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Il Manifesto Rassegna Stampa
26.06.2007 Il "colpo a effetto" di Hamas, il tormento di Israele
e la gelida crudeltà del quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 26 giugno 2007
Pagina: 11
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «La voce di Shalit tormenta Israele»

Pensavate che Hamas fosse all'angolo? Invece i "nostri eroi" sono riusciti a rispondere al loro isolamento con un "colpo ad effetto". La diffusione di "una registrazione audio del caporale israeliano Ghilad Shalit che ha subito avuto un forte impatto nello Stato ebraico e messo in ombra il vertice arabo israeliano a Sharm el Sheikh".
Michele Giorgio presenat in questo modo gelido e compiaciuto il ricatto criminale di Hamas e l'appello dell'israeliano sequestrato.

Il titolo dell'articolo, che si presume voglia indirizzare una critica morale a Israele per il rifiuto di cedere ad Hamas, è "La voce di Shalit tormenta Israele".
E' uno strano miscuglio di ipocrisia e di crudeltà, visto che è stato concepito da chi sostanzialmente appoggia Hamas (anche contro Fatah)

Shalit, ci informa l'occhiello, non è stato rapito, ma "catturato".

Il sostegno offerto ad Hamas da Al Qaeda secondo Giorgio è un pericolo per il "movimento islamico palestinese" che ha sempre "sottolineato di essere una forza islamica per lotta solo per la Palestina e di non aver mai compiuto un attacco armato in altri paesi ma solo contro Israele. ".

Hamas, suggerisce Giorgio, continui a sequestrare e uccidere soltanto israeliani, e conserverà buona parte degli amici che non ha mai perso in Europa e in Occidente.

Ecco l'articolo: 

È rimasto sorpreso chi si immaginava un Hamas isolato e rassegnato nella minuscola Gaza senza risorse, strappata con la forza a Fatah e ai servizi di sicurezza fedeli ad Abu Mazen. Il movimento islamico ieri ha piazzato un colpo ad effetto diffondendo, nel giorno dell'anniversario della sua cattura, una registrazione audio del caporale israeliano Ghilad Shalit che ha subito avuto un forte impatto nello Stato ebraico e messo in ombra il vertice arabo israeliano a Sharm el Sheikh. In Israele hanno letto nella divulgazione del messaggio un segnale incoraggiante, dato che per 12 mesi di Shalit non si era saputo più nulla. Meno rassicurante invece è il nuovo messaggio audiovisivo del giornalista della Bbc Alan Johnston, rapito il 12 marzo a Gaza dall'Esercito dell'Islam, una sigla usata da Mumtaz Daghmush, il capo di un potente clan in rotta di collisione con Hamas. Johnston è apparso con un corpetto esplosivo legato al torace e ha chiesto che vengano esaudite le richieste dei sequestratori che, altrimenti, minacciano di farlo saltare in aria. Richieste a metà strada tra politica e criminalità: la liberazione di Abu Qatada, un esponente palestinese di al-Qaida detenuto in Europa, e consegna di alcuni milioni di dollari. «Con Hamas non si tratta, non è un partner», ha detto il premier Ehud Olmert a proposito di Shalit. Questa strategia del rifiuto potrebbe però non valere più di fronte alla situazione di Gaza. Il presidente palestinese Abu Mazen infatti non può più svolgere alcun ruolo e Israele ora ha un'unica possibilità, quella di negoziare con Hamas, attraverso una terza parte. «Se le migliaia dei nostri fratelli ostaggi (detenuti in Israele, ndr) non saranno liberati, terremo il soldato israeliano ancora per anni in prigionia», ha detto con tono perentorio Abu Mujahid, a nome delle Brigate Ezzedin Qassam, braccio armato di Hamas, di fronte a una folla di familiari dei prigionieri palestinesi. Gilad Shalit «riceve un buon trattamento», ha aggiunto. Invece il militare israeliano ha detto che la sua salute si sta deteriorando e di aver bisogno di un ricovero in ospedale. «Sono malato, ho nostalgia della mia famiglia e dei miei amici, esaudite le richieste dei mujahedin, non lasciatemi nella prigionia», ha affermato Shalit, aggiungendo di sperare che il governo si occupi del suo caso. «Ho bisogno di cure in un ospedale e la mia situazione di salute è grave. Sono dispiaciuto per il fatto che il governo non si occupi di me». Parole che inevitabilmente hanno sollevato un polverone in Israele, aggravando le pressioni sul premier Olmert, responsabile agli occhi di gran parte degli israeliani non solo di aver condotto in modo disastroso la guerra della scorsa estate contro il Libano, ma anche di non aver saputo riportare a casa Ghilad Shalit e altri due militari catturati da Hezbollah. Già si levano alte le voci a sostegno di una trattativa diretta. Il vice premier israeliano Eli Ishai si è detto favorevole al dialogo con Hamas pur di ottenere la liberazione di Shalit ed è probabile che, su pressione della famiglia del militare, giungano altre proposte di negoziato diretto. Più volte in passato si è parlato di liberazione imminente di Shalit, ma l'accordo tra le parti, mediato dagli egiziani, è puntualmente saltato all'ultimo istante su un punto centrale: Olmert vuole che il caporale venga liberato senza alcuna contropartita e che la successiva scarcerazione di alcune centinaia di detenuti palestinesi venga presentato come «gesto di buona volontà» di Israele. Hamas dunque torna in gioco ma deve guardarsi dall'ingombrante sostegno ricevuto ieri dall'egiziano Ayman al Zawahri, il numero due di Al Qaida. «Noi dobbiamo sostenere i mujaheddin in Palestina, compresi i mujaheddin di Hamas, malgrado tutti gli errori della loro dirigenza». Alcuni mesi fa lo stesso Zawahri aveva accusato Hamas di essere «sottomesso» a Israele, e di aver «venduto la Palestina». Il movimento islamico palestinese ha sempre preso le distanze da Al-Qaeda e sottolineato di essere una forza islamica per lotta solo per la Palestina e di non aver mai compiuto un attacco armato in altri paesi ma solo contro Israele.

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