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La Stampa Rassegna Stampa
07.09.2006 Elena Loewenthal risponde a Gianni Vattimo
per il quale "il danno più grave che ci ha fatto lo sterminio nazista degli ebrei é stato la nascita di Israele"

Testata: La Stampa
Data: 07 settembre 2006
Pagina: 33
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Quell’esistenza su cauzione di Israele e del popolo ebraico»

Dalla STAMPA del 7 agosto 2006 la risposta di Elena Loewenthal all'articolo di Gianni  Vattimo:

GIANNI Vattimo si lascia emozionare dalla Palestina millenaria, ha dichiarato su queste pagine qualche giorno fa. Per contro, il danno più grave fatto dalla Shoah agli ebrei sarebbe, secondo lui, lo Stato d’Israele. Battuta di spirito? Paradosso? Forse. La prima replica, a bruciapelo, è che lo Stato d’Israele esiste perché anche gli ebrei possano avere le loro discoteche sul lungomare di Tel Aviv che, secondo Vattimo, «non sono diverse da quelle di Las Vegas» e pertanto non meritano il viaggio. Magari per lui, turista filosofo. Per il popolo ebraico, lo meritano eccome.
Le parole di Vattimo non meritano invece il disturbo di quei morti prevedibilmente toccati dall’idea di rappresentare un «danno minore» rispetto allo Stato d’Israele che, se solo fosse esistito, avrebbe evitato la loro trasformazione in cenere. Anche soltanto per passeggiare sul lungomare di Tel Aviv e imbucarsi in una delle tante, banalissime discoteche. A moltissimi di quei morti non sarebbe dispiaciuta affatto, questa prospettiva. Ma è inutile cadere nella tentazione «giocosa» di Vattimo. Inutile anche indignarsi. Perché dietro l’apparente guizzo di birichinata, le sue parole hanno un gusto rancido di rimasticato. È il vecchio principio della funzionalità dell’ebreo, che entra nel progetto della Storia solo in quanto portatore di un’anomalia. L’anomalia si chiama diaspora, ma in parole ben più povere consiste in emarginazione, marginalità, esclusione, condanna, persecuzione. Una vita, insomma, fuori da quella normalità cui il resto del mondo appartiene. L’esistenza su cauzione del popolo ebraico ha rappresentato lungo una Storia millenaria il comodo specchio per le identità altrui. La cauzione era la libertà. Era il diritto a ogni elementare normalità. Questa condizione ha contemplato per secoli il disprezzo e l’odio, tramutatosi - quando, appena ieri, è diventato disdicevole odiare gli ebrei - in un pasciuto compiacimento per le loro prodezze intellettuali.
Tutto sta, in fondo, nel ribaltare il principio di causa ed effetto, nel capovolgere un’evidenza con un’altra, non meno ovvia: cioè che la cultura ebraica s’è fatta non grazie, bensì nonostante la Diaspora. Vattimo apprezza molto Amos Oz ma, riflettendoci, si dice sicuro che la sua ricchezza culturale sia frutto esclusivo di questa millenaria (privilegiata?!) condizione. Peccato che non abbia chiesto allo scrittore. Che è israeliano fino al midollo, proprio come la lingua in cui si esprime, i ricordi, le nostalgie e le speranze che evoca. Oz rappresenta la cultura del suo Paese, in essa si identifica. È, per di più, una cultura non esclusiva bensì inclusiva, com’è stata per millenni quella ebraica: il che significa che le discoteche di Tel Aviv non ci impediscono di ragionare. Che il fatto di annoverare fra i correligionari un verduriere non è un ostacolo insormontabile alla riflessione filosofica. È anzi una cosa normale: succede a molte culture, di convivere con verdurieri e discoteche. Ma a quanto pare la cultura israeliana, almeno secondo Vattimo, non può fare a meno del bollino di anormalità Doc. Peggio ancora, la normalità d’Israele azzera ogni possibilità di cultura. Oz e i suoi colleghi scrittori, gli studiosi di letterature comparate, i ricercatori scientifici, i ballerini, gli esperti di high-tech in questo Paese sono dunque dei fantasmi. Come i dj di Tel Aviv e i verdurieri di Gerusalemme. È il prezzo da pagare quando si realizza un sogno: quello di avere persino dei verdurieri e delle discoteche intorno. Anche se con ciò si fa un affronto alle fumose, comode nostalgie di qualcun altro.
elena.loewenthal@
mailbox.lastampa.it

Di seguito, una lettera inviata alla Stampa, sull'articolo di Vattimo:

