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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
18.09.2015 Eli Broad, l'ebreo americano che regala a Los Angeles un museo d'arte
Commento di Antonella Barina

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 18 settembre 2015
Pagina: 104
Autore: Antonella Barina
Titolo: «Il self made man che regala a Los Angeles un museo»

Riprendiamo dal VENERDI' di Repubblica di oggi, 18/09/2015, a pag. 104-105, con il titolo "Il self made man che regala a Los Angeles un museo", l'analisi di Antonella Barina.

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Antonella Barina

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Eli Broad

LOS ANGELES. E nato durante la Grande Depressione da ebrei lituani immigrati nel Bronx, il padre faceva l'imbianchino, la madre la sarta e lui -esordio tutto in salita- era dislessico («leggo ancora lentamente»). Ma la vita di Eli Broad è una parabola del sogno americano: oggi, a 82 anni, ha un patrimonio che supera i 7 miliardi di dollari, quasi 6 miliardi e mezzo di euro («Sono l'unica persona», si compiace, «ad aver fondato due aziende che figurano entrambe nella lista delle 500 imprese più importanti al mondo»). E dopo essere stato un imprenditore d'assalto, ora è anche un filantropo d'assalto: ha già donato l'equivalente di oltre tre miliardi di euro alla ricerca medica, alla scuola, al mondo dell'arte, imponendo il proprio nome (e le proprie regole) a ciò che finanzia, college, istituti scientifici, fondazioni, premi, musei.

«L'America mi ha dato tutto», spiega algido, senza far trapelare alcuna emozione, nel suo ufficio di vetro e acciaio sulla vetta di un grattacielo di Los Angeles. «Ora sento di doverla ricambiare». Così, dopo aver fatto fortuna come imprenditore edile, smerciando un'infinità di casette da pochi soldi, oggi Eli Broad punta all'immortalità offrendo a Los Angeles un edificio grandioso e ambizioso quanto lui: il museo che ospiterà la sua collezione di duemila e passa opere d'arte. The Broad (ovviamente si chiama così) aprirà al pubblico domenica 20, firmato da uno studio di grido, Dillon Scofidio + Renfro (quello dell'High Line, il nuovo giardino sopraelevato di Manhattan), accanto ad altri edifici griffati, come la Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry e il Moca, il Museo d'arte contemporanea, di Arata Isozaki. Costo: 140 milioni di dollari. Opere esposte: Eli Broad è il più grande collezionista americano di Jeff Koons e Cindy Sherman, ha un set completo di 570 multipli di Beuys, ha acquistato una delle Campbell Soup di Warhol per 12 milioni di dollari e Cubi XXVIII di David Smith per quasi 24. Ma possiede anche Rauschenberg, Jasper Johns, Twombly, Lichtenstein, Basquiat...

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The Broad, a Los Angeles

«Ho iniziato quarant'anni fa comprando un disegno di Van Gogh. Poi un Matisse, un Picasso, un Mirò», ricorda. «Ma ho capito che, per mettere insieme una raccolta davvero imponente, bisogna puntare su artisti viventi, che continuano a produrre mentre tu acquisti. Ormai ci sono troppo pochi impressionisti o cubisti sul mercato». E per lui la quantità è importante. Quando, qualche anno fa, il Los Angeles Magazine lo mise in copertina, intitolò: «Ha più appeal del sindaco, più opere d'arte. Finora ha donato a medicina, scuola e arte ben oltre tre miliardi di euro del Getty, più soldi di Dio. Eli Broad possiede Los Angeles?».

Quel che ha non è certo un segreto. L'originalità del suo nuovo museo sta soprattutto nei depositi a vista: per raggiungere gli spazi espositivi, si passa attraverso i magazzini che conservano le opere d'arte dormienti, in attesa di essere messe in mostra. Come a sottolineare: quel che si vede è solo la punta dell'iceberg. Abito blu, camicia bianca, scarpe lustre e neanche un capello fuori posto: Eli Broad ha ancora il look contegnoso e azzimato che doveva avere da giovane ragioniere di Detroit, dove i genitori si erano trasferiti per aprire un negozio nel dopoguerra, negli anni del boom. «Avrei voluto studiare legge, ma ci volevano troppi anni e avevo fretta di vivere: al college mi mantenevo vendendo sacchetti della spazzatura porta a porta. I conti poi sono sempre stati il mio forte». Ma la contabilità si rivela noiosa e lo stipendio modesto, 67 dollari a settimana. Mentre i suoi clienti, anche quelli meno svegli (parole sue), fanno soldi con l'edilizia. Perché non tentare?

Sposato da poco, chiede un prostito ai suoceri e, in società con un parente, avvia un'impresa edile. Che subito sfonda: solo nel primo weekend vende 14 case nei sobborghi di Detroit. La genialità sta nell'aver eliminato seminterrato e garage, abbattendo i prezzi, In breve la ditta si espande in Arizona, in California, perfino in Francia: diventa una delle più grandi aziende di costruzione americane. A 25-26 anni Broad è già milionario. Pronto a diversificare il suo patrimonio: nel 1971 compra una compagnia d'assicurazioni per 52 milioni di dollari; nel 98 la rivende a 18 miliardi. Sì, i conti sono il suo forte. E lo sa. È un genio del business, ma pretende che le cose siano sempre fatte a modo suo. Non solo nelle sue aziende. A fine Anni 70, guida la cordata che raccoglie 13 milioni di dollari per la nascita del Moca, chiama a dirigerlo il grande Pontus Hultén, fondatore del Centro Pompidou di Parigi, ma presto ci litiga e il direttore se ne va. Tratta per il Moca l'acquisizione della straordinaria raccolta del collezionista italiano Giuseppe Panza di Biumo, ma poi, per mille diverbi, si dimette da presidente del Cda. Nel '91 persuade Frank Gehry a costruirgli una villa, ma dopo due anni non è ancora pronta, così paga il disegno e lo fa eseguire da un altro (oggi Gehry ne ricusa la paternità). Alla fine dei 90 porta avanti la raccolta fondi per un nuovo auditorium a Los Angeles, già commissionato a Gehry e finanziato in gran parte dalla figlia di Walt Disney. Ma presto è di nuovo ai ferri corti con l'architetto, che ritira le dimissioni solo grazie ad abili intermediari.

Certo, Eli Broad è un magnate generoso: finora ha donato alle istituzioni artistiche di Los Angeles 800 milioni di dollari. E, da quando colleziona, ha effettuato 8 mila prestiti a 500 musei di tutto il mondo. Ma i più lo descrivono duro, risoluto, inesorabile. Negli Anni Duemila ha offerto 60 milioni di dollari per un nuovo edificio del Lacma (altro museo d'arte di Los Angeles), firmato da Renzo Piano: era lì che doveva essere originariamente esposta la sua collezione. Ma poi, dopo aver litigato con tutti, si è costruito il suo museo. Dove potrà essere sempre the boss.

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