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Il Manifesto Rassegna Stampa
16.05.2017 Disinformazione, omissione, menzogna
Michele Giorgio ufficio stampa dei terroristi palestinesi

Testata: Il Manifesto
Data: 16 maggio 2017
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Nakba e prigionieri in digiuno: la Palestina scende in piazza»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 16/05/2017, a pag. 8, con il titolo "Nakba e prigionieri in digiuno: la Palestina scende in piazza", il commento di Michele Giorgio.

L'articolo di Michele Giorgio è, come sempre, un pretesto per descrivere Israele a tinte fosche. Il grande assente dai suoi articoli - anche questa è una costante - è il terrorismo palestinese, che secondo il Manifesto non esiste. Oltre alla consueta disinformazione, Giorgio scrive oggi di "un morto" a Gaza e prontamente accusa Israele del fatto, senza specificare ulteriormente. Quello che Giorgio "dimentica" è che Israele si è ritirata unilateralmente da Gaza nel 2005: un terreno in cui oggi spadroneggiano i terroristi di Hamas.

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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Marwan Barghouti, terrorista pluriomicida

«La lotta che portano avanti i prigionieri palestinesi non cesserà fino a che non saranno raggiunte tutte le legittime richieste». Queste parole di Marwan Barghouti — contenute nella lettera che il leader di Fatah, in carcere in Israele, ha consegnato al suo avvocato — riecheggiavano ieri nelle strade dei Territori occupati.

SI SONO UNITE AGLI SLOGAN che migliaia di dimostranti hanno scandito ieri durante manifestazioni e raduni per l'anniversario della Nakba, la "catastrofe", che per i palestinesi coincide con l'esodo di centinaia di migliaia di civili, costretti con la forza a lasciare o fuggiti dai loro villaggi prima e durante la fondazione dello Stato di Israele nel 1948. Civili che assieme ai loro discendenti — oggi in totale sono oltre cinque milioni—da 69 anni languono in campi profughi sparsi nel mondo arabo ed il cui destino resta ignoto, malgrado una risoluzione delle Nazioni Unite, la 194, sancisca il loro diritto al ritorno nella terra d'origine. Le manifestazioni ieri sono sfociate in scontri (con alcuni feriti tra i dimostranti) tra palestinesi e soldati israeliani nei pressi del campo profughi di Aida a Betlemme e al transito di Bet El (Ramallah). In un caso, ad Anabta, a caricare i dimostranti è stata la polizia palestinese. Nelle stesse ore spirava in ospedale a Gaza Muhammad Bakr, 23 anni, un pescatore ferito mortalmente, raccontano testimoni, dal fuoco di una motovedetta israeliana. Nel giorno della Nakba il segretario generale dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Saeb Erakat, ha detto: «Al fine di raggiungere una pace giusta e duratura fra Israele e Palestina è importante che Israele riconosca la Nakba e chieda scusa».

L'ATTENZIONE intanto resta sullo sciopero della fame che oltre mille detenuti politici palestinesi osservano, su appello di Marwan Barghouti, nelle carceri israeliane dallo scorso 17 aprile. Ed è destinata a crescere con l'aggravarsi delle condizioni di salute di molti prigionieri. Lo stesso Barghouti, riferisce il suo avvocato Khader Shqeirat, è in condizioni precarie, ha perso 13 chili ed è molto debole. Il leader di Fatah, aggiunge Shqeirat, vive in «tremende» condizioni di detenzione, isolato, spesso ammanettato per ore, in una cella priva dei requisiti minimi e infestata di insetti. Barghouti, prosegue il suo avvocato, non si è mai potuto cambiare i vestiti da quando è stato trasferito dalla prigione di Hadarim a quella di Jalameh e sarebbe sottoposto a «forti e continui rumori» che attutisce con pezzi di carta nelle orecchie.

NELLA LETTERA BARGHOUTI esorta i palestinesi ad appoggiare in ogni modo la protesta dei prigionieri e ad attuare la «disobbedienza civile» contro l'occupazione israeliana. Quindi invita il suo partito e gli islamisti di Hamas a riconciliarsi e l'Autorità nazionale palestinese (Anp) a non riprendere il negoziato con Israele sulla base delle regole e dei principi ap- plicati negli ultimi venti anni. Le trattative, spiega, saranno inutili fintanto che «Israele non cesserà la costruzione di colonie, non si impegnerà a terminare l'occupazione, non riconoscerà il diritto al ritorno per i profughi, non libererà tutti i prigionieri, non accetterà il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente nei confini del 1967» con capitale Gerusalemme.

RICHIESTE CHE DI FATTO sono il manifesto di un Fatah 2, alternativo a quello incarnato dall'attuale gruppo dirigente e guidato dal presidente Abu Mazen. Peraltro Fatah è uscito malconcio dalle amministrative di sabato scorso in Cisgiordania malgrado l'assenza di liste dei rivali di Hamas, del Jihad e del Fronte popolare che hanno boicottato il voto. Fatah ha conquistato Hebron, Gerico e Jenin ma spesso ha dovuto appoggiarsi a liste locali, come a Nablus. Bassa la percentuale dei votanti, 53%. Notizie poco rassicuranti per Abu Mazen che in questi giorni cerca di darsi una immagine di leader forte e deciso in vista dell'incontro che avrà con Donald Trump durante la visita che il 22 e 23 maggio il presidente americano effettuerà in Israele e Cisgiordania.

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