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La Repubblica Rassegna Stampa
13.02.2024 Kamala Harris, altra creatura di Obama. Al posto di Biden?
Commento di Paolo Mastrolilli

Testata: La Repubblica
Data: 13 febbraio 2024
Pagina: 17
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «'Sono pronta a servire'. Poco amata dai dem Harris già si vede come piano B a Biden»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/02/2024, a pag. 17, con il titolo "Sono pronta a servire. Poco amata dai dem Harris già si vede come piano B a Biden" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
 
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Paolo Mastrolilli

Kamala Harris, vice presidente USA. Una vice che non convince

NEW YORK — Cosa intendeva la vice presidente degli Stati Uniti Kamala Harris, quando parlando con il Wall Street Journal ha affermato senza incertezze di essere “pronta a servire”? Voleva dire che è pronta a prendere il posto di Biden, come del resto le chiederebbe di fare la Costituzione se il capo della Casa Bianca lasciasse la carica per qualsiasi motivo, rispondendo così agli attacchi ricevuti dai repubblicani sulla sua affidabilità? Oppure aveva lo scopo recondito di avanzare la propria candidatura alla presidenza, se Joe non ce la facesse a proseguire la campagna per la rielezione e dovesse scattare il “piano B”? Probabilmente entrambe le cose, con un’ovvia precedenza per la prima ipotesi. Harris, già senatrice e procuratrice della California, era stata scelta da Biden come vice nel 2020 dopo il fallimento della sua corsa alla Casa Bianca, perché riempiva alcune caselle elettorali decisive. Donna di colore, figlia di immigrati (padre giamaicano e madre indiana), giovane, popolare nell’ala sinistra del Partito democratico: compensava i limiti di Joe e rafforzava la sua coalizione vincente. L’idea sottintesa, poi, era che Biden avrebbe fatto il presidente di transizione, e dopo aver bloccato la minaccia trumpista avrebbe passato il testimone alla prossima generazione, con la vice naturalmente destinata a raccogliere la sua eredità. Non è andata così, per vari motivi. Il primo è che Kamala ha deluso le aspettative, in particolare quando all’inizio del mandato le era stata affidata la delicata pratica dell’immigrazione. La sua popolarità era scesa più rapidamente di quella di Joe, compromettendo i piani per la successione. Poi il capo della Casa Bianca si è appassionato al suo lavoro e la ricandidatura di Trump ha suggellato la fine del passaggio generazionale. Ora il problema è che l’età di Biden l’ha trasformata in una delle armi elettorali dei repubblicani. Come ha detto Nikki Haley, «votare per Joe significa dare la presidenza a Kamala». Secondo la propaganda più cospirativa del Gop, infatti, il piano di Biden è dal principio quello di battere Trump, e poi dimettersi in favore di Harris. Ma anche se l’abdicazione non fosse così premeditata, è comunque inevitabile, perché lui non ha le forze per restare in carica fino al 2028. Perciò chi non vuole Kamala alla Casa Bianca deve votare contro Joe. È presumibile che l’intervista al Wall Street Journal, pubblicata ieri ma fatta due giorni prima del rapporto in cui il procuratore Hur accusava Biden di essere un vecchio smemorato, rispondesse a queste cospirazioni, anche se il clima è cambiato e c’è l’impressione che i dem inizino a valutare sulla possibilità di sostituirlo. Harris ha voluto riaffermare le sue capacità di leadership, allontanando le voci di una sua improbabile sostituzione nel ticket. Anche perché adesso è diventata molto più utile alla campagna elettorale, rispondendo a Hur che è politicamente motivato; promuovendo le posizioni dell’amministrazione su temi chiave come l’aborto, su cui aveva lavorato come procuratrice; oppure parlando alle donne, i giovani e le minoranze deluse, a cui presenta anche un volto più simpatetico alle sofferenze dei palestinesi. Sullo sfondo, però, c’è inevitabilmente anche il “piano B”, nel caso in cui Biden non fosse in grado di completare la campagna, per motivi di salute o di opportunità politica. Se ciò accadesse prima della Convention di agosto, il congresso del partito sarebbe sovrano e potrebbe scegliere a piacimento il successore. Se avvenisse fra la Convention e il voto del 5 novembre il Democratic National Committee, ossia la segreteria, avrebbe il potere di indire nuove primarie o scegliere un sostituto. I nomi in cima alla lista sono altri. Il governatore della California Newsom, già scelto da Biden come surrogato; quella del Michigan Whitmer, che si porterebbe da casa la vittoria in uno dei tre stati decisivi e avrebbe più presa sul Midwest, il Wisconsin, la Pennsylvania; quelli dell’Illinois Pritzker, Maryland Moore, Kentucky Beshear, Pennsylvania Shapiro. Senatori tipo Klobuchar. E poi il sogno Michelle Obama, che però non ha alcuna voglia di farlo. È possibile quindi che Harris, offesa per essere snobbata, abbia voluto ricordare che c’è anche lei.

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