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La Repubblica Rassegna Stampa
21.05.2023 Bakhmut, inutile trofeo di Putin
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 21 maggio 2023
Pagina: 15
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La città ormai è caduta ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/05/2023, a pag. 15, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "La città ormai è caduta ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin".

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Daniele Raineri

Bakhmut ormai è caduta ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin -  la Repubblica
Bakhmut

Due fonti militari ucraine dicono a Repubblica che «ci sono ancora un po’ di nostri soldati al monumento dell’aeroplano all’ingresso di Bakhmut, quello che è stato distrutto, ma i russi sono dappertutto e si tratta di una posizione piccola, difficile da tenere davvero». La cosiddetta fortezza Bakhmut cade. I combattenti russi riemergono dopo dieci mesi di battaglia – la più brutale della guerra – e attorno a loro ci sono un’Ucraina e un mondo diversi. Mentre consumavano una quantità immane di risorse e di uomini per ottenere il controllo della piccola città vinicola del Donbass e mentre avanzavano di pochi metri al giorno, trincea dopo trincea, singolo edificio dopo singolo edificio, il conflitto è cambiato. Quando i russi mossero all’assalto nell’agosto 2022 speravano che prendere Bakhmut sarebbe stata la svolta per dilagare presto nel resto della regione e arrivare a Kramatorsk, capitale del Donbass non occupato. Oggi quella speranza è svanita e i russi si preparano a reggere l’onda d’urto della controffensiva dell’Ucraina, rafforzata dall’arrivo di 230 carri armati e di 1.550 veicoli corazzati che dieci mesi fa non c’erano e che nel frattempo sono stati consegnati a Kiev dai paesi della Nato. I soldati di Mosca alzano la testa fuori dalle trincee e vedono che il piano che li aveva spinti in quel luogo si è svuotato di significato. Prevedeva di usare Bakhmut come trampolino di lancio per avanzare verso altre città ma la questione nel 2023 non è più guadagnare altro terreno, è non perderlo. Al punto che mentre i russi dichiarano di avere preso l’ultimo gruppo di palazzi, nell’ultima settimana hanno dovuto cedere di un paio di chilometri a Sud e a Nord della città e si sono ritirati davanti agli attacchi degli ucraini. Non è un caso che i mercenari di Prigozhin abbiano annunciato che lasceranno subito la città ad altri reparti. Intanto, a percorrere in macchina il territorio fra Kramatorsk e Bakhmut oggi si vede una sequenza infinita di trincee e di fortificazioni ucraine aggiunte in questi mesi. La battaglia è stata vinta, ma la vittoria non è replicabile. Nel frattempo, mentre i russi concentravano per trecento giorni i loro sforzi militari su una cittadina da settantamila abitanti in tempo di pace, i soldati ucraini a settembre si sono ripresi prima la regione di Kharkiv – e hanno spinto il fronte orientale indietro di cento chilometri – e poi a novembre nel sud hanno conquistato tutta la regione di Kherson al di qua del fiume Dnipro, che secondo la linea ufficiale del Cremlino è territorio della Russia a partire dall’annessione illegale del 29 settembre. Oggi, mentre il fondatore e capo della compagnia Wagner, EvgenijPrigozhin, annuncia – per la terza volta – la conquista di Bakhmut, il presidente ucraino Zelensky siede al posto di Putin al G7 in Giappone, dove si parla di come dotare le forze ucraine di caccia F-16 nel più breve tempo possibile. Nell’agosto 2022 suonava come fantapolitica. Il Regno Unito tre giorni fa ha confermato che i missili a lunga gittata Storm Shadow, forniti da poco all’Ucraina, sono stati già usati in combattimento, senza aggiungere dettagli. È una guerra che ha cambiato volto. Non è dato sapere il numero delle perdite russe e ucraine nella battaglia per Bakhmut. Secondo le stime del Pentagono, almeno diecimila mercenari del gruppo Wagner sono morti in quel settore del fronte fra dicembre e aprile. La regola pratica vuole che il numero dei feriti sia almeno il triplo dei caduti e questo vorrebbe dire che si parla di quarantamila uomini fuori combattimento. Due giorni fa il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov dichiarava che i russi a Bakhmut hanno perso «settantamila soldati tra morti e feriti, circa un battaglione al giorno». Anche a non voler fidarsi di questi numeri, il dato sotto gli occhi di tutti è che durante i dieci mesi della battaglia per Bakhmut i russi non sono avanzati da nessun’altra parte perché la città ha assorbito tutte le loro capacità. Se anche i numeri fossero gonfiati per ragioni di propaganda e Mosca avesse perso “soltanto” la metà di quanto sostiene l’Amministrazione Biden si tratterebbe di cinquemila morti. Di poco sopra alle perdite americane in tutti gli anni della guerra in Iraq, ma fra dicembre 2022 e aprile 2023. E la battaglia era cominciata prima, ad agosto. Non conosciamo le perdite ucraine, tenute segrete, ma sappiamo che chi si difende di solito perde meno uomini di chi deve attaccare. Al prezzo in combattenti e risorse pagato da Mosca va aggiunto anche un altro prezzo. La battaglia per Bakhmut ha svelato al mondo le spaccature dentro alle forze russe, il loro essere un assembramento agitato da rivalità fortissime, la disunione che spinge il capo Prigozhin a insultare i generali russi via internet e a mostrare in video cataste di cadaveri dei suoi uomini sapendo bene che tutti stanno a guardare. I mercenari di Prigozhin, l’esercito regolare di Shoigu e i ceceni di Kadyrov si odiano fra loro. Il potere putiniano dispone di molti cannoni, ma è diviso in fazioni.

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