deve più preoccuparsi di intervenire “in tempo” per prevenire la sofferenza delle piante causata dalla mancanza d’acqua. Inoltre grazie a questo tipo di irrigazione, ad alta frequenza, è possibile ottenere favorevoli condizioni di umidità anche in terreni argillosi o sabbiosi, che mal si adattano ai metodi convenzionali di irrigazione, ed è possibile fornire acqua in modo non uniforme ad un campo con un’elevazione, una pendenza, un’infiltrabilità, una struttura del terreno variabile.

            Attraverso i gocciolatori possono essere forniti fertilizzanti alle piante e possono essere adoperate acque di bassa qualità come le acque saline o quelle di scarico. Anche l’evaporazione viene poi a ridursi poiché soltanto parte del terreno è bagnata. In pratica questo sistema irriguo, bagnando il terreno soltanto in prossimità degli emettitori, evita i rischi di una bruciatura superficiale delle foglie, riduce l’incidenza di malattie da funghi e rende il terreno meno incline all’infestazione da erbacce. E sebbene l'agricoltura sia stata e tuttora sia il settore che più consuma acqua, è innegabile che nel corso degli anni le tecniche irrigue, sempre più avanzate, abbiano permesso un notevole risparmio: basti pensare che mentre nel 1970 l'agricoltura adoperava più dell'80% dell'acqua disponibile, nel 2000 ne ha adoperato meno del 50% e nel 2002 il consumo si è ridotto al 41,4% (Yaacobi Committee Report, 1971; Ministry for National Infrastructures, 2003).

 
 
Quello dell'uso agricolo è il vero problema dell'acqua, visto che, in realtà, le necessità quotidiane di acqua potabile per gli esseri umani ammontano a qualche litro per persona al giorno, ma che produrre generi alimentari necessita fino a 5000 litri. All'ultimo vertice di Johannesburg si è affermata la priorità di portare acqua ad almeno un miliardo e mezzo di persone nei prossimi venti anni. E nella realizzazione degli impianti e delle reti di distribuzione sono già pronte ad impegnarsi le grandi multinazionali sovvenzionate dalla Banca Mondiale, ma come farebbero a perseguire questo obbiettivo se l'acqua fosse davvero finita? La realtà è che chi sull'acqua fa affari sa benissimo dove prenderla, come distribuirla e a quale prezzo, perché l'acqua è ancora presente abbondantemente in tutti i continenti. Il problema è che nel Nord viene anche distribuita, nel Sud poco e male.
Nei prossimi 20 anni la quantità media di acqua pro-capite diminuirà di un terzo rispetto a oggi, contribuendo, fra l'altro, ad aggravare i problemi della fame nel mondo. La sola protezione degli ambienti di acqua dolce (fiumi, laghi, zone umide) sarebbe sufficiente a salvaguardare una risorsa che garantisce una quantità di servizi alla sopravvivenza umana, oltre a placare la sete, coltivare i campi e fabbricare oggetti. Ci piace pensare che le parole di Ratzinger possano essere intese nel senso di un nuovo approccio ecologico alla gestione delle acque, delle sorgenti e dei grandi fiumi che riduca innanzitutto gli sprechi.
Purtroppo le cose non andranno così e le guerre per l'acqua, lungi dal terminare, incrementeranno.
 

Per il futuro è difficile immaginare una soluzione appropriata al problema della ripartizione delle risorse idriche del bacino del Giordano, prescindendo dalla risoluzione delle più ampie questioni politiche che riguardano l'area.

            Lo Stato d'Israele - con la sottoscrizione del trattato di pace con l'Egitto e la restituzione del Sinai, con la cooperazione in materia idrica intrapresa con la Giordania , con il ritiro unilaterale dal Libano e con gli accordi assunti con i palestinesi (e tuttora rispettati nonostante la feroce intifadah palestinese di Al-Aqsa) - ha dimostrato di essere pronto ad effettuare i passi necessari pur di giungere ad una soluzione equa del problema idrico-politico.

