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Rassegna Stampa
27.11.2009 Il mondo arabo visto da chi lo insegna
Intervista a Mordechai Kedar di Michael Sfaradi

Testata:
Autore: Michael Sfaradi
Titolo: «Sharia connection»

Riportiamo da LIBERAL di oggi, 27/11/2009, a pag. 14, l'intervista di Michael Sfaradi dal titolo " Sharia connection ".

 Mordechai Kedar

Intervista con il Dottor Mordehai Kedar, docente di islamismo nella sezione di lingua araba della facoltà di lingue dell'Università Bar Ilan di Tel Aviv. Le materie che insegna sono: religione islamica, lingua, cultura e letteratura araba. in Israele è considerato uno dei massimi esperti in materia e viene spesso invitato a tenere conferenze e seminari un po' in tutto il mondo. Collabora con il quotidiano Yediot Ahronot di Tel Aviv e molti dei suoi articoli sono tradotti in italiano e pubblicati dal sito www.informazionecorretta.it Lei è stato spesso intervistato, come opinionista, da Al Jazeera, la televisione via satellite più seguita nel mondo arabo. Quale è la sua sensazione che si prova nello spiegare in lingua araba il punto di vista della maggioranza degli israeliani in un modo, come fa lei, che non lascia posto al politicamente corretto?
" Mi creda, è esattamente quello che loro vogliono sentirsi dire, C'è nel mondo arabo una voglia estrema di capire come vanno le cose qui da noi, vogliono sapere come Israele funziona. Per loro è quasi inconcepibile che una nazione come la nostra riesca a sopravvivere in un contesto come quello mediorientale. Uno stato che ha un'informazione libera, con elezioni ogni quattro anni, cambi di governo ordinati e secondo il volere che la maggioranza. Una nazione che rispetta i diritti dei cittadini, delle minoranze e che rispetta l'indipendenza della magistratura; tutto questo in Medioriente è un caso unico che secondo la mentalità diffusa non dovrebbe neanche esistere. Israele è una realtà lontana dal modo arabo di concepire una nazione, eppure questa formula, ai loro agli occhi bizzarra, è vincente e lo fa in tutti i campi. I successi di Israele, in tutti i campi, sono tanti ed anche se lontani fra loro hanno una base comune: nascono dalla libertà e dalla democrazia. Noi, al contrario di quello che accade in altre nazioni arabe come ad esempio la Siria, non usiamo la situazione di tensione internazionale o i problemi di terrorismo per impedire il libero movimento delle merci, delle persone o per annullare tutta quella serie di diritti che caratterizzano una popolazione libera nei confronti del governo che la amministra. Non abbiamo mai toccato le libertà fondamentali neanche nei momenti più difficili della nostra storia. Se poi consideriamo che nei giudizi, sempre negativi nei confronti dello stato di Israele, il mondo fa finta di non vedere una realtà che fa differenza; e cioè che gli arabi israeliani sono, fra tutte le popolazioni arabe del mondo, quelle che hanno il più alto standard di libertà e il più alto tenore di vita. Questo dato di fatto crea un paradosso che vede una situazione, dal punto di vista della politica che i governi arabi adottano nei confronti delle loro popolazioni, inaccettabile. Perché proprio dove non c'è una maggioranza araba gli arabi vivono al TOP, meglio delle altre popolazioni arabe che, purtroppo per loro, hanno la sfortuna di essere dei cittadini di nazioni dove il potere è, ed è sempre stato, regolato dalle leggi coraniche piegate al volere e agli interessi di palazzo, nelle “corti” delle famiglie reali o nelle mani dei dittatori. Coloro che vivono dall'altra parte del confine, anche se non lo danno a vedere, invidiano, e temono allo stesso tempo, questo stato di cose. Il mondo arabo invidia la nostra democrazia, la nostra libertà, il fatto che da noi, al contrario di quello che succede nei territori palestinesi, i campi profughi furono smantellati dopo pochi anni dall'indipendenza e le persone furono aiutate nell'intraprendere atti, mestieri e professioni che hanno portato lo sviluppo della nazione. L'interesse che ha caratterizzato Israele è stato, fin dalla sua fondazione, l'interesse del bene comune. Lo stesso, purtroppo, non si può dire per i palestinesi che in questi anni hanno sperperato i fondi della comunità internazionale in armi e nella ricerca dello scontro armato, anziché usarli per la costruzione di infrastrutture. Il