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Il Manifesto Rassegna Stampa
19.12.2017 Onu contro Usa e Israele: fa festa Michele Giorgio
Segno che la notizia è pessima

Testata: Il Manifesto
Data: 19 dicembre 2017
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Veto Usa su Gerusalemme ma Trump è solo: 14 contro 1»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 19/12/2017, a pag.9, con il titolo "Veto Usa su Gerusalemme ma Trump è solo: 14 contro 1" l'articolo di Michele Giorgio.

Ha ragione Michele Giorgio quando scrive che gli Stati Uniti sono soli. Essere soli, però, non significa avere torto, altrimenti avrebbero avuto torto anche i pochi "giusti" isolati che durante la Shoah hanno salvato ebrei a rischio della propria vita. In questo caso i 14 Paesi che hanno votato all'Onu contro le parole di Donald Trump hanno calpestato la realtà e il diritto di Israele, l'unico Stato al mondo di cui è contestato il diritto di scegliersi la capitale. Se Michele Giorgio è contento, la notizia è pessima.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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Washington è sola. Gli Stati uniti ieri hanno posto il veto alla risoluzione su Gerusalemme presentata dall'Egitto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu dopo il riconoscimento della città come capitale d'Israele da parte di Trump. Tutti gli altri 14 membri del CdS hanno votato a favore. Senza menzionare esplicitamente Trump, né gli Stati uniti, il testo affermava che de decisioni e azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu». E richiedeva che tutti gli Stati membri osservino le risoluzioni del Consiglio riguardanti Gerusalemme e non riconoscano nessuna azione o misura contraria a tali risoluzioni». Ad aumentare l'isolamento degli Usa è stato il via libera alla risoluzione di Francia e Gran Bretagna, il principale alleato di Washington in Europa. Immediato è stato il ringraziamento del premier Netanyahu agli Usa per aver posto il veto.

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La sede dell'Onu a New York

«NELLA FESTA (EBRAICA) di Hanukkà hai acceso la luce della verità e cacciato il buio. Uno trionfa su molti, la verità prevale sulla menzogna. Grazie presidente Trump», ha detto il primo ministro israeliano.

ALLA ROVESCIA, come sempre, è stata la lettura della questione offerta dall'ambasciatrice statunitense all'Onu, Nikki Haley, falco tra i falchi dell'amministrazione. Preannunciando il veto, Haley aveva spiegato che non è la dichiarazione di Trump — che dal 6 novembre sta incendiando il Medio Oriente — ma esimili risoluzioni» che allontanano da pace» tra israeliani e palestinesi. L'ambasciatrice, alleata di ferro di Israele all'Onu, ha citato come esempio, a suo dire negativo, la risoluzione di condanna degli insediamenti coloniali israeliani — costruiti in violazione della legalità internazionale — approvata nel dicembre 2016 grazie all'astensione dell'amministrazione Obama.

IERI DOPO IL VOTO Haley ha reagito con stizza: (Quello a cui abbiamo assistito qui in Consiglio di Sicurezza è un insulto. Non sarà dimenticato». Quindi ha motivato il veto con la necessità di difendere (la sovranità americana e il ruolo degli Usa nel processo di pace in Medio Oriente» e ricordato che saranno i negoziati tra israeliani e palestinesi a decidere i confini a Gerusalemme.

TRATTATIVE SOLO TEORICHE, alle quali l'Autorità nazionale palestinese (Anp) dice di non volere più gli Stati uniti come mediatori, un ruolo che, ha spiegato il presidente Abu Mazen una settimana fa al summit islamico di Istanbul, Washington ha perduto con il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele fatto da Trump in violazione con quanto stabilito dagli accordi di Oslo del 1993. Ora l'Anp si rivolgerà all'Assemblea generale dell'Onu per chiedere l'approvazione della risoluzione bloccata dagli Usa. L'esito positivo è scontato ma non avrà riflessi sul terreno. (Non sono molte le armi che può usare Abu Mazen oltre a quella di internazionalizzare la crisi e impedire che gli Usa tornino a mediare in un ipotetico negoziato — spiega al manifesto l'analista Ghassan Khatib — I palestinesi non devono temere possibili ripercussioni economiche per le loro scelte, possono fare a meno anche dell'aiuto finanziario Usa perché è diretto solo ai servizi di sicurezza e al finanziamento di alcuni progetti civili». Proprio la sicurezza, o più precisamente la cooperazione di sicurezza con Israele, resta il punto debole della linea della fermezza» che l'Anp afferma di voler portare avanti.

ABU MAZEN NONOSTANTE le pressioni della popolazione e le proteste delle forze d'opposizione, come il Fronte popolare e gli islamisti di Hamas, non l'ha sospesa e i servizi di sicurezza ai suoi ordini compiono frequenti arresti di palestinesi indicati da Israele come “terroristi»”. A indebolire il presidente è inoltre il mancato successo, almeno per ora, della riconciliazione con Hamas che controlla Gaza. Il movimento islamico non ha risposto all'invito a partecipare ai lavori del Consiglio Nazionale dell'Olp che si è riunito ieri per valutare una possibile dichiarazione dello Stato palestinese come uno Stato esistente. Abu Mazen oggi vedrà a Riyadh re Salman, or mai stretto alleato di Israele dietro le quinte e accusato dai palestinesi di non aver preso una posizione netta contro Trump. Ieri il sovrano saudita ha ricevuto con grandi onori il direttore della Cia Pompeo.

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