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La Repubblica Rassegna Stampa
21.05.2023 G7 - 2. Addestramento dei piloti ucraini, aderisce l'Italia
Cronaca di Tommaso Ciriaco

Testata: La Repubblica
Data: 21 maggio 2023
Pagina: 13
Autore: Tommaso Ciriaco
Titolo: «Roma nella coalizione F-16. Addestrerà i piloti ucraini e potrebbe fornire i Tornado»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/05/2023 a pag.13 con il titolo "Roma nella coalizione F-16. Addestrerà i piloti ucraini e potrebbe fornire i Tornado" l'analisi di Tommaso Ciriaco.

G7 Hiroshima Summit | Prime Minister's Office of Japan

HIROSHIMA — Roma farà parte della coalizione dei jet F-16 per l’Ucraina benedetta da Joe Biden al G7 di Hiroshima. Addestratori italiani formeranno piloti ucraini sul territorio nazionale. In centri dell’aeronautica, probabilmente anche nelle basi Nato sparse sulla penisola. È quanto lascia intendere Giorgia Meloni, prima di lasciare il G7 giapponese: «La valutazione da fare insieme agli alleati è quella di un eventuale addestramento dei piloti ucraini, ma è una decisione che non abbiamo preso e che si sta discutendo con gli alleati». In realtà, Palazzo Chigi ha giàdeciso e non si sottrarrà. Ed è orientata a fare di più, in futuro: fornirà anche aerei, se e quando l’Ucraina avrà bisogno di qualcosa di diverso dagli F-16 di cui si ragiona in questa fase e di cui non dispone l’Italia. Ma i nostri piloti guidano gli Eurofighter e sono già capaci di insegnare ai colleghi di Kiev come pilotare i caccia che la coalizione sta per inviare.

China's Propaganda Looks to Japan's G7 Presidency – Alliance For Securing  Democracy

È un passaggio importante, anticipato da Meloni nel faccia a faccia con Volodymyr Zelensky. E pesante, perché apre il varco necessario per poter fornire in futuro, se richiesti, gli Amx e i Tornado a disposizione dell’aeronautica. Viste le resistenze di politica interna causate dallacontrarietà di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, era però necessaria una precondizione: non essere i primi a esporsi. Adesso che Washington ha accettato il nuovo passo e gli europei non si sono tirati indietro, la premier può sbilanciarsi. È giornata di incontri, per la presidente del Consiglio. Quello con Emmanuel Macron è forse il più significativo. Parlarsi dopo le tensioni delle ultime settimane era ormai inevitabile. Il faccia a faccia dura 45 minuti. Durante i quali il presidente francese non concede le scuse ufficiali – e neanche ufficiose – che la diplomazia italiana aveva posto come condizione per riannodare il confronto. Ma chiede alla leader di concentrarsi sui capitoli più sensibili, che a suo avviso uniscono i due Paesi più di quanto la politica possa dividerli. Lo ammette anche Meloni, con una battuta: «È andata bene, come nei precedenti incontri: siamo pragmatici, al di là delle questioni di campagna elettorale che ciascuno di noi ha. Siamo vicini su moltissimi dossier». Un approccio da cui discendono due conseguenze. Primo: lo scontro verbale è soltanto sedato e si riproporrà almeno fino alle Europee del 2024. Secondo: conviene a entrambi progettare insieme soluzioni convenienti, a partire dalla crisi tunisina. La stabilità di Tunisi è un cruccio che allarma le due capitali. Senza un’intesa tra il Paese nordafricano e il Fondo monetario internazionale, le partenze di migranti non faranno che aumentare. «E se noi non siamo più in grado di affrontare la situazione – ricorda Meloni - inevitabilmente queste persone andranno in altri Paesi. Non si può pretendere che diventiamo un campo profughi». È per questo che l’italiana e il francese si ritrovano poco dopo con la direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva. Chiedono di sbloccare i prestiti per dare respiro al governo tunisino. Si tratta di 1,9 miliardi di dollari, a cui aggiungere un altro miliardo e mezzo Ue di “rosso” dovuto al ritardo accumulato nello sbloccare la tranche. Il pressing di Roma e Parigi, però, non sortisce gli effetti voluti. «Ho trovato una certa rigidità del Fmi nel governare questa vicenda. Ma una soluzione si può trovare», sostiene la leader. Sul tavolo c’è sempre una missione franco-italiana a Tunisi. Non tutto, come detto, va nella direzione sperata dalla premier. All’incontro prende parte anche Joe Biden. L’americano non chiude del tutto a una possibile intesa, ma ribadisce alcune criticità che il Fondo aveva già fatto presente alla leadership tunisina: l’aiuto a un Paese con debito pubblico insostenibile richiede un impegno su un pacchetto di riforme per la crescita, ma il presidente Saied si è però messo di traverso. Meloni prova a utilizzare con Biden un argomento su cui sa di poter trovare ascolto. Spiega che i tunisini hanno avvertito Roma che di fronte all’insistenza sui paletti economici e sui diritti, potrebbero rivolgersi ai cinesi. Poi aggiunge: «Molti attori lavorano per la destabilizzazione. Noi abbiamo economie liberali, mentre altri si muovono in modo diverso: la sfida è aiutare gli africani ad usare le loro risorse». Il riferimento è sempre alla Cina. Di questo – e della via della Seta, su cui la premier prende ancora tempo rimandando la decisione all’autunno – Meloni potrà discutere nel corso della sua visita alla Casa Bianca. Come per la missione a Parigi, la leader si sbilancia: «Ci saranno prima dell’estate». Nel frattempo, incassa quanto Biden gli avrebbe detto a Hiroshima: «Sono colpito dalla tua determinazione». Una determinazione che il presidente pretende anche per arrivare alla disdetta della Belt and Road.

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