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Il Manifesto Rassegna Stampa
04.10.2019 Faide e morti tra bande arabe nel nord di Israele: per Michele Giorgio è colpa dello Stato ebraico
Qualsiasi pretesto è buono, sul Manifesto, per accusare il governo di Gerusalemme

Testata: Il Manifesto
Data: 04 ottobre 2019
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Armi facili, è strage tra gli arabo-israeliani»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 04/10/2019, a pag.9, con il titolo "Armi facili, è strage tra gli arabo-israeliani" la cronaca di Michele Giorgio.

Michele Giorgio scrive oggi a proposito delle violenze diffuse all'interno della comunità araba israeliana. Si tratta di episodi di delinquenza comune, spesso legati alla malavita, che costituiscono un grande problema in alcune città e quartieri. Ci si potrebbe fermare qui, invece Giorgio approfitta dell'occasione per accusare il governo israeliano di non fare niente per frenare queste violenze. Il suo pezzo diventa quindi il solito atto di accusa contro Israele che demonizza lo Stato ebraico.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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Majd al Krum, in Galilea

«Nel 2017 i morti sono stati 72, nel 2018 75, quest'anno siamo già a 70, di cui 16 tra settembre e i primi tre giorni di ottobre. I morti 1.380 dal 2000». Ha la voce rotta dall'emozione la portavoce di Aman, il centro arabo perla lotta alla violenza, mentre ci riferisce questi numeri drammatici. Non sono le stragi di una guerra. Sono le cifre di un'ondata di violenza che da anni attraversa la minoranza palestinese, un quinto della popolazione di Israele. Le ultime vittime sono i fratelli Ahmad e Khalil Manna, di 30 e 23 anni, uccisi a fucilate a Majd al Krum, in Galilea. Un loro parente, gravemente ferito nella sparatoria, è spirato ieri. Qualche giorno fa i palestinesi d'Israele, gli arabo israeliani, avevano commemorato le 13 vittime degli spari della polizia alle manifestazioni in Galilea, ai primi di ottobre del 2000, in sostegno della seconda Intifada nei Territori occupati. Invece mercoledì a migliaia hanno sepolto i fratelli Manna morti nell'ennesima faida tra famiglie. E ieri in massa hanno percorso le strade di Majd al Krum durante lo sciopero generale che ha fermato scuole, uffici pubblici, negozi e quasi ogni attività nei centri abitati arabi.

A MAJD AL KRUM c'erano anche i 13 deputati della Lista araba unita. Hanno boicottato l'inaugurazione della nuova Knesset, il parlamento, in segno di protesta per il disinteresse che il governo e le forze di polizia mostrano nei confronti della criminalità, del traffico di armi e droghe pesanti nei centri abitati palestinesi. Il ministro per la sicurezza interna, Gilad Erdan, ha promesso l'adozione di «provvedimenti eccezionali». Ma i palestinesi non credono che il ministro, e stretto collaboratore del premier Netanyahu, punti con serietà a neutralizzare i clan malavitosi e le loro risorse finanziarie, e più di tutto a trovare e confiscare con operazioni di polizia a tappeto le migliaia di armi illegali che abbondano nelle cittadine e nei villaggi arabi. E non si tratta solo di pistole. Sono anche armi automatiche d'ultima generazione, mitragliatori pesanti, fucili a pompa, M-16, granate. Tipologie che suggeriscono una provenienza singolare: traffici illegali dalle basi delle forze armate israeliane stesse - vista la quasi impossibilità che quelle armi, in così quantità e qualità, arrivino tra gli arabo-israeliani da Gaza, dagli altri Territori palestinesi e dall'estero. Un video che gira in rete mostra un uomo con il volto coperto che, dal tetto di una casa, nel villaggio beduino di Tuba Zangariya, imbraccia un mitra pesante e spara in aria decine di raffiche.

COME QUESTO ARSENALE sia potuto finire in mano ai trafficanti e poi nei centri abitati arabi è a dir poco incomprensibile in Israele dove i servizi di sicurezza conoscono tutto, oltre a vita, morte e miracoli dei cittadini palestinesi. La spiegazione del giornalista Nasser Atta è cruda, non fa sconti. «Polizia e servizi non intervengono perché ad ammazzarsi tra di loro sono gli arabi e alla maggioranza ebraica, al governo, alle forze di sicurezza non importa mettere fine al bagno di sangue» ci dice, aggiungendo che il suo punto di vita è quello della maggioranza dei palestinesi. «Non sto minimizzando fattori sociali e culturali -aggiunge- ma in Israele i controlli sulle armi sono capillari ed è ben nota la collaborazione dei trafficanti ebrei ed arabi.

PIÙ ARMI CI SONO IN GIRO e più le persone si ammazzano tra di loro, come accade in altri paesi, a cominciare dagli Usa». Atta non crede che il ministro Erdan attuerà i provvedimenti eccezionali di cui ha parlato ieri. «Fino a quando le violenze e il traffico delle armi rimarranno circoscritte ai centri arabi si muoverà ben poco - prevede - Le operazioni di polizia si faranno serie solo se l'ondata di violenza coinvolgerà le città ebraiche».

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redazione@ilmanifesto.it

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