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Il Manifesto Rassegna Stampa
08.06.2019 Perchè Michele Giorgio non scrive un romanzo di fantascienza?
La fonte sono i suoi stessi articoli, una trama di fake news pronta per essere copiata

Testata: Il Manifesto
Data: 08 giugno 2019
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Saud e Usa senza prove per la guerra a Teheran»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 08/06/2019, a pag.9, con il titolo "Saud e Usa senza prove per la guerra a Teheran" il commento di Michele Giorgio

E' una perdita per il genere 'fantascienza' il fatto che Michele Giorgio scriva sul quotidiano comunista -in qualità di corrispondente da Israele- soltanto cronache mediorientali. La fantascienza si priva di un possibile autore dotato di una vivace fantasia capace di inventare fake news presentandole ormai da molti anni come se fossero vere. L'Iran minaccia di distruggere Israele? Ma no, è 'Tel Aviv' (che Giorgio scambia con la capitale Gerusalemme) a organizzare manifestazioni in cui esibisce in bella mostra tutti i suoi missili puntati si Teheran! Trump non è uscito dall'Accordo Obama che avrebbe garantito agli Ayatollah l'arma nucleare, ma perchè è un guerrafondaio che vuole colpire il pacifico Iran!
Dalle fake news che Giorgio inventa in quasi tutti i suoi articoli, ne verrebbe fuori una trama per un romanzo targato fantascienza, non dovrebbe nemmeno sforzarsi per inventare altre storie, la fonte da cui trarre i vari capitoli sono i suoi stessi articoli, dovrà solo copiare se stesso. Forza, Giorgio, ci dia retta, lo scriva questo romanzo, e ce ne mandi una copia per la recensione!

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Michele Giorgio                       la tastiera del suo PC

Gli Emirati «non vogliono assistere a una guerra che l'intera regione pagherebbe a caro prezzo» ma chiedono all'Iran di «cambiare comportamento». Queste parole pronunciate dal ministro degli esteri emiratino, Anwar Gargash, in un'intervista a The National, non sono un segnale di moderazione. Confermano che i venti di guerra spirano impetuosi nel Golfo e che l'opzione di un attacco militare contro Tehran da parte degli Usa e degli alleati nella regione è concreta. Parole pronunciate nelle stesse ore in cui Abu Dhabi consegnava al Consiglio di Sicurezza Onu un rapporto in cui si parla di un «attore statale» (l'Iran?) alla base dell'«operazione complessa e coordinata» che lo scorso 12 maggio ha sabotato quattro petroliere nei pressi dello Stretto di Hormuz in acque territoriali degli Emirati: due saudite, una emiratina e una norvegese.
L'INDAGINE, CONDOTTA insieme ad Arabia saudita e Norvegia, non contiene alcuna prova di un coinvolgimento di Tehran. Eppure potrebbe rappresentare il casus belli che l'amministrazione Trump cerca per passare dalle sanzioni economiche e diplomatiche all'Iran — il dipartimento americano del Tesoro ha appena annunciato sanzioni contro la Persian Gulf Petrochemical che considera la holding petrolchimica più grande dell'Iran — a una guerra vera e propria. Ne sono prova i conflitti nel Golfo degli ultimi trent'anni innescati dagli Usa. Le quattro navi sarebbero state sabotate con mine Limpet, posizionate con magneti sugli scafi delle navi da sommozzatori con motoscafi. Secondo gli Emirati, erano necessarie delle capacità di intelligence per scegliere gli obiettivi visto che le navi non erano posizionate nello stesso posto. GLI STATI UNITI hanno subito accusato l'Iran. Tra i due paesi la tensione resta molto alta a causa delle sanzioni economiche e della decisione presa un anno fa da Donald Trump di uscire dall'accordo internazionale sul programma iraniano di produzione di energia nucleare (Jcpoa). Il mese scorso, scriveva ieri il Wall Street Journal, per due settimane si è rischiato un conflitto. La Marina americana ha intercettato nel Golfo e seguito due navi commerciali iraniane con il sospetto che avessero a bordo missili. La tensione è scesa solo dopo l'arrivo delle due navi in porto ma il rischio di un scontro militare resta. Fonti dell'esercito Usa hanno confermato al Wsj l'intenzione di rinforzare la presenza americana nell'area in modo da «colpire l'Iran e i suoi alleati» se la Casa bianca decidesse di passare all'azione. Nelle scorse settimane Washington ha inviato nell'area del Golfo il gruppo di attacco guidato dalla portaerei Abraham Lincoln, bombardieri strategici B-52 e missili Patriot. Israele e Arabia saudita soffiano sul fuoco. Il premier Netanyahu lancia accuse quotidiane all'Iran e Riyadh l'altro giorno all'Onu, a differenza degli Emirati ha subito puntato il dito, contro Tehran.
«CREDIAMO che la responsabilità di questo attacco ricada sull'Iran», ha detto l'ambasciatore saudita, al-Mouallimi, aggiungendo che gli attacchi del mese scorso dimostrano i rischi per le forniture di petrolio (per lo stretto di Hormuz passa un terzo del greggio mondiale) e l'urgenza di un intervento del Consiglio di Sicurezza. Intervento che quasi certamente non ci sarà per la contrarietà del Cremlino. Il vice ambasciatore della Russia all'Onu, Safronkov, ha sottolineato che non è stata presentata alcuna prova che colleghi l'Iran agli attacchi: «Non dovremmo saltare a certe conclusioni»

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