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La Repubblica Rassegna Stampa
06.10.2023 In crisi i paesi Nato
Cronaca di Gianluca Di Feo

Testata: La Repubblica
Data: 06 ottobre 2023
Pagina: 3
Autore: Gianluca Di Feo
Titolo: «Arsenali vuoti e costi elevati la difesa a oltranza di Kiev manda in crisi i Paesi Nato»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/10/2023, a pag. 3, con il titolo "Arsenali vuoti e costi elevati la difesa a oltranza di Kiev manda in crisi i Paesi Nato" l'analisi di Gianluca Di Feo.

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Gianluca Di Feo

Ucraina, l'Italia invia armi e missili a Kiev. Ecco perché l'articolo 11  della Costituzione non lo vieta - Luce

Nel Donbass ha cominciato a piovere ed è arrivato l’autunno. A sud, sul fronte della controffensiva, il clima è ancora buono ma restano poche settimane prima che il fango paralizzi i tank, e nessuno crede più in una vittoria ucraina. Bisogna quindi fare i conti con un nuovo scenario: la guerra andrà avanti almeno fino alla primavera e a Kiev servono armi per proseguire la lotta. Tante armi, perché Putin sta potenziando in fretta il suo arsenale. Questa volta però gli alleati si trovano davanti a problemi di natura industriale, economica e politica, tutti di difficile soluzione. Il più urgente è quello industriale e riguarda le munizioni per l’artiglieria, l’elemento decisivo delle battaglie in corso. Ma l’Occidente ha finito i colpi. «Vediamo il fondo del barile », ha detto senza mezzi termini l’ammiraglio Rob Bauer, responsabile militare della Nato. Venti mesi di combattimenti hanno esaurito le scorte statunitensi ed europee: l’Ucraina ha ricevuto e sparato quasi due milioni di cannonate. Da Washington a Roma, i generali sono stati chiari: sono rimaste le riserve minime, quelle indispensabili per la sicurezza nazionale. Dopo la fine della Guerra Fredda le fabbriche di proiettili sono state smantellate e adesso non sono in grado né di sostituire quelli ceduti agli ucraini, né di alimentare l’esercito di Kiev. Gli Stati Uniti stanno ristrutturando gli impianti e ora costruiscono 20 mila colpi al mese: quelli che nelle trincee di Zaporizhzhia vengono tirati in due-tre giorni. La Commissione Europea ha finanziato un programma per aprire altre fabbriche. I risultati però cominceranno ad esserci alla fine del 2024, troppo tardi per influire sulle sorti del conflitto. Gli emissari del Pentagono hanno bussato a qualsiasi porta. Hanno acquistato munizioni in Pakistan, trasferito quelle sequestrate sui mercantili iraniani, finanziato la rivitalizzazione di bossoli degli anni Cinquanta. Non basta. Ci sarebbero due Paesi in grado di soddisfare la fame degli obici ucraini. Anzitutto la Corea del Sud, che ha i magazzini pieni per fronteggiare il regime di Kim Jong-un: finora però non ha ceduto alle pressioni di Washington. E l’Egitto, che fabbrica sia le ogive dei calibri Nato che quelle sovietiche, altrettanto preziose per Kiev. Ufficialmente Al Sisi si tiene neutrale, anche se gli americani stanno cercando di convincerlo a cambiare linea, magari attraverso la triangolazione con la Giordania per non irritare il Cremlino. Putin dal canto suo ha moltiplicato le catene di montaggio, riceve razzi da Teheran e spera nel supporto nordcoreano: i suoi cannoni non resteranno a secco. La contraerea è l’altro elemento vitale, sottolineato dal presidente Zelensky nel vertice di Granada. Qui il problema è economico: i missili terra-aria hanno prezzi altissimi. In media più di un milione di euro mentre gli Aster della batteria Samp-T donata da Italia e Francia vengono quasi due milioni e mezzo. Ogni notte gli ucraini ne lanciano decine per fare scudo alle città bersagliate dagli sciami di droni low cost russi. Si cerca di supplire donando vecchie armi destinate alla rottamazione, come gli Aspide mandati in pensione dalla nostra Aeronautica. Ovviamente subiscono una revisione, le prestazioni però sono approssimative e Kiev insiste per avere missili moderni, senza i quali anche l’aviazione di Mosca potrebbe dilagare in profondità. Già, ma chi paga? Per l’Italia rifornire il singolo Samp-T fino a primavera significherebbe spendere molto più di cento milioni e intaccare le nostre riserve sotto la soglia minima prevista per la difesa nazionale. Un tema posto con determinazione dal capo dell’aviazione francese, il generale Stéphane Mille: «Dopo due anni adesso la questione va discussa in modo diverso perché non possiamo dare, dare, dare e vedere i nostri sistemi azzerarsi per l’Ucraina». L’ultimo punto è quello più politicamente sensibile: la richiesta di missili a lungo raggio. La presidenza Biden, pur senza annunci ufficiali, sembra avere sbloccato le consegne degli Atacms. Gli ucraini promettono di non scagliarli contro la Russia ma li userano per bombardare la Crimea, che considerano terra loro. Negli ultimi giorni grazie ai cruise europei “Storm Shadow” arrivati da Francia e Gran Bretagna hanno messo a segno colpi micidiali e ora domandano le stesse armi a Italia e Germania. Più del costo elevato - circa tre milioni e mezzo ciascuno a pesare sulle scelte è l’impatto sull’opinione pubblica dei raid contro Sebastopoli. Un tema particolarmente delicato per gli equlibri del governo Meloni, visto che Matteo Salvini ha sempre appoggiato l’annessione putiniana della Crimea. Si tratta di tanti tasselli di un quadro strategico che può determinare l’esito della guerra. Recentemente il generale Laglande de Montgross, numero uno dell’intelligence militare francese, ha ricordato le teorie di von Clausewitz: il conflitto si chiude quando crolla “il centro di gravità” di uno dei belligeranti. E quello dell’Ucraina è la coesione del sostegno internazionale: se si indebolisce, i russi potranno tornare a marciare su Kiev.

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