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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
30.05.2014 Pierbattista Pizzaballa, 'Custode di Terrasanta', distorce la realtà
con omissioni e affermazioni false

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 30 maggio 2014
Pagina: 40
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «Quel condominio sempre rissoso chiamato Gerusalemme»
Riprendiamo dal VENERDI' DI REPUBBLICA, supplemento a REPUBBLICA di oggi, 30/05/2014, a pagg. 40-43, l'intervista di Fabio Scuto a  Pierbattista Pizzaballa "Custode di Terrasanta" dei Frati minori francescani, dal titolo "
Quel condominio sempre rissoso chiamato Gerusalemme"
Le affermazioni e le omissioni di Pizzaballa distorcono la realtà.
Non è vero, contrariamente a quanto sostiene, che ai palestinesi sia impedito spostarsi da Betlemme e Gerusalemme perchè sono palestinesi. Esistono semplicemente dei controlli, che sono necessari a causa del terrorismo.
Inoltre, il silenzio sul fatto che nei territori controllati dall'Anp gli islamici abbiano reso intollerabile la vita dei cristiani non permette di comprendere il fenomeno della diminuzione numerica di questi ultimi. A Betlemme l'Anp, fin dagli accordi di Oslo, ha riservato la carica di sindaco a un cristiano, naturalmente obbediente ai suoi dettami. Al di là di questa decisione evidentemente propagandistica, i cristiani sono stati marginalizzati, discriminati e minacciati.


Fabio Scuto      Pierbattista Pizzaballa   

Ecco l'articolo:


GERUSALEMME. Il New Gate è l'unica delle otto porte della città vecchia che non faceva parte della progettazione originale delle mura nel XVI secolo. Fu aperta nei giorni della colonizzazione dell'impero ottomano per concedere ai pellegrini cristiani l'accesso più rapido ai luoghi sacri all'interno dei bastioni. Non appena la si oltrepassa, sulla destra, si trova subito il Convento francescano di San Salvatore, un dedalo di corridoi, nasconde numerosi uffici e laboratori. È uno dei presidi della Custodia di Terrasanta - istituita nel 1217 - che si occupa di gestire, sarebbe meglio dire difendere, i beni della Chiesa di Roma. Un lavoro immane che viene svolto da nove secoli dai Frati minori, i francescani, in una terra attraversata da armate, da eserciti mandatari prima e indipendentisti poi. Il luogo dove si confrontano le tre grandi religioni monoteiste è perennemente attraversato da tensioni, politiche o religiose. «Qui il rapporto che si ha gli uni con gli altri è un rapporto che non prescinde mai dalla storia di cristiani, ebrei e musulmani che ci piaccia o no, ciascuno si è costruito la sua narrativa storica, molto spesso l'uno contro l'altro, non insieme all'altro o in dialogo con l'altro» spiega Fra' Pierbattista Pizzaballa, il Custode di Terrasanta che porta sulle spalle il lavoro di questo avamposto della cristianità. Fra' Pizzaballa, forse il più giovane Custode finora nominato, è l'avanguardia del dialogo che il Vaticano - da secoli con fortune alterne - sta cercando di intrecciare con l'Islam e l'Ebraismo. Biblista di fama, Fra' Pizzaballa quest'anno è stato invitato al Festival Biblico di Vicenza di giugno a testimoniare l'importanza del dialogo interreligioso. «Qui in Terrasanta il dialogo non è mai astratto, non è il dialogo che si fa ad Assisi, che è importante e che si deve fare, ma che non tocca la vita di nessuno, che dà delle indicazioni importanti e necessarie, ma che coinvolgono in maniera ideale e non concreta e pratica. Qui il dialogo tra le diverse fedi e le diverse religioni passa attraverso questioni che io definisco condominiali: chi fa cosa, di chi è, chi ha diritti, chi non ha diritti, confini, proprietà di spazi. Sono cose molto concrete, molto pratiche, nelle quali poi vengono fuori tutti i pregiudizi, il peso della Storia, le paure. Qui non siamo in Occidente, qui la politica, la fede, la religione, la comunità si mischiano, per cui oltre all'aspetto religioso viene fuori l'aspetto politico: tu sei con quelli, sei con gli altri, la Giordania, i palestinesi, Israele... La complessità è secondo me l'espressione che definisce meglio questa realtà, che non può essere semplificata. Per questo il dialogo qui, oltre ad essere necessario, ha effetti concreti: quando riesci a fare un gesto, lo fai perché c'è un concorso, un consenso della società. Poi resta, diventa parte dello status quo, significa una conquista positiva. Tutto qui diventa molto più complicato, più lento. Spesso l'Occidente ci giudica tutti come una masnada di gente che non sa intendersi». È anche vero che la Terrasanta è un luogo, che in qualche modo, inevitabilmente, porta a schierarsi. Cercare di unire due sponde che faticano anche a riconoscersi o essere terzi non è un ruolo facile. «Non è facile, e forse non è neanche sempre compreso, però insomma ci devi stare. Il cristiano, in quanto tale, non è terza parte, perché il cristiano di Betlemme è palestinese. E la sua parte è la stessa del musulmano. Il cristiano che è in Israele, qui è arabo, palestinese, israeliano. Poi ci sono le istituzioni cristiane, che sono quelle che - al di là della politica - devono custodire l'aspetto religioso, spirituale, che non sempre è esclusivamente religioso e spirituale». È anche forse dato della storia: ogni 200 metri c'è un sito di interesse religioso, un luogo santo; in un piccolo territorio ci sono centinaia di elementi che concorrono. «Qui c'è la concentrazione più alta di luoghi santi di tutte e tre le fedi monoteiste, mentre nel mondo le tensioni, le difficoltà e anche gli aspetti positivi sono diluiti, qui tutto è concentrato». Nel dialogo c'è anche la necessità che l'altra parte sia disponibile ad ascoltare. «C'è una Commissione del dialogo religioso con l'Ebraismo, c'è una Commissione del Gran Rabbinato e una Commissione Pontificia, di cui faccio parte. Si incontrano per discutere di questioni religiose. Poi ci sono le istituzioni israeliane, ci sono le istituzioni della Chiesa di qui, e quelle per il territorio. Con le istituzioni israeliane i rapporti sono diventati più ordinati. Però è altrettanto vero che la maggior parte delle istituzioni israeliane ancora conosce poco o nulla del cristianesimo. Ci sono poi i movimenti religiosi della destra israeliana, che non vuole saperne e vive come se fossimo ancora ai tempi dell'Inquisizione». La comunità cristiana in Terrasanta è minacciata, diminuisce di numero, perché chi può se ne va. «Il fenomeno dell'emigrazione cristiana - per esempio a Betlemme - è motto forte». Perché qui, dove tutto è cominciato, si  ha l'impressione che ci sia più attenzione alla Chiesa di Roma che a Betlemme e alla Terra Santa. «La presenza cristiana è la presenza più debole, molto debole in tutti i sensi: numeri, capacità, incidenza. Non è sempre stato così, ma in questi ultimi anni i numeri sono diminuiti molto e con i numeri anche la qualità. Il conflitto israelo-palestinese sicuramente influisce; la rivoluzione della demografia, i musulmani sono cresciuti a dismisura. Nel passato la presenza cristiana è stata un po' l'intellighenzia di riferimento, nella lotta palestinese ad esempio, ma adesso è totalmente scomparsa. Tutti i movimenti sono ormai di matrice islamica». Si avverte anche una difficoltà che non è solo nella fede, ma nella possibilità nell'esercizio del culto, nella libertà di accesso ai luoghi religiosi. «Un betlemita per venire a Gerusalemme ha bisogno di un permesso. Per noi è sempre un po' difficile parlare di questo,  ché il motivo non è religioso, ma politico. Non può venire non perché è cristiano, ma perché è palestinese. Di fatto, però, la conseguenza è che un cristiano che vuole venire al Santo Sepolcro, o vuole fare la processione della Domenica delle Palme, spesso non può farlo». La Chiesa e la Custodia di Terra Santa, che è il suo braccio operativo, consta di beni di una certa importanza che, sulla carta, sembrerebbero poter fornire un solido aiuto alla presenza dei cristiani. Ma in realtà avere 30 ettari di vigneto qui non è come averli nel sud della Francia, vicino a una abbazia. «Qui è tutto complicata Nel sud della Francia o in Toscana, ci sono posti meravigliosi dove tutto è più semplice. Qui ogni cosa diventa complessa, perché poi devi commercializzare, c'è il trasporto... con l'indotto è motto complicato e a volte si creano decine di barriere. E poi c'è la politica, i checkpoint, i controlli». L'accesso dei braccianti, degli agricoltori... «Far venire a Gerusalemme quelli di Betlemme, che stanno solo a nove chilometri, è difficile: cominciano a lavorare, poi il permesso scade, magari non è stato rinnovato in tempo, bisogna aspettare una settimana. Poi magari c'è uno sciopero... Tutto diventa enormemente e sicuramente complicato. Ma noi, creda, abbiamo la testa dura».

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