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Il Manifesto Rassegna Stampa
05.03.2017 15 condanne a morte in Giordania
Ma non essendoci di mezzo Israele non suscita alcun commento

Testata: Il Manifesto
Data: 05 marzo 2017
Pagina: 9
Autore: La redazione
Titolo: «Amman giustizia 15 condannati per terrorismo»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 05/03/2017, a pag.9, con il titolo "Amman giustizia 15 condannati per terrorismo" il redazionale che segue.

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Pubblichiamo questa colonna uscita sul giornale comunista, un redazionale d'agenzia. Poche righe, riprese brevemente anche da qualche altro giornale. Lo facciamo per mettere in evidenza come 15 esecuzioni, se avvenute come in questo caso in Giordania, interessino poco le direzioni dei nostri media. I crimini - di ogni tipo, non solo terrorismo- che avvengono nel mondo arabo-musulmano, interessano solo se di mezzo c'è Israele, a cui invariabilmente viene attribuita la responsabilità. In questo caso Israele non c'è, per cui 15 condanne a morte non stimolano ancun commento. Anche il pezzo del Manifesto è quanto mai algido.

Due anni dopo le ultime pene capitali, rappresaglia all'uccisione del pilota al Kasasbeh, bruciato vivo dall'Isis, il regno hashemita torna al cappio: ieri 15 giordani sono stati giustiziati nel carcere di Swaqa, 70 km da Amman. Dieci di loro erano accusati di terrorismo, cinque di violenze sessuali. L'ampio arco di tempo coperto dalle esecuzioni di ieri svela la maggiore paura della Giordania verso il terrorismo islamista: i 10 giustiziati erano stati condannati per sei attacchi diversi, dall'attentato all'ambasciata di Amman in Iraq del 2003 (il più vecchio) all'omicidio dello scrittore Nahid Hattar, lo scorso settembre (il più recente). Un'esecuzione di massa, condannata dalle organizzazioni per i diritti umani, che accende i riflettori su un paese che ha cercato di tenersi lontano dal caos che investe la regione dalla seconda guerra del Golfo e dall'avanzata di gruppi jihadisti che ai suoi confini dettano legge. Ma la Giordania non ne è immune e lo sa. Per questo negli ultimi mesi, sotto traccia, sta modificando la propria strategia regionale, soprattutto nei confronti della vicina Siria. Pur restando uno dei caposaldi mediorientali della coalizione a guida Usa, Amman ha abbandonato le iniziali richieste di un cambio al governo di Damasco: sempre più lontana da Turchia e Arabia Saudita (tanto da non essere più nemmeno nominato dal presidente Assad come sponsor delle opposizioni), re Abdallah punta ad una Siria stabile, un governo forte che possa controllare i confini. L'ultimo spettacolare attacco, a dicembre, nel sito storico di Karak (14 morti) ha ricordato alla monarchia hashemita di essere circondata da paesi destabilizzati da guerre esterne. Così si spiega il repentino pugno di ferro che ieri, con 15 impiccagioni, ha mostrato il suo volto peggiore. E si spiegano i raid aerei di pochi giorni fa nel sud della Siria contro postazioni islamiste e l'arresto in due mesi di 700 presunti miliziani islamisti.

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redazione@ilmanifesto.it

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