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La Repubblica Rassegna Stampa
14.05.2023 Le armi italiane salvano vite
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 14 maggio 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il momento spartiacque»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/05/2023, a pag. 1, con il titolo "Il momento spartiacque" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Meloni:
Zelensky con Giorgia Meloni

Per comprendere l'importanza del viaggio europeo di Volodymyr Zelensky bisogna guardare a cosa sta avvenendo a Mosca, dove le rivalità fra i generali che guidano le operazioni militari in Ucraina sono divenute di entità tale da minacciare la stabilità della leadership di Vladimir Putin. Il più recente e lacerante episodio di questa guerra fra generali risale alla decisione di Yevgeny Prigozhin, capo dei mercenari della brigata Wagner, di minacciare il ritiro delle truppe da Bakhmut - da mesi epicentro degli scontri con gli ucraini - a causa della mancata consegna di munizioni da parte del ministero della Difesa russo guidato da Sergei Shoigu, con la conseguenza che le unità cecene "Akhmat" di Ramzan Kadyrov avrebbero sostituito quelle della Wagner. Il ricatto di Prigozhin è stato pubblico e dimostra due cose: l'aperta violazione della catena di comando militare, che dovrebbe ricondurre ogni decisione solo al capo di Stato maggiore Valery Gerasimov; l'intesa fra Wagner e ceceni, perché se Kadyrov avesse spostato le truppe a Bakhmut avrebbe creato danni ancor più seri, scoprendo l'esercito russo a Zaporizhzhia e creando un varco per la controffensiva ucraina. Il risultato della prova di forza di Prigozhin e Kadyrov contro Shoigu e Gerasimov è stato l'intervento del Cremlino che ha fatto recapitare a Wagner e ceceni le munizioni contese. Ma è evidente che quando in un'autocrazia il massimo leader politico deve intervenire di persona per risolvere le liti fra i generali significa che le cose non vanno affatto bene. Alla genesi di questi disaccordi militari c'è l'errore iniziale commesso nell'invasione dell'Ucraina, scattata il 24 febbraio 2022, perché Putin riteneva che l'esercito russo avrebbe preso Kiev senza combattere - trasformando l'Ucraina in un'altra Bielorussia - e dunque "l'Operazione speciale" non è stata né progettata né eseguita come un intervento bellico. Non aveva alla guida comandanti preparati a condurre una campagna militare vera e propria. Tale impreparazione - resa visibile da carenza di mezzi, bassa qualità dei reparti e gravi errori tattici - ha obbligato Putin a intervenire cambiando più volte il capo del "Raggruppamento unito" - responsabile delle operazioni in Ucraina - fino alla scelta, in gennaio, di puntare su Gerasimov. Ma l'altra decisione a cui Putin è stato obbligato è stata di mettere in campo la Wagner ed i ceceni per poter contare su reparti capaci di condurre campagne militari, rimediando alle carenze dell'esercito regolare. Il risultato, come spiega una recente analisi dell'Institute for the Study of War di Washington, è che Putin si trova a dover intervenire per superare contrasti sempre più seri fra i generali, scegliendo di dare ragione ora agli uni ora agli altri ma senza stabilire in maniera inequivocabile chi sale e chi scende nella catena di comando, "sollevando interrogativi sulla capacità politica di coordinare una coerente campagna di teatro". Questo è il motivo per il quale, ad esempio, Shoigu e Prigozhin hanno dato vita ad un imbarazzante balletto di dichiarazioni sul valore strategico di Bakhmut: prima Shoigu ha detto che era vitale conquistarla per aprirsi la strada nel Donbass, poi Prigozhin ha affermato che catturarla non era significativo perché la battaglia serviva solo a consumare l'avversario e infine lo stesso Prigozhin ha smentito se stesso con il braccio di ferro sulle munizioni necessarie proprio per catturare Bakhmut. Ovvero: gli scontri fra generali denotano che i duelli personali prevalgono sulle necessità tattiche e spesso denotano soprattutto la volontà di addebitare ai rivali i fallimenti maturati sul campo. Questo spiega perché Prigozhin ed i suoi alleati in Russia tendono a diffondere una narrativa del "tradimento" addebitando a Shoigu, Gerasimov ed anche a Viktor Zolotov - capo della Guardia nazionale russa - errori di ogni tipo ai danni della Madrepatria, al fine di mobilitare il popolo degli "z-blogger" ultranazionalisti che pone interrogativi sempre più aggressivi sulla mancata vittoria militare in Ucraina. Da qui il rischio che incombe su Putin: la possibilità che la somma fra errori militari e guerre fra generali inneschi una protesta ultranazionalista a Mosca che investa la guida politica "dell'Operazione speciale" ovvero lui stesso. Ed è evidente a tutti che se la controffensiva ucraina dovesse cogliere dei significativi successi - ad esempio, riuscire ad arrivare in Crimea come Zelensky ha detto durante l'intervista a Porta a Porta - la pressione interna contro Putin potrebbe superare la soglia del rischio, in una nazione dove la Storia insegna che le sconfitte militari spesso innescano rivoluzioni interne. Insomma, il tempo gioca contro il Cremlino ed a favore di Zelensky ma questo significa anche che stanno maturando le condizioni per spingere Putin ad accettare ciò che finora ha sempre rifiutato: porre fine all'aggressione, accettare un cessate il fuoco immediato e iniziare a negoziare. Questo è il motivo per cui la mediazione diplomatica comincia ad avere senso e bisogna incominciare a pensare "come" porre fine alla guerra. Nelle parole del politologo Charles Kupchan, già consigliere di Affari Europei nelle amministrazioni Clinton e Obama, "si avvicina il momento nel quale Biden chiederà a Macron e Scholz chi deve telefonare a Zelensky per dirgli che è l'ora di trattare". E trattandosi di una guerra in Europa, l'Unione Europea deve decidere in fretta quale approccio avere: l'adesione dell'Ucraina all'Ue - sostenuta da questo giornale - può essere un primo indispensabile tassello del nuovo assetto di sicurezza sul Vecchio Continente, che deve però includere anche una convincente formula di cessate il fuoco e soprattutto l'aspetto più difficile: come continuare a convivere con la Federazione russa perché - che Putin venga travolto, sia processato o resti dove è - continuerà a confinare con noi nei secoli a venire. È in questa fase di possibile e pericoloso passaggio fra fine della guerra e inizio del dopoguerra che Zelensky ha scelto di fare tappa a Roma, Città del Vaticano e Berlino. Facendoci comprendere che l'inizio della controffensiva ucraina può diventare un momento spartiacque.

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