successo israeliano lo si può quantificare considerando diversi ed importantissimi punti di vista come ad esempio nell'accogliere ed inserire nel tessuto sociale della nazione centinaia di migliaia di immigrati provenienti da ogni angolo del mondo, la ricerca in ogni campo: scientifico, artistico e di ogni tipo di tecnologia, dall'informatica alla robotica dove abbiamo numerosissime punte di eccellenza. E, non per ultimo, la rinascita della lingua ebraica. L'ebraico è stato per centinaia di anni una lingua da museo riservata unicamente alle preghiere, con termini arcaici e lontana dall'elasticità che necessita una lingua moderna. Oggi, dopo tanto lavoro, il popolo ebraico nel suo ritorno all'indipendenza è riuscito, e questo è un caso su un unico nella storia dell'umanità, a resuscitare la sua lingua e a farla diventare una lingua moderna al pari dell'inglese, del francese e dello spagnolo. L'ebraico oggi viene usato in ogni aspetto della vita moderna: nella strada, negli uffici, nelle università come nelle fabbriche. Il mondo arabo, purtroppo, anziché prendere i successi della nostra piccola democrazia come esempio per progredire, non è stato, ed è difficilissimo che lo sarà in futuro, in grado di adottare autonomamente la democrazia come sistema di potere. Ha, fin dall'inizio, interpretato il nostro essere ed esistere in maniera completamente errata e, non potendo di fatto essere al passo con i tempi, ci sta, con l’aiuto di molti anche in occidente, demonizzando, facendoci così diventare il nemico da distruggere. "
Dott. Kedar, in base alla sua esperienza, l'esperienza di una persona che conosce così bene la mentalità, la cultura e il modus vivendi arabo le chiedo; si riuscirà mai a trovare una formula di compromesso che possa permettere di riportare la pace nella regione senza mettere in pericolo l'indipendenza sia di Israele che delle altre nazioni?
" Rispondo a questa domanda raccontando un piccolo aneddoto. Un importante diplomatico egiziano è un mio amico con il quale mi incontro saltuariamente. Ci scambiammo le nostre opinioni e spessissimo lui riporta sui giornali in lingua araba ampi stralci delle nostre discussioni. A questo mio amico ho chiesto come mai nonostante i trattati di pace di Camp David, le intese bilaterali fra Egitto ed Israele nei più svariati campi: commerciale, culturale, scientifico e tecnologico, sono rimasti lettera morta e perché, nonostante siano passati tanti anni, non c'è stata una vera normalizzazione. Ci ha pensato un po' e poi mi ha detto: voi israeliani non potete pretendere da noi più di quello che esiste fra una nazione araba e l'altra. Questo perché neanche fra le nazioni arabe esiste un normalizzazione dei rapporti così come la intendiamo noi."
Ad esempio? 
" Crede che fra Arabia Saudita e Siria ci siano buoni rapporti? Libano e Siria? O fra Egitto e Sudan o Egitto e Libia ci siano buoni rapporti? Le assicuro di no. Esiste anche fra le nazioni arabe una sorta di competizione, invidie e odio che covano sotto la cenere di rapporti che sono buoni solo di facciata. In Medioriente la pace non è la stessa che si intende in Europa. Non possiamo pretendere una pace ed una normalizzazione tipo quella europea dove oggi nazioni che si sono combattute per centinaia d'anni convivono a frontiere aperte e collaborano in maniera totale. Questo, in Medioriente, non accadrà mai. La pace, così come viene intesa nel mondo arabo, è un grosso cessate il fuoco che tiene fino alla prossima guerra. La pace definitiva così come viene intesa in Occidente da queste parti è meno reale di un miraggio. Bisogna capire che questa condizione è legata ad una mentalità radicata da centinaia di anni, è un modo di modo di intendere le cose che è impossibile, almeno allo stato attuale, modificare. Questo è un particolare importantissimo che in Occidente viene quasi sempre dimenticato. Quando si parla con il mondo arabo bisogna sempre tenere presente che le parole il più delle volte hanno dei significati diversi, e quando si pensa di aver raggiunto un obiettivo o un accordo secondo i canoni occidentali, spesso, dal punto di vista della controparte araba, si è ancora nel bel mezzo della trattativa. Come due giocatori che, davanti ad una scacchiera giocano uno a dama e l’altro a scacchi, alla fine non ci si intende, non ci sarà un vincitore alla fine del gioco e, inevitabilmente, si finirà per litigare. E le liti, da queste parti, non sono caratterizzate da insulti e male parole, qui quando si litiga lo si fa con le armi in mano. "
