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Riportiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA del 01/03/2013, a pag. 10, l'articolo di Ascanio Celestini dal titolo "Lettera da Hebron dove case e giustizia ora sono al buio".
L'articolo è un concentrato di falsità e diffamazione contro Israele. Questa mail la manda Fabio da Tuwani, piccolo villaggio palestinese a sud di Hebron. «Siamo volontari di Operazione Colomba. Qui, su queste colline semidesertiche, tra lucertole sassi e spine i palestinesi vivono di un'economia di sussistenza dove tutto dipende dalle pecore e dalle capre. Qui, come nel resto della Palestina, c'è un'occupazione militare israeliana fortissima, il che significa check-point continui, arresti di massa, incursioni notturne e tutto ciò che si può associare ad un esercito che «amministra» il territorio. Ogni giorno i palestinesi devono affrontare attacchi di coloni e retate dell'esercito. Il motivo ufficiale è: ragioni di sicurezza. Così ogni giorno è come una valzer volgare, con i pastori che si muovono piano piano con le greggi e i coloni che chiamano la polizia (israeliana) che arriva, chiede i documenti ai pastori palestinesi, dice che lanciavano le pietre e così, anche se non è vero, la parola dei coloni conta di più di quella di un pastore palestinese, a maggior ragione se ha 17-18 anni. Nonostante tutte le ingiustizie, qui i palestinesi hanno costituito un Comitato di Resistenza Nonviolenta e, per esempio, vanno a pascolare tutti assieme in terre dove da soli non andrebbero per paura di attacchi. Insomma una critical mass, con le pecore al posto delle biciclette. A Tuwani c'è l'unica scuola elementare di tutta l'area. Dai villaggi di Tuba e Magaer al-Abeed tutti i giorni i bambini vengono fin qui. Con l'inizio della seconda Intifada i coloni hanno iniziato ad attaccare i bambini. II Parlamento israeliano ha stabilito che i palestinesi hanno il diritto di andare a scuola e ha richiesto all'esercito israeliano di scortarli. Tutti i giorni noi ci limitiamo a monitorare questo singolare servizio di scorta e nonostante non sia più una novità, ancora non riusciamo ad abituarci: una ventina di bambini, tra i sei e i dodici anni, che partono alle sei e mezzo di mattina e si incamminano fino agli allevamenti dei polli. Lì si fermano e aspettano finché non arriva la jeep dei soldati israeliani. Detto questo noi ti salutiamo, anche perché la batteria del computer sta per finire e la corrente c'è soltanto di sera». This must be the place è iI nome della campagna per l'abolizione della Firing Zone 918 che permetterà all'esercito di cacciare gli ultimi abitanti di questo villaggio palestinese. È anche il titolo di una canzone che dice «home is where I want to be». Per inviare la propria opinione al Venerdì, cliccare sull'e-mail sottostante segreteria_venerdi@repubblica.it |
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