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Il Manifesto Rassegna Stampa
18.01.2008 I poveri terroristi di Hamas e il cattivo Israele
la propaganda di Ali Rashid

Testata: Il Manifesto
Data: 18 gennaio 2008
Pagina: 1
Autore: Ali Rashid
Titolo: «Bush, missione fallita Palestina insanguinata»

Dal MANIFESTO del 18 gennaio 2008 un articolo di Ali Rashid, deputato di Rifondazione Comunista, già segretario della rappresentanza palestinese in Italia.
Gli argomenti propagandistici ed estremisti di Rashid, per il quale Israele condurrebbe una "continua aggressione" contro i palestinesi e sarebbe la vera e unica causa del disordine del Medio Oriente, sono noti.
Si potrrebbe replicare che Israele è aggredita dal terrorismo e che è il jihadismo di Teheran ( con Damasco al seguito) a rendere insoluto e forse, almeno per ora, irrisolvibile, il conflitto israelo palestinese.
Ma Rashid, poche righe dopo, riesce a scrivere:

Abu Mazen ha chiamato al telefono Zahar, ex ministro degli esteri del precedente governo di unità nazionale e oggi massimo esponente dell'ala radicale di Hamas, per esprimere le sue condoglianze per l'uccisione del figlio. Stessa cosa ha significativamente fatto il padre di Shalit, il soldato israeliano ancora rapito.

Un passo che pone molti dubbi circa la possibilità il richiamo alla verità dei fatti e sull'elementare distinzione morale tra l'aggredito e l'aggressore abbia senso, se rivolto a Rashid.
Il quale utilizza la telefonata disperata di un padre al sequestratore del figlio per presentare quello stesso sequestratore, e i suoi compagni nell'organizzazione terrroristica  Hamas, come le vittime di un'aggressione, meritevoli di solidarietà.

Ecco il testo completo:
 
Dopo una visita così importante del capo dell'ancora unica superpotenza, nella regione dove si concentra la maggior parte dei problemi che minacciano la sicurezza mondiale, il buon senso avrebbe voluto che qualche nuovo elemento emergesse, che qualche cambiamento di natura strategica venisse introdotto, visti i disastrosi risultati delle scelte operate dall'amministrazione americana fino ad oggi. Invece, nelle varie tappe del viaggio che lo ha portato a toccare tutti i punti nevralgici del prossimo teatro di scontro frontale di carattere epocale, come un disco incantato ha continuato a ripetere a memoria un discorso già pronunciato molto tempo fa, come se nulla fosse accaduto. I primi ad essere delusi sono stati i suoi interlocutori e alleati, che fino ad ora hanno legato il loro destino alle sue scelte, assecondandole e in qualche caso rendendole attuabili. Persino il Kuwait, che deve tutto all'amministrazione Bush, padre e figlio, il giorno dopo la partenza del presidente americano ha inviato il ministro degli esteri a Tehran per dire che nulla è cambiato nei rapporti bilaterali e che non prenderanno parte a nessuna aggressione contro l'Iran. E il ministro degli esteri di Riyadh nella conferenza con Condoleeza Rice ha sostenuto che con l'Iran, «grande potenza regionale», corrono rapporti di buon vicinato e che sul nucleare occorre insistere per la via diplomatica. L'atteggiamento più inatteso è dell'Egitto, decisivo nel 1991 per la coalizione di guerra contro l'Iraq. Mubarak in conferenza stampa con Bush - dopo una grande mobilitazione dell'opposizione contro la visita - ha dichiarato che il vero problema che è alla base di tutta l'instabilità in Medio Oriente e che minaccia la sicurezza collettiva è l'irrisolta questione palestinese, tutto il resto, compresa la questione iraniana è riflesso e conseguenza delle politiche israeliane. Mentre Mubarak parlava a Sharm El Sheikh, l'aviazione e i blindati israeliani stavano conducendo uno dei più sanguinosi attacchi contro Gaza e altre località della Cisgiordania, causando la morte di 24 persone e il ferimento di più di cento in 24 ore, portando a 112 il numero dei palestinesi uccisi dal «vertice di pace» di Annapolis ad oggi - tre settimane. Le condanne più energiche sono venute dai paesi visitati da Bush, una presa di distanza dalla politica americana che copre questa criminale iniziativa israeliana, una politica che addirittura vorrebbe Abu Mazen complice e parte della cosiddetta «guerra al terrorismo». Ma Abu Mazen stavolta ha condannato i raid definendoli «un massacro», e per la prima volta da anni Al Fatah e Hamas insieme hanno indetto uno sciopero generale di protesta. Lo stesso Abu Mazen ha chiamato al telefono Zahar, ex ministro degli esteri del precedente governo di unità nazionale e oggi massimo esponente dell'ala radicale di Hamas, per esprimere le sue condoglianze per l'uccisione del figlio. Stessa cosa ha significativamente fatto il padre di Shalit, il soldato israeliano ancora rapito. L'ultimo esempio è Israele. Il vicepremier Lieberman, leader d'estrema destra, s'è dimesso dal governo contro le trattative per un assetto definitivo dei Territori palestinesi, in vista della soluzione caldeggiata da Bush entro il 2008. Così Olmert appare oggi ancora più debole, in attesa poi del «Rapporto Winograd» sulla disastrosa guerra contro il Libano a ogni costo voluta sempre da Bush. E più deboli risultano i paesi amici degli Usa, che hanno riservato al «piazzista d'armi» una ridicola e pittoresca accoglienza, vissuta come spargimento di sale sulle ferite da milioni di arabi e musulmani. Per la Palestina, costretta ancora ad attendere una vera iniziativa internazionale che ponga fine alla sua sofferenza e all'insensata e continua aggressione israeliana, si tratta di un'occasione mancata. Anche per prevenire le altre guerre della serie promossa da Bush nel tentativo di consolidare un dominio assoluto ma improbabile sul Medio Oriente e sulle sue risorse. La missione di Bush è fallita. I suoi avversari, a lui quasi speculari, non hanno nulla da temere: la sua politica ha dimostrato di rafforzare proprio loro indebolendo gli alleati - il caso di Musharraf in Pakistan è esemplare. È sperabile che il presidente Abu Mazen se ne renda conto in tempo e dia inizio a un processo di riconciliazione nazionale indispensabile per far fronte all'arroganza e alla politica criminale israeliana. Non consentendo più che Israele e la Cia (installata nell'area con la cosiddetta Road map) disseminino e fomentino ovunque guerre civili come parte della strategia della guerra permanente. Il primo passo dovrebbe quello di abbandonare le inconcludenti trattative farsa, dando ascolto a tutte le forze politiche palestinesi, comprese quelle ancora lui vicine. Il prossimo teatro di scontro, dice l'attentato anti-Usa a Beirut, sarà il Libano. Lì il mondo arabo, diviso e irrilevante, tenta l'iniziativa del segretario della Lega araba. La strategia americana punta a farla fallire per riportare la questione al Consiglio di sicurezza con l'obiettivo di internazionalizzarla, trasformando la missione Unifil 2, fiore all'occhiello dell'Italia, in uno strumento di interferenza a favore di uno dei contendenti. L'attuale crisi italiana oscura la tragedia mediorientale e la fragilità del governo Prodi rischia di aiutare questo piano.

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