 Si parla spesso di un trattato di pace che preveda una divisione di Gerusalemme, la città divisa e capitale di due Stati; crede che una cosa del genere possa davvero accadere? 
" Per parlare di questo bisogna innanzitutto capire qual è il punto di scontro relativo a Gerusalemme. Lo scontro non è territoriale, ma teologico. Gerusalemme è considerata sacra dall'Islam, ma questa sacralità non ha fondamento teologico, si tratta di un sacralità di tipo politico. La storia, e ci sono i documenti che confermano quello che sto per dire, ci racconta che nel 682 D.C., 50 anni dopo la morte di Maometto, ci fu una sollevazione alla Mecca da parte di persone che arrivavano da Damasco. Una volta sedata la rivolta fu vietato l'ingresso ai luoghi sacri a tutti coloro che arrivavano da questa regione. Trovandosi in questa situazione a Damasco si pensò di reinventare un nuovo luogo sacro e la scelta, visto che si trattava di un luogo religiosamente importante sia per gli ebrei che per i cristiani cadde proprio su Gerusalemme. Questo, dal punto di vista islamico, ha un senso compiuto anche considerando il fatto che l'Islam, la più giovane delle religioni monoteistiche ha, come ragione d'essere, la cancellazione e la sostituzione dell’ebraismo e del cristianesimo e non la convivenza con esse. Inutile girarci intorno, l’Islam vede se stesso come la vera religione, mentre l'ebraismo ed il cristianesimo, sempre secondo il punto di vista islamico, sono delle religioni passate cioè da integrare all'interno dell'unica fede islamica e questo, badi bene, non è una cosa del passato, non è scritta sui libri di storia, questo è un dettato coranico valido ancora oggi. La divisione di Gerusalemme, ammesso che questo avverrà mai, non è la fine di una querelle, ma il nuovo punto di inizio fino alla riconquista totale della città. Questo, Israele non lo permetterà mai. L’occidente, tra l’altro, non ha ancora capito, o fa finta di non capire, che questo è il motivo per cui le uniche popolazioni che non si integrano nel modello di vita occidentale sono proprio quelle arabe. Non sono le popolazioni algerine che si trasferiscono in Francia, ma l’Algeria, come non sono le popolazioni libiche o tunisine che arrivano in Italia, ma la Tunisia e la Libia. Si vuole il cambio del modo di vita occidentale, non l’integrazione all’occidente. L’abolizione dei simboli cristiani, in Italia il crocefisso dalle scuole o dai luoghi pubblici, è solo uno dei primi passi, poi le richieste di islamizzazione saranno sempre più penetranti nel tessuto sociale europeo, come ad esempio quello che sta succedendo in Inghilterra dove si vorrebbe adottare la Sharia in zone ad alta densità islamica. Questo, se fosse concesso, porterebbe alla perdita di sovranità su ampie parti di territorio e considerando che le nascite nel mondo islamico sono più del doppio di quelle che ci sono nelle popolazioni occidentali, gli equilibri demografici porteranno, e neanche tanto lentamente, ad una islamizzazione dell’occidente ed ad una conseguente integrazione al contrario. Saranno gli europei a dover cambiare il loro modo di vita e lo dovranno fare in casa loro."
Quello che lei dice è estremamente inquietante, pensa che tutto il mondo arabo, senza eccezioni, abbia questo obbiettivo finale?
" Questo che ho descritto è il dettame coranico e sono in molti, la maggioranza, quelli che lo seguono. Dall'altro canto io vedo, all'interno del mondo islamico, enormi tensioni; faccio un esempio: c'è chi mette in dubbio la legittimità del fatto che siano i sauditi i custodi della Mecca. Non sono pochi quelli che si chiedono perché mai proprio e sauditi, che sono beduini, debbano avere potere sui luoghi più sacri della religione islamica. Oppure non possiamo non dimenticare le enormi tensioni che esistono sciiti e sunniti, o le guerre intestine come, ad esempio, quella portata avanti dalla Turchia nei confronti dei curdi, i massacri perpetrati nel Darfur, o i continui bombardamenti dell'aviazione saudita fa all'interno dei territori Yemeniti. Queste divisioni interne hanno fino ad ora rallentato l’islamizzazione dell’occidente in tutte le sue forme.".

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