sabato 04 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
08.08.2023 L’Ucraina e il destino della Russia
Commento di Andrea Romano

Testata: La Repubblica
Data: 08 agosto 2023
Pagina: 27
Autore: Andrea Romano
Titolo: «Il destino della Russia»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/08/2023, a pag. 27, con il titolo "Il destino della Russia", il commento di Andrea Romano.

La Russia si prepara a una lunga guerra: ai militari un terzo del bilancio  pubblico

Sopravviverà la Federazione russa alla guerra che Putin ha scatenato contro l’Ucraina? La questione non riguarda tanto il destino personale del dittatore o gli equilibri di potere intorno al Cremlino ma la Federazione russa in quanto tale, nella forma e nei confini in cui l’abbiamo conosciuta dal 1991: l’impero multietnico dominato da Mosca, l’erede principale sia dell’Unione sovietica sia della potenza coloniale costruita fin dal XVI secolo dalle politiche espansionistiche dello zarismo. Un interrogativo che oggi può apparire fantasioso, condizionati come siamo da decenni di un’autorappresentazione del regime putiniano a cui in tanti abbiamo dato credito. Se non fosse che anche l’Urss sembrava essere un colosso indistruttibile, fino a pochi anni prima di crollare. Hélène Carrère d’Encausse, l’accademica di Francia scomparsa sabato a Parigi, pubblicò nel 1978 un libro di enorme successo internazionale. L’Empire éclaté(“Esplosione di un impero?”, nella traduzione italiana) sosteneva che l’Unione sovietica sarebbe collassata sotto il peso della “rivolta delle nazioni”. È vero che Carrère d’Encausse attribuiva un peso preponderante alle regioni asiatiche dell’Urss, in particolare alla dinamica demografica di popolazioni di religione islamica che già allora crescevano a ritmi più sostenuti della popolazione russa, rispetto al ruolo decisivo che la crisi dei regimi dell’Europa orientale e la ritrovata indipendenza dei Paesi baltici e della stessa Ucraina avrebbero poi avuto nella fine dell’Unione sovietica. Ma la tesi di un possibile crollo dell’impero sovietico apparve allora come la clamorosa negazione di un quadro che solo in pochi mettevano in discussione: la fine degli anni Settanta appariva semmai come la stagione della crisi irreversibile della superpotenza statunitense, schiacciata dalla crisi economica e identitaria e dalla catastrofe militare in Indocina, mentre l’Unione sovietica sembrava destinata a consolidarsi sia all’interno sia in campo internazionale. Da quel 1978 sarebbero trascorsi solo sette anni prima che i vertici del Cremlino fossero costrettiad avviare con Gorbaciov un disperato tentativo di riforma, per tentare di fermare il declino del modello militare-industriale su cui si reggeva l’impero sovietico, e poi altri sei prima che l’Urss cessasse di esistere. Con tutte le più ovvie differenze tra oggi e allora, l’aggressione all’Ucraina ha rivelato la persistenza di un tratto imperiale e coloniale alla base della Federazione russa anche nella sua versione post-sovietica. Un tratto che ne rappresenta il principale elemento di fragilità strutturale e che potrebbe provocarne l’implosione, non domani ma neanche tra mezzo secolo, sul modello di quanto è già accaduto prima all’impero zarista e poi all’Unione sovietica. A suggerirlo non è solo il racconto ideologico con cui il regime giustifica l’aggressione, in puro stile imperiale: l’Ucraina che “non esiste”, il “mondo russo” che dovrebbe tornare ad includere tutte le terre e le popolazioni un tempo sottomesse a Mosca (come se Londra vantasse ancora oggi pretese territoriali su Irlanda, Pakistan o India in quanto parte di un nostalgico “mondo britannico”), la “funzione civilizzatrice” che il Cremlino attribuisce alle sue armate di occupazione e sterminio. È la stessa dinamica interna della guerra di Putin a parlarci di colonialismo: sono infatti le minoranze etniche a fornire la gran parte della “carne da cannone” chiesta da Mosca, così come sono le regioni orientali dell’impero a pagarne il prezzo in termini di impoverimento e sfruttamento crescenti, mentre leéliterusse vengono protette il più possibile dall’impatto umano ed economico del conflitto. La frantumazione del nuovo impero è uno scenario auspicabile per la comunità internazionale? Il punto non è tanto questo, quanto l’esito verso cui sembra andare la crisi dell’edificio russo sotto il peso della guerra e della resistenza ucraina. Un esito di cui sembra consapevole lo stesso Putin, che ha più volte sottolineato come la vera posta in gioco sia la disgregazione della Federazione. Ma si sa che il destino degli imperi raramente coincide con i desideri degli imperatori, soprattutto quando questi perdono lucidità e consenso.

Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT