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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
07.06.2019 'Una merce molto pregiata': il romanzo sulla Shoah di Jean-Claude Grumberg
Brunella Schisa intervista l'autore

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 07 giugno 2019
Pagina: 115
Autore: Brunella Schisa
Titolo: «Grumberg: c'era una volta la Shoah»
Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 07/06/2016, a pag.115, con il titolo "Grumberg: c'era una volta la Shoah", l'intervista di Brunella Schisa a Jean-Claude Grumberg, autore del libro 'Una merce molto pregiata' (Guanda ed.).

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Brunella Schisa

JEAN-CLAUDE Grumberg è un drammaturgo ebreo francese, classe 1939. Suo padre, quando lui aveva quattro anni, fu deportato ad Auschwitz e non è più tornato. Alla soglia degli ottanta, l'autore trova la forza di scrivere una favola. C'erano una volta due poverissimi boscaioli che vivevano in una foresta ai bordi della quale passavano i treni diretti in Polonia. Carri bestiame dove dalle grate qualcuno gettava biglietti che la boscaiola analfabeta raccoglieva e metteva in un cassetto. Un giorno, al passaggio del treno, la donna vede posare un fagotto con dentro una bambina di pochi mesi. A deporlo (chi ricorda il film La scelta di Sophie?) è stato un giovane padre che tra due gemelli ne ha preso uno a caso da sacrificare (o salvare) poiché la moglie non aveva latte sufficiente per entrambi. Una scelta drammatica. La donna accoglierà la bambina come un dono del cielo, e convincerà il marito a tenerla in gran segreto, perché i "senza cuore", così erano chiamati da quelle parti gli ebrei, venivano cercati casa per casa.

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La copertina (Guanda ed.)

Come mai ha scelto la favola per affrontare la Shoah? «"C'era una volta" è una frase magica che apre le porte per raccontare cose terribili e meravigliose. Quando ho cominciato non sapevo di scrivere sulla Shoah. Se l'autore sapesse cosa si appresta a scrivere non scriverebbe più. Lo scrittore scrive per raccontarsi una storia che non conosce».

La storia lei però la conosceva perfettamente. In un treno che dal campo di Drancy portava ad Auschwitz c'erano suo padre e suo nonno. «Sì, sul convoglio 49 che partì il 2 marzo del '43. A me, a mio fratello e a mia madre andò meglio, perché mentre ci apprestavamo a salire sull'autobus per Drancy qualche giorno dopo, il commissario di polizia — evidentemente distrutto dalla fatica di arrestare innocenti ed ammassare sugli autobus bambini, vecchi, infermi — all'ultimo momento ordinò a mia madre di ritornare a casa. E ci siamo salvati».

La sua fiaba dovrebbero leggerla tutti i negazionisti. «Mi sta chiedendo se chi non crede alla sparizione di mio padre, di mio nonno, dei miei zii, delle mie zie, di tutta la famiglia della mia amatissima moglie dovrebbe leggere il libro? Personalmente non me lo auguro. Non l'ho scritto per loro. Semi leggessero i bambini insieme ai genitori, i discendenti delle vittime, gli eredi dei carnefici e i figli dei boscaioli che tesero una mano a quelle persone intrappolate nei treni blindati, sì, mi farebbe davvero un enorme piacere. Ma non lo pretendo».

Fino a quando l'umanità conserverà la memoria di questo crimine? «Non lo so. Non scrivo per il domani, scrivo per passare il tempo e, se capita, per essere letto».

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