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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
17.08.2018 Daniel Libeskind si racconta
Lo intervista Riccardo Staglianò

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 17 agosto 2018
Pagina: 100
Autore: Riccardo Staglianò
Titolo: «Architetti siate ottimisti»

Riprendiamo dal VENERDI' di Repubblica di oggi, 17/08/2018, a pag.100, con il titolo "Architetti siate ottimisti" l'intervista di Riccardo Staglianò a Daniel Libeskind.

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Daniel Libeskind

Che ricordi ha degli anni di formazione a Milano? La sensazione inebriante di sentirsi liberi. Dalle convenzioni, dai paletti che separano teoria e pratica. Imparai in maniera definitiva la libertà di inventarsi. Avevo provato, in passato, a lavorare presso altri architetti, ma non faceva per me. Finalmente avevo trovato la mia strada. Ma ho capito anche che la libertà non è qualcosa che conquisti una volta per tutte,-ma devi combattere ogni volta per mantenerla».


Un interno del Museo ebraico di Berlino, opera di Libeskind

Com'è cambiare vita a 50 anni, in maniera così eclatante? «Posso dire che è stato un raro mix di avventura, fiducia e fortuna. Le competizioni internazionali sono, come mi piace ripetere, più biglietti per l'oblio che per il successo. Ricordo lo sgomento di mia moglie quando mi disse: "Non sono mai stata in uno studio prima". Per tranquillizzarla le risposi: "Neanch'io". La nostra vittoria si spiega solo col fatto che il concorso per il Museo ebraico di Berlina era totalmente anonimo e la giuria non sapeva niente dei precedenti dei candidati. Ricordo però la perplessità dei committenti una volta che la verità emerse: "Signor Libeskind, cosa pensa che la qualifichi per realizzare zare un progetto del genere? Cosa ha realizzato di significativo in passato?'. Gli risposi soltanto che se ci fossimo affidati al passato Berlino non avrebbe avuto alcun futuro. E cominciammo a lavorare».

A proposito dl reinventarsi, lei ha detto dl recente all'Harvard Business Review che «in cinque anni si può imparare a fare praticamente qualsiasi cosa». Ci crede davvero? «Senza dubbio. E non parlo in astratto, ho le prove. È possibile imparare uno strumento, le geometria, le equazioni: qualsiasi cosa, a patto che tu sia davvero motivato. Quando da piccolo mi invitarono a un importante programma musicale della tv polacca (è nato a Lodz da genitori sopravvissuti alla Shoah), non studiavo da più di un lustro. Quindi, riassumendo, se hai 95 anni forse no, ma fino a 90 ce la puoi fare. Non è mai troppo tardi».

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Il Royal Ontario Museum, disegnato da Libeskind

Questa è un'ottima notizia sia per il cronista che per molti lettori. Ora di anni lei ne ha 72, come fa a reggere una settimana tipo tra Amsterdam, Varsavia, Sydney e domani New York? «Non ho alcun trucco da svelare, se non che è il lavoro più bello che potessi immaginare. Tanto più che ho la fortuna sfacciata di viaggiare con mia moglie! Ad Amsterdam ero a controllare il progetto sul museo dell'Olocausto. A Varsavia per ricevere un premio per il grattacielo ilota 44, che sorge di fronte alla comunistissima Casa della cultura. In Australia per una conferenza a cui ha partecipato un migliaio di persone e un progetto che sto seguendo. A New York invece ci vivo».

Lei è nato in Polonia, parla polacco e nell'inaugurare il grattacielo aveva parlato di simbolo della libertà. Notizie recenti da quel Paese non sembrano andare però in quella direzione «Vale lo stesso discorso che facevamo prima. La libertà, personale o collettiva, non è data una volta per tutte. La democrazia va riconquistata giorno per giorno. Molti passi avanti sono stati compiuti dall'era sovietica a oggi. Ma vanno custoditi. L'architettura può fiorire solo in una società aperta. Ne sono profondamente convinto».

Ha anche più volte detto che un architetto è un «ottimista per definizione»: perché? «L'ottimismo è l'unica precondizione necessaria per fare il mio mestiere. Per due ordini di motivi. Dal punto di vista organizzativo a differenza degli scrittori, dei poeti, di chi lavora in solitudine, i progetti architettonici richiedono molte persone e molto tempo. Senza una buona dose di ottimismo rispetto a come evolveranno le cose nell'arco di alcuni anni - facciamo dieci - uno non inizierebbe neanche. E poi, dal punto di vista simbolico, erigere un edificio significa affermare il futuro, renderlo tangibile».

Consigli per giovani architetti? «Fate solo ciò in cui credete. Seguite i vostri sogni. Senza prendere rischi non si va mai molto lontano».

Mantiene relazioni con l'Italia? «Come si può essere un architetto senza avere rapporti con l'Italia? Tutto è iniziato da lì, è la matrice dell' architettura. Se avesse chiesto ad Alvar Asalto o a Le Corbusier le avrebbero dato la stessa risposta citando Bernini, Borromini e un'infinità di altri nomi. È una fonte inesauribile di creatività. Mantengo quindi una serie di collaborazioni. Ho passato del tempo in un magnifico attico che abbiamo costruito a CityLife, a Milano, e sto lavorando ad Alessandria».

Tutti parlano delta rinascita di Milano mentre Roma ha vissuto giorni migliori niente nella Capitale? «Dovrei lavorare al nuovo stadio di Tor di Valle. Ho contribuito al master plan e fatto una proposta per il business center. Ma il cambio di governo non facilita la comprensione di ciò che succederà. Ciò che è certo è che anche Roma merita una rinascita». (Le sue tre torri sono state bocciate ed espunte anche dal suo sito, ndr}.

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