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La Stampa Rassegna Stampa
04.05.2005 Un mito rivisitato
toh, Allende antisemita

Testata: La Stampa
Data: 04 maggio 2005
Pagina: 11
Autore: Jacopo Iacoboni
Titolo: «Allende odiava ebrei e rivoluzionari «Sono psicopatici»»
LA STAMPA di martedì 3 maggio 2005 pubblica un articolo di Jacopo Iacoboni su recenti rivelazioni concernenti l'antisemitismo di Salvador Allende.

Ecco l'articolo:

Gli ebrei sono «geneticamente inclini» al delitto, sono predisposti «per natura» ad alcuni crimini, «usura e calunnia», e insomma, «una serie di dati lascia sospettare che la razza influisca sulla tendenza a delinquere».
Chi scrive in questo modo non è Ezra Pound, genio nella poesia dei Cantos eppure delirante in politica, ma Salvador Allende, un uomo che dalla politica è sempre stato considerato una leggenda, specialmente la politica che negli anni Settanta ha coltivato l’utopia dell’internazionalismo e del frontismo, meglio se sull’esempio della rivoluzione cilena annegata nel sangue da Pinochet. Il «Grande Presidente» Allende di quell’utopia rimane un simbolo. Ma i simboli sono anche, spesso, bersagli, e a volte hanno scritto qualcosa di troppo. I nuovi documenti, che scavano nelle affermazioni antisemite del presidente dell’Unidad Popular, sono stati pubblicati da Victor Farias, un professore che è anche un mezzo detective, e sicuramente un uomo amante delle polemiche. I nemici lo accusano: scrivi sempre cose strumentali. Lui replica: «Mia moglie dice che si è sposata con un filosofo ma vive con un investigatore». E il suo nuovo libro in effetti sembra un poliziesco. In «Salvador Allende, Antisemitismo y Eutanasia» (editorial Maye), appena presentato a Santiago del Cile, Farias torna a indagare sulle compromissioni con l’antisemitismo di intellettuali e politici a cavallo tra le due guerre mondiali. Per il suo saggio su «Heidegger e il nazismo» fu accusato, nell’87, di «scandalismo», «volontà di infangare», «superficialità». Allora incassò la notorietà. Con «Los nazis en Chile» sfiorò la figura di Allende. Stavolta è andato deliberatamente a toccarla.
S’è messo a caccia di documenti sconosciuti. Ha detto che erano stati «occultati». Due in particolare: la memoria con la quale Allende si addottorò in medicina nel 1933, intitolata «Igiene mentale e delinquenza», e il testo di un progetto di legge presentato quand’era ministro della Salute nel governo frontista di Pedro Aguirre Cerda, nel quale Allende invitava a sterilizzare i malati di mente e gli alcolisti. A detta di Farias, «il giovane medico si nutriva così decisamente del razzismo scientifico più estremista dell’epoca e delle sue propaggini nell’antisemitismo, da affermare che i supposti difetti degli ebrei non sono attribuibili, come nel caso di tutti gli esseri umani, a condotte e responsabilità individuali, ma a caratteristiche genetiche immodificabili». Farias segnala che il futuro leader dell’Unidad Popular cilena, negli anni Trenta definiva la rivoluzione «un delitto collettivo patologico», e sosteneva che un rivoluzionario è «in realtà un pericoloso psicopatico, e in misura maggiore se i movimenti di massa violenti che genera provocano ferite collettive pericolosamente contagiose». Possibile sia proprio Allende?
Certo l’Allende di Farias non è il Grande Presidente fatto fuori dai fucili di Pinochet. E non è neanche (come sostiene invece l’ultimo inserto weekend del Financial Times) l’uomo «eliminato» col sostegno golpista degli Stati Uniti, la cui politica realista riesce a rovesciare due leader democraticamente eletti, Allende, appunto, e Mohammed Mossadegh in Iran. No, l’Allende di Farias è un giovane talmente immerso nella temperie culturale europea da farsi permeare anche dalla melma antisemita. Da una pagina del Diario, per esempio, Farias ricorda la proposta di sterilizzazioni di massa fatta negli anni in cui Allende era ministro (dal 1939 al ‘41), un trattamento che immagina destinato a diverse categorie, tossicodipendenti, alcolisti, alienati, schizofrenici, epilettici, ma anche «soggetti affetti da bassezza morale costituzionale». Nella memoria dottorale, sempre a proposito delle rivoluzioni, Allende scrive: «Si è osservato che questi fenomeni collettivi hanno un carattere epidemiologico, perché quando dei movimenti rivoluzionari prendono piede in certi paesi, tendono poi a propagarsi con incredibile rapidità nei paesi confinanti, con condizioni socio-politiche analoghe». Di qui il possibile rimedio: la sterilizzazione di massa per i soggetti potenziali portatori di «affezione rivoluzionaria». Poco importa, agli occhi del grande inquisitore Farias, che nella vita di Allende ci saranno in seguito numerose ed evidenti fratture col passato, che oggi sarebbero giudicate più che sufficienti per parlare di «rottura» con le sue idee giovanili.
Com’è arrivato il filosofo-detective a questi documenti, e soprattutto chi lo ha messo sulla strada? Racconta Farias di aver avuto l’idea da Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti: «Stavo scrivendo "I nazisti in Cile" quando Wiesenthal mi chiamò e mi chiese se sapevo chi fosse davvero Salvador Allende. Mi raccontò che quando si avviò il processo al nazista Walter Rauff, un uomo vicino a Adolf Eichmann, considerato l’ideatore delle camere a gas, lui aveva scritto al presidente cileno Allende affinché lo aiutasse a consegnarlo alla giustizia internazionale. Ebbene, mi narrò Wiesenthal, la risposta di Allende era stata una lettera di una freddezza e di una distanza che gli apparve dolorosa e incomprensibile». Quella lettera Wiesenthal l’aveva persa. Farias la ritrovò. La pubblicò assieme ad altre nel suo «I nazisti in Cile». Ne nacque un dibattito veemente con la figlia del presidente cileno, Isabel, appassionata in difesa di Salvador: «Papà non è mai stato nazista, e lei è solo un cacciatore di scandali».
Farias sorrise. Ai quotidiani cileni spiega che non è quello il punto: il punto è capire quale malattia abbia infestato l’Occidente, Europa e America, negli anni Trenta, fino a contagiare anche solo per un pugno di anni un uomo come il Grande Presidente.
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