            Rimane tuttora in bilico la situazione con la Siria la quale, pur rifiutandosi di riconoscere l'esistenza  d'Israele e, di conseguenza, di firmare con lo Stato ebraico un trattato di pace, pretenderebbe la restituzione delle alture del Golan. Situazione, questa, a nostro parere altamente improbabile dal momento che proprio le alture costituiscono il luogo di confluenza di circa 1/3 delle risorse idriche d'Israele. Restituire le alture, in assenza di un trattato di pace e di cooperazione tra i due Paesi, significherebbe mettere in serio pericolo non soltanto l'esistenza dello Stato d'Israele, ma anche quella del futuro Stato palestinese e della Giordania.

            Tuttavia nonostante la complessità della situazione, le controversie relative all'acqua possono essere gestite con successo per vie diplomatiche. Basti pensare che la storia dei trattati internazionali sulle acque risale al 2.500 a.C., quando le due città-stato sumere di Lagash e Umma conclusero abilmente un accordo che metteva fine a una disputa sull'acqua del fiume Tigri. Secondo la FAO , infatti, a partire dall'805 E.V. sono stati sottoscritti più di 3600 trattati in merito a risorse idriche internazionali (www.onuitalia.it/news/anni/2003/acqua/pressG.html).

            Dove la qualità delle acque diminuisce e la quantità disponibile è, già di per sé, scarsa, può accadere che la necessità di condivisione possa generare, anziché l'esacerbarsi del conflitto, una inaspettata cooperazione, come nel caso di Giordania e Israele. La Siria , rassicurata dalle abbondanti risorse idriche dell'Eufrate e dell'Oronte, difficilmente si trasformerà in un credibile sostenitore della pace.

 
 
La maggior parte dei grandi fiumi è suddivisa nel territorio di nazioni diverse e chi si trova a monte ha in mano il rubinetto di chi sta a valle. La costruzione delle nuove grandi dighe sul Tigri e l'Eufrate (che nascono in Anatolia) farà sparire dalla carta geografica la culla delle civiltà storiche cancellando per sempre la Mesopotamia. E sono anni che il Colorado non termina più la sua corsa in territorio messicano come aveva fatto per millenni, visto che tutta l'acqua è trattenuta dagli Stati Uniti per le proprie esigenze idriche e energetiche. E ci sono anche casi opposti: l'acqua del Nilo è ancora assegnata per trattato internazionale quasi per intero all'Egitto, qualche cosa al Sudan e niente all'Etiopia, dove però si alimenta il 75% dell’acqua del fiume sacro. Considerando che le piogge in territorio egiziano contribuiscono solo per il 3% alla portata del Nilo, e che dunque tutta l'acqua viene dall'estero, cosa accadrebbe se l'Etiopia reclamasse la sua parte?
Ormai sappiamo che c'è un modo migliore di gestire le risorse idriche, alternativo a quello delle grandi infrastrutture, che assecondano i bisogni dei grandi gruppi economici ma non quelli del diritto universale all’acqua per tutti. Dal 1950 al 2000 la disponibilità annuale pro capite di acqua nel mondo è andata decrescendo dai 16.800 metri cubi ai 6.800 mentre la popolazione umana è andata crescendo nello stesso periodo, da quasi 3 miliardi a oltre 6 miliardi. Oggi oltre un miliardo di individui non hanno accesso all'acqua potabile e il 41% della popolazione mondiale (2,3 miliardi di persone) vive attualmente lungo i bacini di fiumi sottoposti ad un vero e proprio stress idrico. E’ vero che l’acqua non è presente in modo omogeneo sul pianeta Terra e di fronte ad aree che ne sono ricchissime - e nelle quali dell’acqua si fa uso e abuso - ne esistono molte altre che ne dispongono in quantità insufficienti, tanto che la continua riutilizzazione per usi diversi della poca acqua a disposizione la rende anche veicolo di infezioni e malattie. Tuttavia ogni essere umano avrebbe teoricamente a disposizione qualche migliaio di litri al giorno, se l’acqua fosse equamente distribuita e non la sprecassimo così tanto. Dalle parole è venuto il momento di passare ai fatti.

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