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La Stampa Rassegna Stampa
19.12.2005 Per qualcuno l'esistenza di Israele resta illegittima
per esempio per il gesuita egiziano Samir Kalil Samir

Testata: La Stampa
Data: 19 dicembre 2005
Pagina: 25
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Allah, Dio e Javè davanti a una tartina»
LA STAMPA di sabato 17 dicembre 2005 pubblica a pagina 25 un articolo di Francesca Paci che riporta una conversazione tra David Kimche, consigliere del leader laburista israeliano Amir Peretz, il ministro algerino dell'istruzione Mustapha Cherif e il gesuita egiziano Samir Khalil Samir.
L'impressione che se ne ricava è in generale piuttosto deprimente. Mentre Cherif nega, inizialmente, l'esistenza di un antisemitismo islamico, raccogliendo l'assenso piuttosto ingenuo di Kimche, ma finisce per riproporre i motivi della propaganda araba (e Kimche, a questo punto, ritratta le sue precedenti affermazioni), Khalil Samir sembra intenzionato a sottolineare la condizione di umiliazione che nell'islam accomuna ebrei e cristiani, ma anche a ribadire vecchie parole di delegittimazione di Israele, la cui fondazione, dichiara, sarebbe stata "una profonda ingiustizia".

Una delegittimazione del diritto all'esistenza dello Stato degli Ebrei, che certo non può contribuire alla pace.

Ecco il testo:

Le tartine al salmone e il cocktail di frutta mediterranea mettono d’accordo un barbuto ex ministro della Pubblica Istruzione algerino, il braccio destro del nuovo leader laburista israeliano Amir Perez e un affabile gesuita egiziano teologo all’università di Beirut. Mustapha Cherif, David Kimche e padre Samir Khalil Samir prendono cordiali l’aperitivo su una terrazza affacciata sull’Alhambra, l'antico quartiere arabo di Granada. In sottofondo gli echi del convegno organizzato dal World Political Forum, il canto del muezzin, i rintocchi del campanile gotico della cattedrale. Si parla dell’antigiudaismo delle nuove generazioni di arabi musulmani, discriminazione inaccettabile. Le tre grandi religioni monoteiste, per una volta, sembrano unirsi. Mon amì juif, my friend muslim, cari amici ebrei, musulmani, cristiani. Poi, man mano che i camerieri versano nei bicchieri il brillante vino Manzanilla, succo d’arancia o acqua semplice, «bevo un sorso di rosso solo durante l’eucarestia», le differenze culturali riappaiono con il loro acido retrogusto. Neppure nel terzo millennio i ministri di Allah, Javè e Dio trovano ancora una lingua comune.
«L’amico Kimche converrà che, come scrive anche l’orientalista Bernard Lewis, le società storicamente più tolleranti verso gli ebrei sono state quelle musulmane», inizia Cherif ammiccando complice all’israeliano. La Shoah non macchia certo la coscienza araba. Certo, l’ex ministro algerino ammette che sui muri delle banlieu parigine qualche mano araba possa aver vergato un poco amichevole «sale juif», sporco ebreo, ma «la ragione è politica: i nostri ragazzi partecipano dell’ingiustizia subita dai palestinesi, la rivedono ogni giorno in tivù. Questo crea problemi, ovvio. Ma ne usciremo solo trovando una soluzione che metta fine alla violenza di occupante e occupato».
David Kimche annuisce. Il cameriere fa per servigli la zuppa di verdure ma lui si schermisce: prego, prima l’amico algerino. «Sono d’accordo - afferma -. In passato i cristiani ci sono stati molto più ostili dei musulmani. Oggi c’è più tensione è vero, e la Terra Santa è un catalizzatore di rimostranze. Per questo con Perez lavoriamo al riconoscimento di due stati, Israele deve lasciare i territori occupati. Poi combatteremo il razzismo tutti insieme: gli antisemiti sono anche antislamici ed è un peccato che una esigua minoranza di musulmani immigrati in Europa si dichiari contro gli ebrei senza capire che siamo nella stessa barca». Bene, ben detto: Mustapha Cherif alza il calice colmo di succo d’arancia in onore della pace. Shalom. Salam.
Con un tintinnio, dall’altro lato della tavola, padre Samir chiede la parola, battendo la forchetta sul bicchiere: «Mi dichiaro d’accordo, il Corano riconosce cristiani ed ebrei, la gente del Libro. Li protegge, ma li considera dimmi, cittadini di serie B relegati ad un ruolo di secondo piano rispetto agli ummi, i figli della umma, la grande famiglia musulmana». David Kimche ascolta attento, l’altro commensale aggrotta le sopracciglia, e comincia a sfilarsi la giacca nera.
Padre Samir prosegue senza fretta, è abituato ad attraversare l’Europa in lungo e largo, ai piedi calzini di spugna bianchi e sandali francescani, spiegando agli studenti la comparazione tra teologia cristiana e dottrina islamica: «La tolleranza dei musulmani deriva da un’antica tradizione orientale precedente all’avvento dell’islam. Anzi, come è noto, Maometto sterminò le tre tribù ebraiche di Medina». Mohammed, corregge l’amico algerino. Padre Samir accoglie l’obiezione compiacente, ma aggiunge: «Alcuni versetti del Corano specificano che gli ebrei, subcittadini come i cristiani, devono essere umiliati».
La tavolata trema. Mustapha Cherif ha allontanato brusco il piatto dopo aver portato alla bocca la carne: non è halal, non è macellata secondo il rito islamico. Ad essere indigesto però, non è il pasto, sono i ragionamenti: «Il Corano dice che gli ebrei devono essere umili, non umiliati». Umiliati!, insiste con il volto rosso il gesuita che ha conosciuto le moschee del Cairo più del Vaticano.
David Kimche prova a mediare, versa l’acqua in tutti e tre i bicchieri e suggerisce: «Parliamo del presente. In passato avevamo problemi con i cristiani, oggi con i musulmani». Giusto, concorda padre Samir, liquidare l’antisemitismo come un affare cristiano gli pare eccessivo. In fondo, non è un segreto che manuali scolastici diffusi nelle scuole arabe non inseriscano la mappa di Israele nella cartina del mondo, incoraggiando l'ostilità. L’ex ministro algerino si rinfila la giacca, fa per andarsene, non ci sta: «E’ assolutamente falso. Non stampiamo libri di calunnie, ci sarà qualche eccezione rara, fondamentalisti che fanno soffrire anche noi. Gli arabi comunque non avranno alcuna difficoltà ad accettare Israele quando Israele accetterà lo stato palestinese. Comincino, li seguiremo».
«Ce ne andremo appena la violenza dei kamikaze cesserà», replica secco Kimche. Ora tocca a padre Samir far da paciere: chiarisce di considerare la creazione dello stato d’Israele «una profonda ingiustizia» ma ormai c’è e l’unica strada percorribile è rispettare il diritto internazionale. Due popoli e due stati, a partire dalle mappe geografiche sui manuali di scuola in arabo.
Sulla terrazza così calorosa all’aperitivo cala il silenzio. I commensali dei tavoli vicini, che seguivano sorridendo le prime, pacifiche, battute, adesso non sanno dove girarsi, imbarazzati. «Le vittime del razzismo oggi siamo noi, i musulmani», sentenzia Mustapha Cherif. David Kimche si corregge: «Ho sostenuto finora che l’antigiudaismo islamico vada minimizzato, ma se la mettete così vi dico che siamo infestati da cartoni animati in arabo disegnati in pieno stile nazista contro tutti gli ebrei, altro che Israele». I camerieri si fingono impegnati con piatti e vassoi e distolgono lo sguardo. «E i cristiani perseguitati nel mondo arabo?», ammonisce il gesuita, ricordando che in Indonesia ne vengono uccisi ogni giorno e, sotto Natale, le parrocchie saranno protette dalla polizia. Per il dolce non c'è più tempo, s’è fatto molto tardi.
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