Il danno più grave che ci ha fatto lo sterminio nazista degli ebrei é stato
la nascita dello Stato di Israele.
L'inaccettabilità di questa frase-citazione-dichiarazione sta non nel
rifiuto di accettare l'esistenza dello Stato di Israele (nessuno ne chiede
l'accettazione a Vattimo, che già si autoconsidera personalmente ricevente
del danno: "ci" ha fatto), ma nel paragone sottostante (sei milioni di morti
sarebbero un danno minore della nascita dello Stato di Israele).
Non stupisce una simile dichiarazione nella penna di chi ha paragonato,
sulle stesse colonne, le case distrutte dalle rappresaglie israeliane ai
martiri delle rappresaglie naziste. Per lui la vita dei nostri martiri é
elevata al valore delle case.
In democrazia vige il diritto di esprimere le proprie idee. Ma é saggio
studiare i problemi a fondo, prima di parlare. Se Vattimo andasse sul posto
a studiare tutti i problemi, anziché scrivere ignobili articoli comodamente
seduto nel suo studio (di Torino o della costa azzurra?), forse scoprirebbe
che più persone, in Israele, hanno avversato la nascita dello Stato. Ma per
quali ragioni? Se le studi, il nostro professore, prima di scrivere in
merito.
E poi, non sa Vattimo che Israele non é nata solo in seguito allo sterminio?
Non ha mai sentito parlare di un certo Herzl e di un congresso di Basilea? E
quando si riunirono a Basilea quegli ebrei non ancora sterminati?
Dicevo che più persone hanno avversato la nascita dello Stato di Israele.
Non é antisemita discuterne, ma allora dobbiamo parimenti discutere della
nascita di tanti Stati che videro la luce dopo il 45. Altrimenti, se solo
gli ebrei non avessero diritto di avere un proprio Stato, si fa
dell'antisemitismo. E non posso non cogliere il sottile legame fra la
volontà di distruggere lo Stato di Israele espressa ieri da Nasser, oggi da
Ahmadinejaad e Nasrallah e Hamas, e una certa linea che si sta formando in
certi personaggi della nostra politica e dei nostri giornali tesa a
sostituire lo Stato di Israele (accanto allo Stato di Palestina - perché
intanto non nasce sulla liberata striscia di Gaza?) con uno stato (di
Palestina) dove gli arabi, ormai maggioranza, potrebbero cacciare (o
sterminare?) gli ebrei.
In democrazia, dicevo, tante idee (ma non tutte!) vengono ammesse. Ma le
idee devono essere supportate da una profonda conoscenza di tutti gli
aspetti del problema; e di tutto si deve avere l'onestà di discutere. E
così, mi chiedo, perché Vattimo non parla mai dell'uso fatto dei bambini,
fin dalla più tenera età, dai capi arabi (non solo palestinesi)? Conosce, il
nostro professore, i programmi di cartoni animati che passano nelle
televisioni arabe? E queste nefandezze, di cui mai parla Vattimo, non sono
legate solo alla guerra contro gli ebrei; basta che il professore vada a
Teheran e vedrà il monumento che il regime ha eretto in onore dei bambini
mandati davanti ai carri armati, nella guerra contro i sunniti di Saddam,
per far saltare le mine e permettere il passaggio dei carri armati. Già,
ancora una volta la vita di persone in confronto al valore delle cose, il
paragone tanto caro a Vattimo.
E perché Vattimo non parla mai degli interessi personali dei capi arabi (non
solo palestinesi) a non voler neppure discutere con quegli intrusi di ebrei
(ma non c'erano da sempre, questi intrusi?)
Quanto poi alle discoteche di Tel Aviv, non sono forse liberi, i giovani
israeliani, di divertirsi come meglio credono? Se il professore andasse sul
posto, vedrebbe che gli israeliani non cercano solo le vituperate
discoteche, ma anche luoghi di meditazione, tracce delle rovine storiche,  e
l'acqua per trasformare in orto e giardino le terre che altri lasciano come
il deserto da lui tanto amato.  Tutte queste cose non ce le dice mai
Vattimo, forse perché vorrebbe ancora vedere, come fa trasparire dal suo
articolo, gli ebrei sull'asinello, come all'epoca di Gesù.
Se poi andasse a Tiberiade, Vattimo crederebbe di essere non già nell'odiata
America, ma nell'italianissima Rimini.
Tanto altro vorrei ancora spiegare al professor Vattimo dopo averlo letto,
ma poi mi viene in mente che lui fa il tifo per certi dittatori,
rigorosamente di sinistra, e allora mi ricordo che con lui non si deve
parlare di democrazia. Gli va benissimo un mondo globale, in cui tutti la
pensano nello stesso modo, Non ci sarebbero dissidenti, in quel mondo,
almeno per ora utopico.
Manuel  Segre Amar

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