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Il Manifesto Rassegna Stampa
17.05.2018 Sul Manifesto l'abituale tecnica di Farian Sabahi, per spacciarsi equlibrata
e una breve pro-BDS dove una espulsione diventa 'deportazione'

Testata: Il Manifesto
Data: 17 maggio 2018
Pagina: 9
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «'Dall'Iran alla Corea del Nord, scacchiere unico per Tel Aviv' - Legge anti-Bds, Hrw fa causa a Israele»

Riprendiamo oggi, 09/05/2018, dal MANIFESTO, a pag. 9, con il titolo 'Dall'Iran alla Corea del Nord, scacchiere unico per Tel Aviv', il commento di Farian Sabahi; la breve "Legge anti-Bds, Hrw fa causa a Israele", entrambi preceduti dai nostri commenti.

Ecco gli articoli:

Farian Sabahi: 'Dall'Iran alla Corea del Nord, scacchiere unico per Tel Aviv'

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Farian Sabahi

La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti persiani: presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non troppo liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa.
Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore - evidentemente gode di buone entrature - propagandando l'immagine di un Iran moderato che è lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Oggi la vediamo scrivere sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee.
Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi.
Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.

Anche nel pezzo di oggi lo stile di Sabahi è sempre il solito: riporta le dichiarazioni di Ely Karmon per garantirsi credibilità e per il resto attacca Israele.

Ecco il pezzo:

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Ely Karmon

L'Ue non vuole perdere miliardi di euro di interscambio con l'Iran per la decisione dell'amministrazione americana di mandare a monte l'accordo sul nucleare. Per questo, è pronta ad attuare lo statuto di blocco che impedisce l'applicazione nell'Unione di sanzioni decise da Paesi terzi. Approvato nel 1996 per contrastare le sanzioni statunitensi contro le aziende europee che volessero fare affari con Cuba, Iran e Libia e finora mai utilizzato, lo statuto prevede risarcimenti per le aziende che dovessero essere colpite dalle misure a stelle e strisce. Della questione i leader europei parleranno oggi in occasione del vertice di Sofia coni capi di Stato e di governo dei Balcani occidentali. Trump non solo mette in difficoltà l'Europa, ma si fa beffe del diritto internazionale. Non è la prima volta, basti pensare alla strage di civili in Yemen, dove il Pentagono (ma non solo) fornisce aiuto militare e intelligence ai sauditi in una guerra che non ha l'avallo delle Nazioni Unite. Se Trump rischia di mandare in fumo il business europeo con Teheran, è perché vuole smontare l'eredità del suo predecessore Obama e mantenere fede alle promesse fatte agli evangelisti (la sua base elettorale) e alla lobby ebraica (il cui obiettivo è mettere in ginocchio l'economia iraniana). Dopotutto, «Israele è in guerra con l'Iran dalla rivoluzione nel 1979, è tutta colpa della dottrina khomeinista», commenta lo studioso israeliano Ely Karmon dell'International Institute for Counter-Terrorism di Herzlyia. La guerra è sempre stata per procura: «Teheran ha usato gli Hezbollah libanesi che, in seguito alla guerra civile siriana, si sono trasformati in un piccolo esercito dotato di carri armati americani (in dotazione all'esercito libanese), droni, artiglieria e 120 mila missili in grado di raggiungere tutto il territorio di Israele». Nella strategia iraniana, «fino a poco tempo fa Hezbollah rappresentava una forza sul terreno, provvista di missili da utilizzare in caso di attacco israeliano o americano ai siti nudeari». Dopo la vittoria di Assad in Siria grazie all'aiuto di Teheran, delle milizie libanesi e dell'intervento aereo russo, ora «gli ayatollah vogliono trasformare la Siria in una piattaforma strategica (con missili, aerei e forse anche una base navale) per minacciare le Alture del Golan». Queste ultime, piccolo inciso, sono occupate da Israele dal 1967 e, secondo una risoluzione dell'Onu mai rispettata da Israele e mai fatta rispettare dalla comunità internazionale, dovrebbero tornare sotto la sovranità di Damasco. Per evitare che gli ayatollah mettano in atto il loro piano - continua Karmon - «nel gennaio 2015 Israele aveva bombardato le infrastrutture iraniane e ucciso il generale iraniano e il comandante degli Hezbollah che se ne stavano occupando». Condividendo un'opinione dell'Idf - l'esercito israeliano - e «tenuto conto del lancio di 20-30 missili iraniani contro Israele», ora Karmon teme possano vendicarsi: «Ci sono diverse possibilità di atti terroristici in Israele e contro obiettivi israeliani nel mondo. Potrebbero essere perpetrati da una cellula iraniana, da Hezbollah o da terze organizzazioni». Detto questo, l'Idf non sembra usare particolari cautele per non irritare l'Iran. Al contrario, «dopo che si è intensificata la presenza iraniana sul confine meridionale siriano, coinvolgendo milizie irachene e sciite, Israele ha deciso di distruggere le forze di Teheran e dei suoi alleati. Anche perché abbiamo capito che non si sarebbero fatti crucci a mettere a rischio la sicurezza del Libano per raggiungere i propri obiettivi. E diventato assolutamente necessario prenderli di mira». All'orizzonte, solo venti di guerra. Anche perché, conclude Karmon, «se Trump riuscirà a denuclearizzare la Corea del Nord, l'Iran sarà obbligato ad accantonare le mire regionali». Di pari passo, Israele diventa più aggressivo: «Anziché intimidire il Libano, abbiamo deciso di scoraggiare l'Iran minacciando di attaccarlo. Se saremo colpiti, la nostra aviazione bombarderà le città iraniane. Se ci fosse la guerra, l'Arabia Saudita potrebbe lasciarci attraversare il suo spazio aereo. E se l'Iran ci attaccasse, la comunità internazionale non avrebbe nulla da ridire circa il nostro diritto di difenderci».

 

 

"Legge anti-Bds, Hrw fa causa a Israele"

Il Manifesto esulta alla "sfida" di Human Rights Watch contro "la legge anti-Bds israeliana". Il quotidiano comunista non è però neanche in grado di tradurre correttamente dall'inglese il verbo "to deport", che significa "espellere" e non "deportare", come invece compare nel testo dell'articolo.

Ecco il pezzo:

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Per la prima volta qualcuno sfida la legge anti-Bds israeliana: Human Rights Watch ha mosso una causa legale contro la normativa israeliana che impedisce l'ingresso nel paese a individui che sostengono la campagna internazionale di boicottaggio. La decisione segue all'ordine di deportazione dal paese di Omar Shakir, direttore di Hrw per Israele e Palestina, di un mese fa: accusato di sostegno al Bds, a Shakir non è stato rinnovato il permesso di lavoro. È di marzo l'emendamento alla «legge anti-infiltrazione» del 1954: la Knesset ha autorizzato le autorità governative a rifiutare l'ingresso e la permanenza in Israele a chi è accusato di attività di boicottaggio; in contemporanea il ministero per gli Affari Strategici aveva pubblicato una lista di 20 gruppi e organizzazioni di tutto il mondo (tra cui Bds Italia) a cui sarà negato l'ingresso. Ora Hrw fa causa: la legge, dice, «minaccia i diritti basilari di migliaia di persone che vivono in Israele e Palestina e di tanti altri che vogliono venire». Perché il caso di Shakir è finora unico: lui vive e lavora già in Israele e ora rischia la deportazione. «Significa che chi risiede nel paese legalmente dovrà stare attento a quel che dice, rischiamo una caccia alle streghe», spiega la legale Emily Shaeffer.

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redazione@ilmanifesto.it

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